venerdì 14 Novembre 2025

Chi è il giudice Paolo Adinolfi e perché alla Casa del Jazz si scava per trovare i suoi resti

Sono passati 31 anni da quel 2 luglio 1994 in cui il giudice Paolo Adinolfi uscì dalla sua casa romana in via della Farnesina, dicendo alla famiglia «Torno più tardi, ci vediamo a pranzo», per poi svanire nel nulla. Oggi, quel caso irrisolto della Repubblica, l’unico che riguardi la scomparsa di un magistrato, torna alla ribalta con operazioni di scavo sotto la Casa del Jazz, nel quartiere Ardeatino. L’edificio, bene confiscato alla malavita organizzata e divenuto polo culturale, sorge su un terreno che fu di Enrico Nicoletti, considerato il “cassiere” della Banda della Magliana. È lì, in tunnel sotterranei mai esplorati, che si spera di trovare finalmente i resti del giudice, forse sepolto per aver incrociato, nei suoi delicati incarichi fallimentari, interessi troppo pericolosi.

Paolo Adinolfi, 52 anni al tempo della scomparsa, era un uomo di solide radici: un matrimonio lungo e felice con Nicoletta, due figli, un profondo legame con la madre. Di formazione cattolica, era un magistrato stimato, da appena venti giorni si era insediato come consigliere alla Corte d’Appello di Roma dopo una lunga e significativa esperienza alla sezione fallimentare del Tribunale civile. Proprio in quell’ufficio, crocevia di affari legali e loschi, dove si decidevano le sorti di aziende nazionali, il giudice aveva maturato quella fama di integerrimo servitore dello Stato che, secondo molti, potrebbe essere all’origine della sua sparizione.

La mattina della scomparsa fu un susseguirsi di azioni consuete e dettagli insoliti. Adinolfi si recò in macchina alla biblioteca del Tribunale in viale Giulio Cesare, dove fu notato in compagnia di un giovane mai identificato. Effettuò un’operazione bancaria, pagò bollette per la madre in un ufficio postale e, passando da piazzale Clodio, incontrò un collega che notò sul suo volto «uno strano cipiglio, un turbamento». Poi, il gesto più enigmatico: parcheggiata l’auto al Villaggio Olimpico, dove verrà poi ritrovata, inviò da un altro ufficio postale un vaglia di 500 mila lire alla moglie. Da lì in avanti, l’oblio. Alcuni testimoni lo videro su un autobus diretto ai Parioli, dove viveva la madre; le chiavi di casa e dell’auto furono ritrovate nella di lei cassetta della posta. Due giorni dopo, Adinolfi sarebbe dovuto andare a Milano per un importante appuntamento con il pm Carlo Nocerino. Secondo quanto ricostruito, intendeva riferire elementi importanti su legami tra settori deviati del servizio civile e società fantasma che operavano nella compravendita di immobili. Indagini che affondavano le radici nei grandi fallimenti di cui si era occupato.

Le inchieste sulla sparizione di Adinolfi si sono sviluppate per anni, sfociando il più delle volte in archiviazioni. L’ipotesi di un malore o di una fuga volontaria fu immediatamente scartata dai familiari. Le piste investigative hanno toccato più filoni: il crac della società Fiscom e quello della Ambra Assicurazioni, casi che portarono a sospetti intrecci tra malavita, prestanomi e ambienti deviati dei servizi. Enrico Nicoletti, indicato come il “cassiere” della Banda della Magliana – peraltro con importanti entrature nella corrente andreottiana della DC – era proprietario della villa su cui, dopo la confisca, è poi sorto il parco della Casa del Jazz; per anni circolò la voce che Adinolfi potesse essere stato seppellito in una proprietà a lui riconducibile. A rafforzare il sospetto, le parole dell’ex magistrato Otello Lupacchini, secondo cui Nicoletti interruppe proprio nel 1994 «il progetto edilizio di ristrutturazione di una dépendance della villa per realizzare un salone che si apriva su una catacomba». In occasione di un primo scavo, nel ’96, si trovò una galleria profonda, ma i lavori si fermarono dopo un crollo e per mancanza di fondi.

Solo pochi mesi fa, un’interrogazione a risposta scritta è stata presentata dalla deputata Stefania Ascari (e altri). Nel documento si sollecita il Governo a chiarire cosa le istituzioni abbiano in loro possesso sul caso della scomparsa del giudice Paolo Adinolfi e quali atti, compresi documenti riservati o archivi dei servizi, possano essere utili a riaprire o integrare le indagini. L’atto vuole fare chiarezza su eventuali coinvolgimenti di agenti dei servizi segreti italiani o coperture che avrebbero ostacolato la verità, chiedendo se siano state svolte verifiche sull’operato di basi militari vicine a una casa di proprietà della famiglia Adinolfi affittata da Vincenzo Fenili (alias “Kasper”), ex agente segreto e contractor del ROS, proprio per valutare possibili collegamenti con la sparizione di Adinolfi.

Nelle ultime ore, grazie a una segnalazione dell’ex giudice Guglielmo Muntoni e a nuovi finanziamenti, la Prefettura di Roma ha deciso di procedere in maniera dirompente. Il prefetto Lamberto Giannini ha spiegato: «È necessario fare una verifica, non perché si stia cercando in particolare qualcosa, ma perché si è avuta notizia che nel bene confiscato alla Banda della Magliana ci sarebbe una parte, una galleria che è stata tombata, non conosciuta, ed è giusto verificare cosa ci sia dentro». Non solo resti umani, ma eventualmente anche armi e soldi. L’intervento, prosegue, «è stato organizzato per motivi di sicurezza e trasparenza, perché se dovesse esserci qualcosa all’interno di quel tunnel chiuso da trent’anni, è giusto che sia preso in consegna dalle autorità competenti».

Sul luogo, coordinati dalla Prefettura, operano Polizia, Carabinieri, Guardia di Finanza e Sovrintendenza. Sono stati impiegati cani molecolari e artificieri, per il timore di trovare armi o esplosivi. Trattandosi di un tunnel molto profondo, oggi si procede con dei georadar e con una ruspa, per consentire scavi più efficaci. La famiglia Adinolfi ha stigmatizzato il fatto di non essere stata «né consultata né informata rispetto a questa iniziativa» affermando che non avrebbe «mai desiderato il clamore mediatico che ne è conseguito» e chiesto a tutti «silenzio e rispetto» per un «dolore infinito». Il figlio del magistrato, l’avvocato Lorenzo Adinolfi, è presente sul luogo.

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Stefano Baudino

Laureato in Mass Media e Politica, autore di dieci saggi su criminalità mafiosa e terrorismo. Interviene come esperto esterno in scuole e università con un modulo didattico sulla storia di Cosa nostra. Per L’Indipendente scrive di attualità, politica e mafia.

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