Dobbiamo abbracciare il mondo, non le cose. Scriveva Wittgenstein che il mondo è tutto ciò che accade. Esistono dunque le relazioni non gli oggetti.
Gli oggetti, anche splendidi e ricercati sono cose, non meritano un linguaggio, non accolgono parole che durano. Sono destinati all’uso, anche un uso speciale ma hanno una vita circoscritta, contengono la loro fine, la loro parziale utilità. È il loro consumo, il loro riflettersi in qualcuno che le rappresenta a dare loro espressione, come un buon cibo, come un dono.
Le cose hanno un destino. Le persone no, dipendono dal divenire e da una volontà, si definiscono per quello che desiderano. Le persone sì, si riflettono nel linguaggio che le accoglie, che li custodisce e le fa esprimere.
Dobbiamo dunque avere un tesoro di sguardi, di cenni, di ascolto che accolga, che apra gli occhi davanti al bisogno, che favorisca la risposta dell’altro. Gli altri sono infatti il nostro linguaggio, le nostre parole, il senso di un giorno o di sempre.
Lasciamo spazio alla risposta, accettiamo, cioè ascoltiamo.
Arriverà la vittoria. Scopriremo che avverrà proprio quello aspettavamo. Avevamo bisogno di sentirci ospiti generosi ma non sapevamo ancora come. Ogni giorno, se ascoltiamo bene, ci viene detto perché.




