giovedì 20 Novembre 2025

Sardegna: transizione verde o colonialismo energetico?

C’è un’isola del Mediterraneo che sta venendo trasformata in una piattaforma energetica funzionale ai bisogni del continente. Questa terra è la Sardegna, luogo in cui la cosiddetta transizione energetica mostra tutte le sue contraddizioni, tanto da essere motivo di forti contrasti con la popolazione locale che – è il caso di affermarlo subito – sa sulla propria pelle quanto sia necessario abbandonare le fonti di combustibile fossile, ma contesta allo stesso tempo il modo, giudicato coloniale, con cui l’isola sta diventando l’hub italiano delle rinnovabili. Le criticità che riguardano le rinnovabili toccano svariate questioni e ci restituiscono un quadro complesso che coinvolge tanto aspetti tecnici quanto motivi identitari.

Secondo i dati del 2023 di Terna – società responsabile della gestione della rete di trasmissione nazionale dell’energia elettrica – il totale netto di energia elettrica prodotta in Sardegna è stato pari a 11.901,3 GWh (la maggior parte di quest’energia è legata alle fonti fossili) per un fabbisogno regionale di 7636,9 GWh. Il 29% dell’energia prodotta è stato esportato verso la Penisola e, in piccola misura, verso l’estero. Sempre secondo i dati Terna, all’inizio del 2023 in Sardegna erano installati impianti eolici e fotovoltaici per una capacità complessiva lorda pari a 2,24 GW, numero che rischia di crescere a dismisura. In Sardegna, infatti, le istanze di connessione di nuovi impianti presentate a Terna al 30 settembre 2025 sono 678, pari a 49,15 GW di potenza, suddivisi in 443 richieste di impianti di produzione energetica da fonte solare, 234 richieste di impianti di produzione energetica da fonte eolica a terra e in mare e una richiesta di impianti di produzione energetica da fonte idroelettrica. In questo scenario, laddove tutte le istanze diventassero realtà, la produzione sarda di energia rinnovabile supererebbe i 90.000 GWh, cioè undici volte i consumi elettrici annui dell’isola.

Come si gestisce tutta questa energia?

Turbine eoliche vicino a Portoscuso (SU)

Questa overdose di energia porrebbe non pochi problemi poiché non potrebbe essere consumata sull’isola, non potrebbe essere conservata – a oggi gli impianti di conservazione approvati sono pochi e di potenza estremamente ridotta – e non potrebbe essere trasportata verso la Penisola se non in piccola parte, dato che, anche quando entrerà in funzione il terzo cavidotto, la potenza complessiva trasportabile sarà di circa 2000 MW. Tutta quest’energia dovrà però essere pagata dal gestore della rete indipendentemente dal suo utilizzo. Come ha spiegato a L’Indipendente Antonio Muscas, ingegnere meccanico sardo, in presenza di un eccesso di offerta, Terna ha la possibilità di bloccare temporaneamente gli impianti di energia rinnovabile. L’eventuale stop non compromette il guadagno delle società energetiche a cui viene pagata l’energia che avrebbero prodotto se non fosse stato imposto il blocco.

Come abbiamo accennato, parte dell’energia sarda viene esportata tramite dei cavidotti. A oggi sono in funzione il SA.PE.I., un cavo che collega la Sardegna alla Penisola italiana, e il SA.CO.I., il collegamento tra Sardegna, Corsica e Penisola. Accanto a queste infrastrutture, è in costruzione il contestato Tyrrhenian Link, un doppio collegamento sottomarino tra Sicilia, Sardegna e Penisola che richiede un investimento di 3,7 miliardi di euro. La futura stazione di conversione del Tyrrhenian Link sorgerà nel comune di Selargius della città metropolitana di Cagliari: in quest’area, da febbraio 2024, Terna ha espiantato almeno 230 piante di ulivi che, a detta della società, sono stati reimpiantati mantenendone l’orientamento e l’esposizione. Prendendo come possibile lo spostamento di centinaia di ulivi senza provocare alcuna modifica e alcun trauma alle piante, è lecito domandarsi come mai Terna abbia optato per occupare aree di campagna anche attraverso espropri coatti piuttosto di preferire le vicine aree industriali. A sud-ovest di Selargius, si trova il comune di Sarroch, la cui zona industriale è occupata dalla Saras S.p.A., una delle più grandi raffinerie petrolifere d’Europa. Parte delle aree occupate dalla raffineria poteva essere destinata alla stazione di conversione del nuovo cavidotto, ma, come ricorda Muscas, l’esproprio di terre agricole ha un costo molto inferiore rispetto al prelievo di spazi industriali.

