DA TUBLAS – PALESTINA OCCUPATA. «Quando abbiamo aperto la porta ci siamo trovati di fronte una decina di coloni israeliani a volto coperto. Due avevano dei fucili, gli altri dei bastoni, hanno iniziato a picchiarci con bastoni, calci e pugni». R. è una delle quattro persone di origine straniera – 3 italiane e una canadese – feriti all’alba di ieri, 30 novembre, in un agguato dei coloni nel villaggio palestinese a Ein al-Duyuk, nella Valle del Giordano. È stanca e ancora scossa, mentre racconta quanto accaduto in un’intervista telefonica a L’Indipendente. Chiede di non rivelare il suo nome per paura di nuove rappresaglie e ricomincia il racconto di una storia che appare incredibile, ma all’ordine del giorno nella Cisgiordania occupata. «A un certo punto hanno anche preso il caffè dalla cucina e hanno detto “vi piace il caffè arabo? Vi piace il caffè arabo?” E ce l’hanno buttato addosso», testimonia un’altra delle ragazze italiane aggredite. «Ci hanno preso a calci in faccia, ci hanno picchiato con i calci dei fucili nelle costole, sulle gambe, sulle braccia… il ragazzo che era con noi è quello che sta peggio, l’hanno anche ripetutamente colpito ai genitali».
I coloni sono violenti e fuori controllo. Nelle case i palestinesi e gli stranieri che vivono in Cisgiordania si danno i turni di guardia. R. spiega come è iniziato tutto: «Di solito gli attacchi non vengono mai fatti dopo le 3 di notte, più o meno è quella l’ora in cui il nostro turno di sorveglianza finisce». Erano circa le quattro quando abbiamo sentito delle voci e abbiamo visto la luce di una torcia; delle persone fuori dalla porta dicevano “Italians italians wake up, Jews, jews” (italiani sveglia, ci sono gli ebrei). Questo era evidentemente fatto apposta per farci pensare che erano dei palestinesi che stavano cercando di avvertirci perché erano arrivati i coloni. Quindi un po’ nella confusione, svegliandoci di soprassalto, siamo andati alla porta e l’abbiamo aperta. Sono entrati i coloni e hanno iniziato a colpirci come furie. Ci hanno anche spruzzato del liquido addosso che pensiamo fosse alcol, e continuavano a chiederci da dove venivamo, che cosa facevamo lì, a dirci che dovevamo andarcene e non tornare mai più».
I quattro internazionali sono attivisti di Faz3a, la campagna palestinese attiva in Cisgiordania occupata che porta solidarietà nelle comunità sotto attacco da militari e coloni israeliani. Il racconto avviene da Ramallah, dove sono tornati per riposare a seguito delle cure nell’ospedale di Gerico. «È difficile dire quanto sia durato, però pensiamo più o meno una ventina di minuti – continua R. – I coloni sono andati via portandosi tutti i nostri averi, quindi telefoni, passaporti, gli zaini con tutto quello che avevamo, vestiti e quant’altro. Sono andati via dicendoci di nuovo che non dovevamo tornare. Appena sono spariti le persone del villaggio sono arrivate a soccorrerci, in realtà ci hanno detto che già stavano arrivando appena hanno sentito le urla, ma mentre salivano dalla collina hanno sentito che i due coloni armati stavano caricando i fucili, e quindi si sono fermati perché gli avrebbero sparato. I coloni gli hanno anche tirato delle pietre».
La violenza dei coloni contro i palestinesi è infatti ancora più grande. Se è vero che con gli internazionali si “limitano” solitamente ad attacchi squadristi di stampo intimidatorio, quando affrontano i palestinesi non si fanno problemi a causare ferite gravissime e, non di rado, a uccidere.
Secondo un rapporto dell’Ufficio delle Nazioni Unite per il Coordinamento degli Affari Umanitari (OCHA), sono almeno 700 i palestinesi a essere stati feriti nei 1600 attacchi fatti dai coloni dall’inizio del 2025. Il numero – che calcola solo gli attacchi con danni alle proprietà o vittime – è quasi raddoppiato rispetto all’anno passato. Enormi i danni alle proprietà palestinesi, dove spesso vengono prese di mira le infrastrutture idriche ed elettriche. Anche il numero di palestinesi uccisi dalla violenza colona è esploso: dal 7 ottobre 2023 sono stati almeno 34, inclusi tre bambini. 20 di essi sono stati uccisi dai coloni, mentre gli altri 14 sono stati colpiti dai proiettili di coloni e militari dell’esercito che sparavano fianco a fianco, testimoniando una totale collaborazione nello stesso intento di pulizia etnica. Sono almeno 3200 i palestinesi costretti a lasciare la propria casa e la propria terra proprio a causa del terrorismo dei coloni e delle restrizioni amministrative e demolizioni imposte da Tel Aviv. La maggior parte delle persone sfollate appartiene alle comunità beduine che risiedono nelle aree C, ossia le zone sotto il totale controllo amministrativo israeliano ma che – in base al diritto internazionale – dovrebbero essere parte dello Stato di Palestina.
La completa impunità assicurata ai coloni, specialmente dal 7 di ottobre, la legittimazione da parte di Tel Aviv della politica di occupazione e annessione illegale delle terre palestinesi e l’inazione internazionale nonostante il genocidio in corso, hanno dato carta bianca ai circa 700mila coloni presenti in Cisgiordania. Il ministro della sicurezza Ben Gvir si era impegnato per regalare loro circa 100 mila fucili, donati alle “squadre di sicurezza” delle colonie, le famose “settlers security”, che assomigliano molto alle milizie che nella storia italiana abbiamo conosciuto al tempo del fascismo. Secondo l’organizzazione israeliana per i diritti umani Yesh Din, almeno il 93% delle inchieste aperte dai giudici israeliani sulle aggressioni dei coloni si è chiuso senza condanne.
«Sì, a noi hanno fatto male, contusioni, ematomi vari, però è un minimo rispetto a quello che fanno continuamente ai palestinesi», conferma l’attivista. «La famiglia da cui eravamo ospiti ci ha quindi soccorso subito e ci ha portati in ospedale». «Noi eravamo lì a fare quella che preferiamo chiamare presenza solidale, perché non è più protettiva; ormai i coloni agiscono apertamente dato il silenzio della comunità internazionale anche dopo i due anni di quello che succede a Gaza. La nostra presenza permetteva almeno alle persone del villaggio di riposare un po’, e di poter dormire senza dover stare svegli tutta la notte temendo attacchi», continua. «Questo attacco è anche un attacco alla solidarietà internazionale. L’hanno fatto per spaventarci, per mandarci via. Ma non ce ne andremo da Ein al-Duyuk. Né dalla Cisgiordania sotto occupazione».




