Mentre imperversa la settimana più nera dell’anno (quella di Black Friday & Co.) un fenomeno di consumo, già affacciato all’orizzonte da qualche anno, sta prendendo sempre più piede. Si tratta dei calendari dell’avvento di brand di lusso e cosmetica: uno strumento di marketing travestito da rituale natalizio, che spinge la dimensione commerciale mascherandosi da leva spirituale.
L’avvento, un tempo, era quel momento di attesa che preparava all’arrivo del santo Natale. Un periodo riflessivo, contemplato con grande osservanza dai cristiani fin dal IV secolo e scandito con candele e gessetti dai protestanti tedeschi all’inizio dell’Ottocento. Poi sono arrivati, in tempi più recenti, i calendari con le finestre: dietro ad ogni sportello un disegno, un’immagine o un cioccolatino. Riservati quasi esclusivamente ai più piccoli, nel giro di poco è arrivata un’ulteriore trasformazione e questi calendari, ormai, contengono di tutto di più! Non sorprese per i più piccoli, ma oggetti per adulti con i quali nutrire quotidianamente la smania di novità: emozioni giornaliere e gratificazioni immediate, per ventiquattro giorni di fila.
Negli ultimi dieci anni i calendari dell’avvento di lusso sono passati da oggetto di nicchia a pilastro del business natalizio, con prezzi, aspettative e storytelling cresciuti in modo esponenziale. Si tratta a tutti gli effetti di una categoria merceologica che vale centinaia di milioni e che si prevede raddoppierà il suo valore entro il prossimo decennio, superando i 2 miliardi di dollari a livello globale. Quando, nel 2014, il calendario beauty di Liberty London, lanciato in quantità limitate, è andato sold out rapidamente altri rivenditori hanno drizzato le antenne sulla possibilità reale che un cofanetto multi‑marchio potesse diventare il lancio più importante dell’anno. Da lì department store e retailer online hanno iniziato a costruire calendari complessi con decine di brand, trasformandoli in macchine di promozione ed acquisizione clienti. All’interno non solo prodotti beauty, ma vini pregiati, miniature di superalcolici, té, prodotti alimentari e persino gadget erotici.
Una mossa che ha coinvolto anche i brand del lusso, che hanno iniziato a proporre cofanetti dal valore percepito altissimo, con prezzi che superano le diverse centinaia di euro, ma con un “valore contenuto” spesso di gran lunga superiore al prezzo di vendita. Calendari da 250 euro che promettono oltre 1.000 euro di prodotti, invitano all’acquisto spingendo l’idea di affare imperdibile, pur restando nel territorio del superfluo. Oggi, alcuni calendari del segmento del lusso toccano tranquillamente cifre molto alte, con punte che sfiorano il migliaio di dollari.
Oltre alla “promessa di valore” (pagare meno dell’acquisto dei singoli prodotti) ci sono svariate leve che stanno aumentando la popolarità di questo fenomeno commerciale: la gratificazione quotidiana dell’unboxing e l’accesso simbolico al mondo del lusso, il tutto alimentato da una dimensione social che contribuisce ad elevare il proprio status. L’apertura delle finestrelle a favore di camera, infatti, diventa un momento da condividere e mostrare, soprattutto se il calendario è firmato o presenta loghi blasonati (l’hashtag #adventcalendar genera milioni di visualizzazioni su TikTok, dove gli influencer ne fanno un appuntamento fisso). In più, se fino a dieci anni fa a guidare l’acquisto era la curiosità di provare tanti piccoli prodotti, oggi il calendario è diventato un oggetto identitario: celebra il patrimonio del brand, enfatizza i best seller, offre “oggetti da fan” come charm, accessori o memorabilia. I marchi di alta moda lo usano per mettere in scena il proprio universo estetico in miniatura, con packaging strutturati, design scenografici e tirature limitate che alimentano code, liste d’attesa e resale sui canali secondari. Nel marketing il calendario viene ormai identificato come “gateway drug”: una porta d’accesso relativamente abbordabile per l’olimpo dorato di brand irraggiungibili (o comunque a cui si aspira). I mini-formati, come piccoli assaggi, diventano una leva importante per spingere in seguito l’acquisto del prodotto “intero” e per attirare nuovi clienti verso uno shopping più consistente post-feste.
Se da una parte il calendario dell’avvento firmato genera entusiasmo e frenesia, dall’altra parte mostra chiaramente come questi oggetti siano l’ennesimo prodotto creato ad hoc per alimentare il sovraconsumo, opportunamente infiocchettato da rituale natalizio. Le mini-taglie – più energivore da produrre rispetto al beneficio d’uso che offrono – spingono a provare continuamente nuovi prodotti, alimentando un ciclo di consumo rapido e poco sostenibile.
In queste trappole del marketing, di sostenibile c’è molto poco. I calendari, per racchiudere e contenere prodotti, sono realizzati con architetture complesse in cartone, plastiche e rivestimenti metallizzati difficili da riciclare. Ogni nuovo formato o stampa speciale comporta set-up di macchinari, prove, scarti di avviamento, spesso per tirature limitate che “sprecano” questa energia su pochi pezzi. Le dimensioni ridotte dei prodotti rendono inoltre complicato il recupero dei materiali nei sistemi di raccolta, con un’alta probabilità che finiscano in discarica o in mare (piccole dimensioni, grandi danni)! In merito a queste perplessità di carattere ambientale, alcuni brand stanno sperimentando packaging monomateriale, design riutilizzabili e focus su prodotti full size per ridurre il numero di mini e avvicinarsi alle aspettative dei consumatori più attenti.
Ma altre perplessità rimangono. Quella di aver sacrificato un antico rituale sull’altare del consumismo. Quella di aver confuso la speranza con la gratificazione; e di credere che la luce, al giorno d’oggi, si possa trovare in flaconcini da 5ml nascosti dietro la casella – brandizzata – del 17 Dicembre.




