Nell’ultima fase del cammino parlamentare della legge di Bilancio è scoppiato un nuovo braccio di ferro. A poche ore dal voto in aula sulla fiducia, infatti, cinque misure considerate estranee alla manovra finanziaria e potenzialmente problematiche per gli equilibri costituzionali sono state stralciate su iniziativa della commissione Bilancio del Senato. Fonti parlamentari hanno fatto riferimento a un intervento del Quirinale, volto a evitare che disposizioni lesive di diritti e garanzie potessero essere approvate senza un adeguato dibattito. Le norme coinvolgevano diritti dei lavoratori, regole sulle incompatibilità nella pubblica amministrazione, profili della magistratura e la disciplina del personale della Covip.
La scure si è in primis abbattuta sul cosiddetto “scudo” per i datori di lavoro in caso di retribuzioni giudicate incostituzionalmente basse. La misura, inserita tramite un subemendamento di Fratelli d’Italia, stabiliva che «con il provvedimento con cui il giudice accerta, in ogni stato e grado del giudizio, la non conformità all’articolo 36 della Costituzione dello standard retributivo stabilito dal contratto collettivo di lavoro per il settore e la zona di svolgimento della prestazione, tenuto conto dei livelli di produttività del lavoro e degli indici del costo della vita, come accertati dall’Istat, il datore di lavoro non può essere condannato al pagamento di differenze retributive o contributive» per il periodo che precede «la data del deposito del ricorso introduttivo del giudizio se ha applicato lo standard retributivo previsto dal contratto collettivo stipulato» oppure «dai contratti dello stesso settore economico che garantiscono tutele equivalenti per il settore e la zona di svolgimento della prestazione». I leader delle opposizioni l’avevano definita «anticostituzionale, vergognosa, una vigliaccata».
Accanto a questa disposizione, giudicata da più parti un intervento che poteva incidere direttamente sui rapporti di lavoro e sul contenzioso sociale, sono state rimosse altre quattro misure entrate nel testo durante l’iter in Commissione. Tra queste, una norma sulla inconferibilità di incarichi nelle amministrazioni statali, regionali e locali a soggetti provenienti da enti privati regolati o finanziati dalle stesse amministrazioni: la disciplina prevedeva ampia deroga per incarichi straordinari e commissariali, suscitando timori concreti di conflitto d’interessi. Un secondo stralcio riguarda la riduzione del cosiddetto periodo di “raffreddamento”: il divieto di svolgere, alla cessazione del rapporto di lavoro, attività professionale presso soggetti privati destinatari dell’attività amministrativa è passato in emendamento da tre anni a un solo anno, una compressione ritenuta eccessiva dagli oppositori e da tecnici parlamentari. Analogo stop è stato applicato a una norma che avrebbe ridotto da dieci a quattro anni l’anzianità necessaria affinché i magistrati possano essere autorizzati al collocamento fuori ruolo; infine è stata cancellata la revisione della disciplina del personale della Covip, l’autorità di vigilanza sui fondi pensione.
La coincidenza temporale dell’inserimento di queste norme all’interno di un maxi-emendamento di oltre 900 commi — definito in aula «interamente sostitutivo» del testo originario — e la richiesta di fiducia sul pacchetto hanno reso la questione particolarmente critica, aumentando le accuse di “colpi di mano” e la mobilitazione delle opposizioni e delle organizzazioni sindacali. L’intervento correttivo ha reso ancor più accidentato il percorso della manovra, descritto dal ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti come già «tortuoso». In aula, Giorgetti aveva difeso l’operato del governo, rigettando le accuse di austerità: «Politica di austerità? Io la traduco con il termine prudenza visto il livello del debito pubblico di questo Paese».
Negli scorsi giorni, erano arrivati importanti dietrofront in tema di norme sulle pensioni, in particolare con la cancellazione da parte del governo della misura che depotenziava il riscatto della laurea breve. L’esecutivo non ha invece bloccato l’adeguamento automatico alla speranza di vita, con lo scatto di un mese in più sui requisiti dal 2027 e di due mesi dal 2028. Nella manovra non vengono rinnovati i canali di pensione anticipata “speciali”, con l’uscita di scena di Quota 103 e di Opzione Donna. Dal 1° luglio 2026 entra il silenzio-assenso per la previdenza complementare dei neoassunti, con rinuncia entro 60 giorni. Da gennaio scatta l’obbligo Tfr al Fondo Inps per aziende con 50 dipendenti; dal 2032 l’obbligo riguarda chi ha almeno 40.