È utile qui spendere qualche parola sul gruppo Saras che, attraverso la Sardeolica s.r.l., gestisce l’impianto eolico sito nel comune di Ulassai. La scelta di occuparsi tanto di petrolio quanto di eolico potrebbe essere spiegata dai crediti di carbonio, ossia certificati negoziabili che rappresentano il diritto di emettere una tonnellata di anidride carbonica o la quantità equivalente di un diverso gas serra. Le aziende che non riescono a ridurre o eliminare le proprie emissioni di CO2 possono acquisire questi titoli – cioè i crediti di carbonio – da enti esterni certificati per finanziare, per esempio, progetti di produzione di energia pulita. Del gruppo Saras è anche la raffineria Sarlux che si trova al centro di un’inchiesta sulle emissioni con ipotesi di reato di disastro ambientale. Secondo la Procura di Cagliari le torce della raffineria, che si sarebbero dovute attivare solo in situazioni di emergenza, sarebbero rimaste in funzione quotidianamente dal 2019 al 2024, diffondendo nell’area polveri sottili e benzene oltre i limiti di legge.

Impianti eolici fronte chiesa

A breve distanza dalla Basilica di Saccargia, emblema dell’architettura romanica, si trova il parco eolico Nulvi Ploaghe

Dove debbano sorgere gli impianti di energia rinnovabile è una delle questioni più dibattute. Come ci spiega Lisa Ferreli, caporedattrice di Sardegna Che Cambia, la percezione della popolazione locale è che il territorio sardo venga considerato alla mercé dello Stato e dunque sfruttato per fini turistici, energetici, militari. Adottando quello che viene definito un “punto di vista italiano”, la transizione energetica è un obiettivo da raggiungere anche a costo di industrializzare e antropizzare zone rurali. Ferreli ricorda che in Sardegna sono numerose le aree industriali dismesse dove eventuali impianti non impatterebbero sul paesaggio già deteriorato. Una di queste è la penisola “delta” del poligono permanente di Capo Teulada. Si tratta di un promontorio di circa 2,78 km2 dove, fin dagli anni ’50, gli eserciti della NATO si esercitavano con i loro sistemi di arma e sperimentavano missili di ogni tipo, compromettendo tutte le forme di vita presenti nella zona. È possibile immaginare che l’idea di bonificare e utilizzare la penisola delta al fine di ospitare delle pale eoliche non incontrerebbe la contrarietà dei sardi, ma ciò risulta impossibile poiché le aree e i beni del demanio militare o a qualunque titolo in uso al Ministero della Difesa non sono considerati idonei per gli impianti eolici, così come per quelli fotovoltaici, di piccola, media e grande taglia.

Sorte diversa è invece quella della Basilica di Saccargia (provincia di Sassari). A breve distanza da questo monumento, emblema dell’architettura romanica, si trova il parco eolico Nulvi Ploaghe, il cui ampiamento (27 nuove torri eoliche alte fino a 180 metri con potenza complessiva 121,5 MW) è stato autorizzato. Sebbene il progetto fosse stato bocciato dal Ministero della Cultura per la vicinanza a siti di epoca nuragica e alla Basilica di Saccargia, è stato poi approvato dal Ministero della Transizione Energetica e dal governo Draghi e confermato dal Consiglio di Stato, che ha respinto il ricorso della Regione. Se fino a pochi anni fa il parere del Ministero della Cultura era vincolante, oggi l’ultima parola rispetto alla valutazione d’impatto ambientale spetta al governo, che può scegliere di ignorare i pareri negativi e approvare la costruzione di impianti. È la stessa Ferreli a individuare quest’episodio come un simbolo di una speculazione che ignora le peculiarità dei luoghi.

L’impatto sull’archeologia

La Sardegna è disseminata di testimonianze del patrimonio culturale nuragico e prenuragico. In questo caso nell’immagine possiamo osservare il complesso archeologico nuragico di Su Nuraxi di Barumini. La fortezza risalente all’età del bronzo è patrimonio mondiale dell’UNESCO

