Si è parlato tantissimo della famiglia del bosco e dell’allontanamento disposto dal Tribunale dei minori dell’Aquila per i figli di Catherine Birmingham e Nathan Trevallion, la coppia anglo-australiana balzata agli onori della cronaca per la loro scelta di vivere in un boschetto del Vastese in cerca di pace e di un contatto più diretto con la natura. Questa vicenda ha sollevato tantissimi interrogativi e si è trasformata in uno scontro, alimentato da disinformazione e sensazionalismo, tra i difensori di una vita più genuina e coloro che invece hanno acceso i riflettori sui diritti dei minori.
Ma c’è un aspetto ben più interessante che è stato taciuto, una questione che in questa lunga diatriba tra civiltà e libertà, potestà genitoriale e diritti del minore non è stata analizzata. E che vorrei portare alla vostra attenzione, servendomi degli strumenti che ci offrono la filosofia e la linguistica per capire la vera posta in gioco e la genesi di questo scontro.
Ma prima va chiarita una volta per tutte la questione dell’home schooling, o più precisamente della mancata scolarizzazione che è stata imputata ai figli dei Trevallion-Birmingham. Il Ministero dell’Istruzione ha comunicato con una nota che «risulta regolarmente espletato l’obbligo scolastico attraverso l’educazione domiciliare legittimata dalla Costituzione e dalle leggi vigenti e tramite l’appoggio a una scuola autorizzata».
Chiarita questa vicenda, il punto nevralgico dietro l’intervento dei servizi sociali poggia le sue basi sullo stato dell’abitazione descritto come insalubre, pericoloso, e incompatibile con la crescita dei bambini. In particolare vengono imputati alla famiglia l’assenza di allaccio alle utenze di gas e luce e di pericolosità strutturale dell’intero edificio, anche se il Corriere della Sera riporta che la perizia di un geometra segnala che dal punto di vista strutturale «l’abitazione risulta in discrete condizioni generali».
Ma dato che si è insistito molto sul freddo patito dai bambini, evocando scenari quasi dickensiani, occorre innanzitutto fare un po’ di chiarezza. Tanto per darvi un po’ di numeri: sono 1300 i comuni di alta montagna, e circa 4 milioni le persone che li abitano, che non sono serviti da gas diretto. Le aziende non reputano conveniente investire in queste aeree meno densamente popolate e l’onere di trovare metodi alternativi per riscaldare gli ambienti, come bomboloni di gas metano, stufe a pellet, camini a legna, termostufe, etc, ricade sui singoli cittadini. Non esiste una invece una stima precisa delle case italiane che non sono allacciate all’acquedotto: ma si tratta di realtà comuni nelle zone rurali e nelle case di campagna che fanno uso di pozzi artesiani e cisterne di raccolta dell’acqua.
Ma per tornare alla nostra famiglia, l’inviata del Corriere, mandata sul posto, riporta che la casetta dei Birmingham-Trevallion è ben riscaldata da un caminetto e stufa a legna con una temperatura interna di 22 gradi. La casa s’illumina la sera di luci alimentate dai pannelli solari, mentre l’acqua per bere, lavarsi e svolgere le normali mansioni quotidiane viene attinta da un pozzo. «È pieno d’acqua qui ed è acqua buona, perché dobbiamo pagarla se non manca?» si difende Nathan Trevallion.
In effetti la reale ed effettiva carenza d’acqua, una realtà comune a fin troppe famiglie siciliane abbandonate per mesi e mesi al degrado più assoluto, pare un’accusa assurda in un contesto ricco di acqua come quello di Palmoli.
«La cena ieri sera è stata verso le 17.30, poi i bambini hanno fatto il bagno in una vasca in legno fumante davanti al fuoco» racconta Paola Manfredi, inviata di Vanityfair che a Novembre aveva voluto trascorrere una giornata in compagnia della coppia, «per poi andare a dormire verso le 18.30 nella camera dove dorme tutta la famiglia, con le lucine da festa che la illuminano dolcemente».
La famiglia ha scelto di non avere il gas, non di stare al freddo, ha scelto di non essere allacciata alla rete idro-elettrica e non di stare al buio o di vivere senza acqua. Eppure i media, i giornali, perfino il Tribunale dei Minori lasciano supporre che la famiglia del bosco alla civiltà (rappresentata dall’allaccio alle utenze nazionali) abbia scelto lo stato selvaggio.

Ecco questa è ciò che la linguistica e la filosofia chiamano falsa dicotomia. Si tratta di una fallacia logica o di un’espediente retorico che offre due opzioni presentandole come se fossero le uniche due scelte possibili, quando in realtà esistono anche altre alternative. Ad esempio è una falsa dicotomia la domanda «preferisci il mare o la montagna?». La scelta, infatti, è pilotata e costretta tra mare e montagna, escludendo a priori risposte come «preferisco il lago, la collina, le acque termali etc». Ricorderete certamente l’ormai celebre «pace o aria condizionata» di Mario Draghi. O ancora sono false dicotomie affermazione del tipo «critichi il sistema capitalistico? Allora devi essere un comunista». Si tratta di una strategia retorica e manipolatoria che crea l’illusione di una libera scelta. In breve si può riassumere nel «o con noi o contro di noi».
