Pochi giorni prima di Natale il Capo di stato maggiore della difesa del Regno Unito, Richard Knighton ha lanciato il suo annuncio-bomba: «Le famiglie devono essere pronte a mandare i loro figli e le loro figlie in guerra contro la Russia». Mentre in Europa, e in Italia di conseguenza, la parola più usata dalla politica è riarmo, il Regno Unito si prepara a mobilitare la sua popolazione. E per farlo, tuona Knighton, è necessario che le scuole incoraggino i ragazzi ad abbandonare gli studi. «Abbiamo bisogno di più persone che lascino la scuola per entrare in questo settore. (…) Abbiamo bisogno che i genitori e le scuole incoraggino i bambini e i giovani a intraprendere la carriera militare». Presto comunque, le famiglie «sapranno cosa significa il sacrificio per la nostra nazione». Knighton precisa che le possibilità di un attacco russo sono remote, ma intanto è necessario militarizzare la società e prepararsi a un’economia di guerra.
Una profezia che avrebbe dovuto far inarcare più di qualche sopracciglio, ma che invece è passata quasi inosservata se non accolta con favore da tutti coloro che guardano con favore al riarmo dell’Europa, come il nostro ministro Crosetto, e che nel clima bellicista di questi ultimi tempi sembrano non averne mai abbastanza. Lo scorso marzo era stata la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen ad aprire le danze, tuonando a gran voce che era necessario riarmare l’Europa. E da quel momento fu tutto un susseguirsi di dichiarazioni entusiaste, almeno sulla carta, nei confronti del nuovo, grandioso piano che prese il nome di ReArm Europe (riarmo europeo), poi prudentemente rinominato Readiness 2030 (prontezza 2030). Il dibattito politico ha ruotato attorno alla necessità, vera o apparente, di concludere in fretta il riarmo dell’Europa. Peccato che non esista nessun riarmo. E che la parola riarmo sia il classico esempio di come le parole vengano usate per manipolare l’opinione pubblica e pilotarne le emozioni; ciò che una buona propaganda si prefigge di fare.
L’antitesi della parola riarmo è il sostantivo disarmo. Un’Europa disarmata è un’Europa indifesa, sostengono i fautori della dottrina della deterrenza. L’utilizzo della parola riarmo, infatti, non è casuale. Lascia presupporre e che esista una debolezza, una vulnerabilità che il Nemico, ovviamente disumanizzato e spietato come ogni Nemico che si rispetti, vuole e può sfruttare in ogni momento per invaderci, distruggerci e assoggettarci al suo potere. La parola riarmo fa leva su una paura ancestrale: l’essere indifesi. E chi mai vorrebbe esserlo davanti a un Nemico esiziale come la Russia? Ecco allora che il riarmo diventa necessario, un obbligo morale, un’urgenza che non può essere disattesa in alcun modo.
Peccato però che l’Europa non sia mai stata disarmata. Dopo il crollo del muro di Berlino e la fine della guerra fredda ci furono effettivamente un paio di anni in cui la spesa militare decrebbe, per poi tornare ad assestarsi su una tendenza abbastanza stabile. Nel 2024 prima del grande piano di riarmo, l’Europa spendeva già più del doppio della Russia. Il Centro Studi Europeo riporta che: «L’ampio divario tra spesa russa ed europea nel 2024 suggerisce cautela nel concludere che sia necessario un forte aumento della spesa militare». Badate bene, aumento dice e non riarmo. «La spesa militare russa è in buona parte destinata a rimpiazzare le ingenti perdite sul campo di mezzi e munizioni sostenute dall’inizio dell’invasione dell’Ucraina. Di conseguenza, nel 2024 l’aumento degli arsenali russi è stato ben inferiore a quello suggerito dalla sua spesa militare. La spesa europea non viene invece erosa da attività belliche e quindi va interamente, per la componente relativa agli armamenti, a incrementare le capacità di difesa».
