Via libera del Consiglio UE al rinnovo semestrale delle sanzioni economiche nei confronti della Russia, con l’approvazione di un pacchetto che comprende un ampio spettro di restrizioni settoriali. Il 2025 dell’Unione europea finisce così com’era cominciato: con l’obiettivo di aumentare la pressione sulla Russia, mentre sullo sfondo si consuma il paradosso europeo, ancorato a un doppio binario: da un lato l’inasprimento delle misure restrittive, dall’altro l’apertura cauta – quasi simbolica – a un possibile dialogo diplomatico tra Mosca e Parigi.
L’approvazione del Consiglio dell’Unione europea proroga fino al 31 luglio 2026 l’impianto sanzionatorio contro la Federazione Russa, in attesa di un ulteriore pacchetto di misure atteso entro il 24 febbraio, anniversario dell’Operazione Speciale. Il perimetro resta ampio e ormai ben rodato: divieto di importazione del petrolio russo via mare, esclusione di diversi istituti di credito dal circuito Swift, restrizioni tecnologiche e finanziarie, oltre al blocco delle licenze di trasmissione per numerosi media considerati organici al Cremlino e accusati di “disinformazione”. Secondo la Commissione, la linea non è destinata a cambiare finché continueranno gli attacchi russi contro i civili. Mentre Bruxelles ribadisce la necessità di “una pace giusta e duratura”, affida al presidente francese Emmanuel Macron il ruolo di esploratore diplomatico nei confronti dell’omologo russo Vladimir Putin, che si è detto pronto al dialogo. Nonostante i segnali di fumo tra Parigi e Mosca, nell’ultimo briefing con la stampa prima delle feste di fine anno, i portavoce della Commissione hanno ribadito la posizione di Bruxelles: «Restiamo in coordinamento con i singoli Paesi membri sui loro eventuali contatti bilaterali e accogliamo gli sforzi per la pace».
A incrinare il fronte interno dell’UE resta la posizione dell’Ungheria. Il premier Viktor Orbán ha attaccato duramente Bruxelles, sostenendo che le sanzioni abbiano colpito più l’Europa che la Russia, tra prezzi energetici elevati e perdita di competitività industriale: «Bruxelles aveva promesso che le sanzioni avrebbero schiacciato la Russia. Invece, hanno schiacciato l’Europa. I prezzi dell’energia sono esplosi, la competitività è crollata e l’Europa sta perdendo terreno. Questo è il prezzo delle cattive decisioni. Servono negoziati, non escalation», ha commentato con un video su X. Una critica che intercetta il malcontento di ampie fasce dell’opinione pubblica europea, ma che non ha modificato l’orientamento della Commissione. Palazzo Berlaymont continua a considerare la leva economica uno strumento imprescindibile di pressione geopolitica, nonostante i costi sociali e politici sempre più evidenti. La freddezza europea è alimentata anche dal fallimento dei recenti contatti informali e dall’assenza di segnali concreti sul cessate il fuoco. Intanto, lunedì il vice ministro degli Esteri, Sergei Ryabkov, ha avanzato la disponibilità della Russia a sottoscrivere un accordo giuridicamente vincolante in cui Mosca si impegna a non attaccare l’Unione europea e la NATO, dopo che il Presidente ucraino Volodymir Zelensky ha avanzato la proposta della rinuncia, da parte di Kiev, all’adesione all’Alleanza Atlantica, in cambio di garanzie di sicurezza “simil articolo 5” del Trattato del Nord Atlantico.
Parallelamente, la scorsa settimana, l’UE ha rafforzato il fronte della cosiddetta “guerra ibrida”, varando un nuovo pacchetto di sanzioni contro 48 persone fisiche e 35 entità accusate di interferenze politiche e azioni destabilizzanti. Nel mirino sono finiti analisti, commentatori e strutture legate all’ecosistema informativo del Cremlino. Tra i nomi più rilevanti figura John Mark Dougan, ex vicesceriffo statunitense con doppia cittadinanza, accusato di operazioni digitali pro-Mosca e legami con il GRU, il servizio segreto militare di Mosca. Colpiti anche cinque esponenti del Valdai Club, il forum internazionale di esperti, accademici e analisti di politica estera fondato nel 2004, che si svolge ogni anno a Sochi, considerato uno strumento di “soft power” del Cremlino. La “disinformazione” viene equiparata a una minaccia militare, marcando una scelta politica chiara: per Bruxelles il conflitto con la Russia si combatte soprattutto sul piano economico e narrativo. E mentre accusa Mosca di destabilizzazione, l’Occidente alimenta un clima di allarme permanente, funzionale a giustificare riarmo, aumento delle spese militari e progressiva militarizzazione, riducendo il dibattito e soffocando il dissenso.




