Il Parlamento e il Consiglio europei hanno raggiunto un accordo per far avanzare un pacchetto di norme volto a proteggere i cittadini dalle frodi finanziarie online. O, quantomeno, a garantire loro un risarcimento in caso di danno. Le nuove regole impongono infatti ai prestatori di servizi di pagamento dei controlli più rigorosi e, qualora i sistemi di prevenzione risultino inefficaci, li obbligano a coprire le perdite subite dai consumatori. Non solo: gli istituti finanziari avranno la possibilità di rivalersi sui social media che hanno ospitato o favorito le operazioni dei truffatori.
Sebbene l’intesa debba essere ancora adottata formalmente dalle istituzioni UE, questa è stata comunque annunciata con orgoglio lo scorso giovedì, 27 novembre. “I consumatori trarranno beneficio da nuove regole armonizzate sulla regolamentazione dei servizi di pagamento”, spiega René Repasi, Membro del Parlamento legato al Partito Socialdemocratico tedesco. “Verranno applicate misure obbligatorie di prevenzione contro le frodi che si tradurranno in un numero minore di truffe nei pagamenti. Le banche devono condividere più peso, se non fanno la loro parte“. Se gli strumenti adottati dovessero dimostrarsi comunque insufficienti a frenare le frodi, gli istituti finanziari dovranno risarcire pienamente i loro clienti, a patto però che le vittime denuncino il crimine alle autorità di polizia.
Le nuove norme – il Payment Services Regulation (PSR) e la Third Payment Services Directive (PSD3) – puntano a rafforzare la responsabilità delle banche, ma si estendono a tutte le tipologie di servizi di pagamento: dalle istituzioni specializzate ai conti correnti postali, fino ai fornitori tecnici. Pur senza menzionare esplicitamente realtà quali PayPal, l’obiettivo dichiarato è quello di innalzare gli standard di sicurezza per chiunque gestisca transazioni online, indipendentemente dalla veste commerciale in cui si identificano. Il pacchetto introduce inoltre garanzie sull’accesso al contante, maggiore trasparenza sulle commissioni, sistemi di open banking più flessibili e procedure di autorizzazione semplificate per i nuovi operatori.
Ancor più, il pacchetto di leggi introduce una svolta epocale che con ogni probabilità non mancherà di generare dissapori politici a livello internazionale: le realtà finanziarie che hanno coperto le perdite causate dalle frodi potranno, in alcuni casi, essere rimborsate dalle piattaforme online che hanno ospitato inserzioni legate alle truffe. Questa disposizione si affianca alle norme già consolidate – in particolare il Digital Services Act (DSA) – e colpisce social media, motori di ricerca e altri intermediari digitali che diffondono contenuti fraudolenti nonostante eventuali segnalazioni da parte del pubblico. Le aziende coinvolte, perlopiù Big Tech d’oltreoceano, dovranno inoltre assumersi l’onere di verificare che gli inserzionisti siano effettivamente autorizzati a offrire servizi finanziari nei Paesi in cui intendono pubblicare i loro annunci.
Le motivazioni di misure tanto incisive non sono difficili da intuire, chiunque abbia esplorato nei scorsi mesi sui social sarà incappato in pubblicità deepfake in cui vengono promosse strategie per ottenere in qualche modo soldi – l’ultima in cui siamo incappati in ordine di tempo aveva per protagonista un sedicente Marco Travaglio. Per avere un metro del fenomeno, basti sapere che a inizio novembre sono emersi documenti interni a Meta che hanno rivelato come il 10% del fatturato 2024 dell’azienda – circa 16 miliardi di dollari – sia stato ricavato da inserzionisti fraudolenti. Con simili cifre in ballo, viene difficile credere che basti affidarsi semplicemente alla buona volontà delle piattaforme per contrastare il fenomeno.
Poco sorprendentemente, la Computer & Communications Industry Association (CCIA) – la lobby europea che rappresenta Amazon, Google, Meta e Apple – ha bollato come “difettoso” il pacchetto normativo in discussione, sostenendo che le misure proposte sarebbero non solo inutili, ma persino controproducenti. A complicare ulteriormente la strada verso l’approvazione definitiva potrebbe essere la crescente disponibilità della Commissione europea ad alleggerire le proprie regole digitali, nel tentativo di assecondare le richieste dei fornitori di servizi e di smorzare le tensioni con l’Amministrazione Trump, che in più occasioni ha minacciato di reagire contro l’applicazione delle leggi europee ritenute penalizzanti per le grandi imprese tecnologiche statunitensi.





Donald Trumpoli e soci li ri-mettono a cuccia anche stavolta.