Sempre nel 2024 la spesa degli Stati membri nel settore della difesa aveva raggiunto i 343 miliardi di euro, facendo registrare un aumento per il decimo anno consecutivo. In parole povere la spesa militare in Europa era già cresciuta esponenzialmente prima dell’invasione russa dell’Ucraina. Ma perché è così importante? Perché le parole che usiamo creano la realtà. Letteralmente. Le parole non sono mai soltanto parole, sono orizzonti. Chiamare il riarmo attraverso la formula «ulteriore e ingiustificato aumento della spesa militare» per rilanciare le politiche espansionistiche e le industrie morenti di Francia, Germania e Regno Unito non avrebbe avuto lo stesso effetto.
Naturalmente la parola riarmo non è stata l’unica parola usata in questi ultimi mesi allo scopo di manipolare l’opinione pubblica. Il podio in classifica lo merita «la leva obbligatoria su base volontaria», il nuovo diktat della Germania. Anche se a giudicare dalle manifestazioni rabbiose degli studenti e dei giovani scesi in piazza non ha attecchito fino in fondo.
Già rodati e collaudati, invece, sono «gli attacchi di difesa preventiva», un’espressione che è tutta un programma. La dottrina della Difesa Preventiva, tanto amata oggi da Israele, fu ampiamente usata da Bush per giustificare l’invasione dell’Iraq, in cerca di quelle fantomatiche «armi biologiche di distruzione di massa» paventate da Powell, allora segretario di Stato. Powell al termine del suo mandato ammise di essersi sbagliato. Il suo celebre discorso all’ONU rappresentò una macchia indelebile alla sua carriera, scuse che però non resuscitarono le centinaia di migliaia di civili morti in Iraq, che dopo l’invasione statunitense divenne l’epicentro del terrorismo, una conseguenza diretta di quella guerra di difesa preventiva che era stata combattuta proprio con lo scopo di prevenire il terrorismo.
Ma la Storia non insegna, tant’è che il nostro italianissimo Cavo Dragone, presidente del comitato militare Nato, valuta «cyber attacchi preventivi» contro la Russia. Queste terminologie che possono suonare comiche, astruse, perfino banali in realtà fanno una grande presa sul nostro inconscio, spingendoci a normalizzare e ad accettare dichiarazioni che formulate diversamente avremmo aberrato. Nella nostra memoria risuona il detto «meglio prevenire che curare», un’espressione che fa parte del bagaglio mnemonico collettivo: ecco allora che la guerra e gli attacchi divengono una forma di prevenzione. E colui che li attua va quasi a sovrapporsi alla figura benevola del medico che somministra al paziente uno stile di vita volto ad assicurarne il benessere e la salute.
Sono tantissime le parole, le espressioni, i titoli giornalistici che quotidianamente vengono usati su di noi e contro di noi per spingerci a normalizzare la guerra o a interpretarla sotto una determinata prospettiva: basti pensare al diverso trattamento riservato a israeliani e palestinesi nei titoli e negli articoli di giornale. I primi sono sempre vittima di «stragi», sono «uccisi, colpiti, assassinati», i secondi, invece, sono «danni collaterali» di attacchi missilistici contro cellule terroristiche. Di rado vengono uccisi, almeno nella terminologia giornalistica, perché la parola «ucciso» implica la presenza di un assassino e di un colpevole da ricercare e condannare. I palestinesi semplicemente muoiono. «Morti 100/200/300 (e via dicendo) palestinesi a Gaza» recitano i giornali; perché il verbo morire è qualcosa di molto più naturale; si muore di malattia, incidenti, vecchiaia. I palestinesi muoiono o semplicemente cadono morti come i frutti che cadono dall’albero.