Nessuno mette in dubbio che i bambini debbano vivere al caldo, in un ambiente illuminato o che abbiano il diritto di farsi il bagno. Catherine e Nathan non rivendicano il diritto di sacrificare i bisogni primari dei loro figli in nome di un idilliaco e romantico ritorno allo stato di natura, ma rivendicano il diritto di decidere come e con quali mezzi provvedere ai loro bisogni primari. Se servirsi di mezzi ufficiali e nazionali per così dire o di metodi alternativi di riscaldamento/illuminazione. Questo non è uno scontro tra diritti e (supposto) abuso di minori, ma è uno scontro tra la scelta di provvedere in autonomia ai propri bisogni primari e il monopolio di Stato e di grandi aziende private che pretendono di essere gli unici in grado di soddisfare questi bisogni.
Merita di essere letto questo passo tratto da quel meraviglioso saggio che si chiama La democrazia in America di Alexis Tocqueville, filosofo e giurista francese e precursore della sociologia moderna. Lo Stato «lavora volentieri al benessere della gente, ma vuole esserne l’unico agente e regolatore; […] estende il suo braccio sull’intera società; ne copre la superficie con una rete di piccole regole complicate, minuziose ed uniformi, attraverso le quali anche gli spiriti più originali e vigorosi non saprebbero come sollevarsi; esso non spezza le volontà, ma le infiacchisce; raramente costringe ad agire, ma si sforza continuamente di impedire che si agisca; non distrugge, ma impedisce di creare; non tiranneggia direttamente, ma ostacola, comprime, snerva, estingue, riducendo infine la nazione a non essere altro che una mandria di animali timidi ed industriosi, della quale il governo è il pastore».
La domanda da porsi sul caso della famiglia nel bosco pertanto non dovrebbe essere: la casa dei Birmingham-Trevallion è allacciata alle utenze e ha una rete idrica? Ma le domande da farsi sono: i bambino vivono al caldo? Sono puliti? Hanno luce a sufficienza per soddisfare le loro esigenze? Se la risposta a tali domande è affermativa, come hanno testimoniato le inchieste svolte, l’intervento di sospensione della potestà genitoriale è davvero legittimo? O si tratta di un abuso?
Infine, anche il cosiddetto isolamento sociale dei bambini sbandierato dai media e utilizzato per giustificare la sentenza di allontanamento, dato che lede il diritto alla vita relazionale del minore, poggia su un pregiudizio ideologico di fondo.
Tale scenario di isolamento cozza con la presenza di una trentina di famiglie neorurali con figli a carico che vivono in quella stessa zona praticando la stessa filosofia di vita dei Birmingham-Trevallion. Si potrebbe dire che la casa della famiglia del bosco dista solo pochi chilometri dal centro abitato, e che non è più isolata delle centinaia di migliaia di case sparse sul territorio alpino e nelle zone rurali della nostra penisola.

Tuttavia ciò che è interessante è che ancora una volta lo Stato, i media e perfino il Tribunale dei Minori si siano arrogati il diritto di decidere in base ai loro parametri cosa sia la socializzazione, quali relazioni siano benefiche, simbolo di socialità e benessere relazionale e quali invece non vadano considerate come tali. Un bambino che frequenta la scuola elementare, anche se è isolato dalla classe, bullizzato dai compagni e deriso dai coetanei, è avviato, agli occhi dello Stato, a un percorso relazionale sano e proficuo. Tre fratellini che crescono in compagnia dei figli dei loro vicini e che hanno modo di relazionarsi con bambini, adulti e perfino gli animali del loro personale angolo di paradiso sono considerati selvaggi e privati dai genitori di un diritto a loro fondamentale.
Ancora una volta sul banco dell’accusa non c’è un episodio di maltrattamento e neanche di irresponsabilità genitoriale, ma di due diverse e contrapposte visioni dell’esistenza e definizioni di socialità, dove l’unica riconosciuta dallo Stato sembra essere quella che passi attraverso la frequentazione di in un istituto scolastico. Come se appunto l’unica forma di socialità durante l’infanzia possa garantirla la scuola, e dunque lo Stato.
Una menzione a parte la merita la proposta del sindaco di Palmoli che ha generosamente offerto alla coppia un’abitazione in paese dove poter soggiornare assieme ai loro figli, un’offerta che seppur dettata dalla generosità diventa un ricatto morale che di fatto costringerebbe una famiglia che cerca pace e tranquillità a trasferirsi forzatamente in un contesto semi-urbano fatto di strade, macchine, rumori molesti di chi abita al piano di sopra o nella casa accanto, tutto ciò che ovviamente questa famiglia aveva cercato di evitare. E li costringe ad abbandonare quella che per anni hanno chiamato casa, per non parlare degli animali che vivevano con loro.
L’unica vera carenza e anomalia in questa famiglia, seppur diffusa in molte parti del mondo ma non in Italia, è rappresentata dal bagno esterno a secco, una scomodità e una stravaganza a dir poco obsoleta. Eppure sarebbe opportuno domandarsi se tutti coloro che hanno lavorato a stretto contatto con questa famiglia e ne abbiamo predisposto l’allontanamento dei figli in una struttura protetta, abbiano realmente soppesato i pro e i contro di tale misura. Il trauma, e le conseguenti ripercussioni psicologiche, per un bambino nell’essere separato forzatamente da un genitore e da quella che considera la propria casa vale la presenza di uno sciacquone in casa? Ai posteri l’ardua sentenza.




