martedì 25 Novembre 2025

Elezioni regionali, trionfa l’astensione: alle urne solo 4 elettori su 10

Con le tre vittorie nette dei candidati favoriti – Alberto Stefani, Antonio Decaro e Roberto Fico – si chiude rispettivamente in Veneto, Puglia e Campania l’ultima tornata di elezioni regionali del 2025. Se il risultato appariva scontato fin dagli inizi, a imporsi davvero è stato l’astensionismo che in queste tornate elettorali ha assunto la forma di massa, trasformandosi nel “primo partito” con un’insolita maggioranza assoluta. Il calo dell’affluenza, stimato intorno al 14% rispetto alle ultime regionali, evidenzia che poco più di quattro elettori su dieci hanno deciso di recarsi al voto, cifra che evidenzia il distacco sempre più profondo tra rappresentanza politica e Paese reale.

Effetto Zaia sulle elezioni regionali del Veneto: deputato con la Lega dal 2018 ed ex sindaco di Borgoricco, Alberto Stefani, l’uomo imposto da Matteo Salvini al centrodestra si afferma con il 65% su Giovanni Manildo (fermo attorno al 29%), ex sindaco di Treviso. La sorpresa, nella regione a trazione leghista, arriva dall’ex leghista e medico free vax Riccardo Szumski, già sindaco a Santa Lucia di Piave, nel trevigiano, dove ha incassato il 43% dei voti: la sua lista, “Resistere Veneto”, supera il 5%. Marco Rizzo di Democrazia Sovrana Popolare incassa l’1,09%, Fabio Bui di “Popolari per il Veneto” arriva allo 0,51%. In Campania, l’ex presidente della Camera dei deputati, Roberto Fico, surclassa il viceministro degli Esteri Edmondo Cirielli, con il 60% contro il 35% circa, mentre Giuliano Granato di Campania Popolare si assesta sul 2%, Nicola Campanile di “Lista PER” non arriva all’uno per cento, Stefano Bandecchi di “Dimensione Bandecchi” segna lo 0,49% e Carlo Arnese di Forza del Popolo lo 0,17%. Il centrosinistra può esultare anche in Puglia, dove l’ex sindaco di Bari ed ex presidente Anci, Antonio Decaro si impone su Luigi Lobuono, imprenditore e civico vicino a Forza Italia, con il 65% contro il 35%. La prima degli outsider, Ada Donno, sostenuta dal cartello di liste a sinistra del campo largo, “Puglia pacifista e popolare”, racimola appena l’0,7%, seguita da Sabino Mangano, di “Alleanza civica per la Puglia”, con lo 0,2%.

Il convitato di pietra di queste elezioni regionali è sicuramente l’astensionismo, sintomo della fine di un modello di partecipazione democratica. Il dato complessivo dell’affluenza si ferma al 43,64% contro il 57,60% delle elezioni precedenti nelle stesse regioni. Il calo maggiore dei votanti si registra in Veneto dove, stando alle previsioni, la battaglia elettorale era più prevedibile e meno eccitante: ha votato appena il 44,65% contro il 61,16% di cinque anni fa, quasi 17 punti percentuali in meno. Segue la Puglia dove si è recato alle urne il 14,61% in meno rispetto al 2020 (il 41,82% contro il 56,43%) e, infine, la Campania, dove il calo è più ridotto, ma il termine di paragone sulla base delle regionali precedenti era già il più basso: il 44,06% contro il 55,52% dell’ultima vittoria di Vincenzo De Luca. La tendenza al non voto era stata evidente anche in altre prove elettorali, nelle Marche, in Toscana, in Calabria e in Val D’Aosta. Anche allora l’affluenza era calata di quasi il 10% non arrivando alla soglia del 50% sia in Toscana (47,4%) sia in Calabria (43,15) e sfiorandola appena nelle Marche.

Il vero snodo politico di queste elezioni regionali non è tanto l’esito, che ha semplicemente confermato gli equilibri previsti, quanto l’incapacità dei partiti di riportare gli elettori alle urne, aprendo una riflessione inevitabile sulle conseguenze di una democrazia che ha progressivamente smarrito il legame con la cittadinanza sociale. Il disimpegno elettorale deriva da cause strutturali, legate a mutamenti demografici e sociali, contingenti, alla prevedibilità dei risultati, ma soprattutto sistemiche, riconducibili alla crisi dei partiti e al venir meno delle identità politiche. Il tema dell’astensione è stato oggetto di diversi richiami del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, che ancora pochi giorni fa, dall’assemblea dell’associazione nazionale dei comuni (Anci) a Bologna, ha parlato di «preoccupante flessione dell’esercizio del voto». «Non possiamo accontentarci di una democrazia a bassa intensità», ha ammonito il Capo dello Stato, constatando come la disaffezione al voto non si risolve con alchimie legislative, ma riportando il cittadino alle urne. Il Capo dello Stato ha indirettamente sollevato il tema di ipotetiche riforme della legge elettorale, di cui si discute nel centrodestra. «Non ci sono dogmi, ma crediamo che serva una nuova legge elettorale per assicurare stabilità», ha dichiarato Giovanni Donzelli, responsabile organizzazione di Fratelli d’Italia, commentando i risultati delle regionali. Dal fronte dell’opposizione sono emerse perplessità: la leader del Partito Democratico, Elly Schlein, ha interpretato l’annuncio come motivato dalla «paura di perdere» della destra, più che da un’esigenza strutturale del sistema.

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Enrica Perucchietti

Laureata con lode in Filosofia, vive e lavora a Torino come giornalista, scrittrice ed editor. Collabora con diverse testate e canali di informazione indipendente. È autrice di numerosi saggi di successo. Per L’Indipendente cura la rubrica Anti fakenews.

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