Di esempi ce ne sarebbero ancora tantissimi, ma c’è un’ultima chicca che vorrei condividere, la punta di diamante della dottrina del riarmo, e di ogni propaganda bellica di ogni tempo, epoca e luogo. Un’arma propagandistica che nonostante sia vecchia quanto il mondo non ha mai perso d’efficacia e che alimenta tutta la retorica del riarmo, o più precisamente del nuovo esponenziale aumento della spesa militare in Europa: l’invasione barbarica. Questa è un’arma propagandistica difficile da combattere non soltanto perché fa leva su una paura ancestrale, ma perché storicamente non si tratta di una minaccia inventata. Nel corso della storia tutti i popoli del mondo sono stati invasi e hanno subito invasioni su larga scala. Diventa davvero difficile perciò riuscire a distinguere tra minacce reali e minacce inventate.
Oggi il ruolo di nuovo, temibile invasore barbarico è stato affibbiato alla Russia. E la reale invasione russa dell’Ucraina ha contribuito ad alimentare questa paura. Naturalmente è una cosa ben diversa invadere i territori dell’Ucraina rispetto all’attaccare una coalizione di Stati Europei che fanno parte della Nato, ognuno dotato di apparati bellici e costretti a difendersi l’un l’altro in base all’Articolo 5. La Russia oggi viene descritta come una terra smaniosa di terre da conquistare (le nostre) e popoli da sottomettere (i nostri). Una visione che fa paura e giustamente spaventa; ma che non tiene conto né delle caratteristiche della Russia né della sua specificità. Quando diversi analisti provano a spiegare che la Russia, il più grande Stato al mondo che si estende su ben due continenti, non ha bisogni di nuovi territori, dato che il problema della Russia non è la mancanza di territori ma la mancanza di popolazione, perché sì la Russia è tra gli Stati più sottopopolati, viene banalmente etichettato come filoputiniano. Rintracciare nelle cause dell’invasione russa dell’Ucraina non una guerra combattuta con fini espansionistici ma con fini geopolitici ben precisi (la volontà della Russia di fare dell’Ucraina uno Stato-cuscinetto e di fermare l’avanzata della Nato) ha valso di volta a intellettuali, storici e opinionisti l’accusa di essere filo-russi. Non che la guerra tra Russia e Ucraina non sia qualcosa di aberrante, ogni guerra lo è, ma distorcerne le reali cause per evocare scenari fantomatici (invasione dell’Europa) rientra a pieno titolo della propaganda.
Il Nemico, nella propaganda, non è soltanto colui che compie azioni malvagie o moralmente discutibili (come iniziare una guerra d’invasione ad esempio) per perseguire i suoi fini; il Nemico non conosce limiti, freni o paure. Il Nemico è animato dal desiderio di assoggettare e depredare ogni angolo del pianeta, anche a costo di iniziare guerre contro intere coalizioni armate. La sua sete di conquista è illimitata, la sua malvagità inumana, e con la sua sola presenza rappresenta una minaccia esistenziale per ogni abitante del mondo civilizzato. Un ritratto simile è tanto macchiettistico quando irrealistico, sarebbe sembrato ridicolo perfino nelle pagine di qualche vecchia spy-story americana e in qualche romanzetto comunista di epoca staliniana, eppure è così ci è stato descritto Vladimir Putin negli ultimi quattro anni. Riumanizzare la figura di Putin non significa sminuire i suoi crimini o le sue tante colpe, ma significa restituire dignità intellettuale al discorso sulla guerra o sulla pace. Un’altra parola che oggi è stata spogliata di senso, significato e valore. La pace andrebbe costruita, lentamente e pazientemente, ma ovviamente la pace non è tra le priorità di quest’Europa e di quest’Unione che alimenta la discordia, fomenta le tensioni, foraggia e viene foraggiata dall’industria bellica e circuisce l’opinione pubblica a suon di propaganda. Ben conscia che, mi permetto di apportare una piccola modifica a questo celebre detto latino: si vis bellum, para bellum. Se vuoi la guerra, prepara la guerra. E devo ammettere che ci stanno riuscendo benissimo.