Il territorio sardo ha un’altissima percentuale di siti archeologici, tanto che non è esagerato affermare che l’isola è disseminata di testimonianze del patrimonio culturale nuragico e prenuragico. A oggi non esiste un elenco ufficiale dei siti archeologici sardi per diversi motivi: difficoltà di censimento dovuto al loro elevatissimo numero, siti che si trovano in luoghi di difficile accessibilità, scarso interesse da parte dello Stato a finanziare gli scavi archeologici sull’isola (anche per non alimentare il sentimento di nazionalismo sardo che potrebbe essere ravvivato da una maggiore conoscenza della civiltà nuragica che si è sviluppata nel corso dell’Età del bronzo e del ferro, ma che non è possibile inserire nella periodizzazione storica italiana per le sue peculiarità uniche nel suo genere). Il fatto di non avere una lista completa delle aree archeologiche fa sì che eventuali impianti eolici vengano approvati in zone di interesse culturale. Inoltre, sebbene per legge gli impianti eolici debbano distare almeno 3 km dai siti archeologici, l’area di “cuscinetto” non è sempre rispettata. Sara Corona, archeologa e divulgatrice culturale sarda, ci ha spiegato che molti progetti vengono presentati con delle valutazioni di impatto ambientale che non tengono conto del rischio archeologico. Un disinteresse da parte delle imprese che testimonia la loro fretta nell’aggiudicarsi sempre più terre. Corona fa riflettere anche su un altro aspetto poco affrontato: il cambiamento del rapporto visivo determinato dagli impianti eolici. Gli aerogeneratori di ultima generazione raggiungono i 200 metri di altezza, dimensione che potrebbe modificare in modo significativo la percezione dell’ambiente circostante riflettendosi anche sull’archeologia locale. La vicinanza di gigantesche pale altera il rapporto dei siti archeologici con il territorio poiché viene cambiata la scala di riferimento.

La concentrazione di siti archeologici restituisce agli isolani la consapevolezza di vivere in un territorio antico, sensazione che, per Corona, si sovrappone all’idea di abitare un territorio rurale che rischia di essere sempre più alterato dall’industrializzazione. Puntando l’attenzione verso i progetti di grandi parchi eolici, non è sbagliato affermare che la loro presenza abbia un forte impatto sul rapporto delle persone con la terra. Rispetto a questa questione, Corona ha effettuato una ricerca nel territorio di Villanovaforru (provincia del Sud Sardegna) dove gli abitanti, minacciati dagli espropri, si sono sentiti privati del diritto di decidere la destinazione d’uso delle terre, con la conseguente interruzione di attività rurali di lunga tradizione. In quell’occasione, oltre alla perdita dell’autodeterminazione della comunità, è stato osservato un ulteriore problema: l’inquinamento acustico. In alcune zone di campagna del territorio comunale il rumore delle pale di un piccolo impianto eolico si sente sia a casa sia nei campi, condizione che fa vivere in modo differente lo stare all’aria aperta e il coltivare la terra a causa del fastidio provocato dal continuo ronzio causato dalle pale in movimento. 

Opzione off-shore 

Esempio di impianto eolico off-shore

In Sardegna, la soprintendenza speciale per il PNRR ha registrato «una complessiva azione per la realizzazione di nuovi impianti da fonte rinnovabile […] tanto da prefigurarsi la sostanziale sostituzione del patrimonio culturale e del paesaggio con impianti di taglia industriale per la produzione di energia elettrica oltre il fabbisogno regionale previsto». Sembrerebbe dunque che l’esubero di progetti di energia rinnovabile sia oramai sotto gli occhi di tutti, eppure nulla sta cambiando. Se da una parte le aziende energetiche continuano a presentare istanze di connessione a Terna in modo da almeno accaparrarsi le terre – anche nel tentativo di bloccare l’avanzata della concorrenza –, dall’altra stanno aumentando i progetti di eolico off-shore come quello che vorrebbero costruire davanti alla costa sud occidentale della Sardegna. La centrale, che prevede l’installazione di 42 turbine galleggianti con un’altezza massima di quasi 350 metri sul livello dell’acqua, è già stata sottoposta al parere, per ora secretato, del Ministero dell’Ambiente e ora attende quello del Ministero della Cultura. Ciò che preoccupa maggiormente, oltre alla visibilità dalle coste dell’isola di San Pietro, è l’impatto sull’ambiente e sulla fauna. L’impianto interferirebbe con le rotte migratorie dell’avifauna selvatica (in particolare con il Falco della Regina che nidifica sull’isola di San Pietro) e con la fauna marina, specialmente con il tonno rosso, la cui pesca rappresenta un elemento importante per l’economia locale. Oltre al rischio di perdita di biodiversità, bisogna tenere conto della possibile interruzione dei sistemi di comunicazione e navigazione nei mammiferi marini dovuta all’inquinamento acustico.

Colonialismo ecologico 

Vista la corsa ai progetti di energia rinnovabile, Sara Corona non ha difficoltà ad affermare che in Sardegna si sta assistendo a un vero e proprio fenomeno di land grabbing ai danni delle comunità rurali. Le zone di campagna non solo vedono un continuo abbandono della terra soprattutto da parte dei giovani, ma sono invase da progetti che fanno leva su questo spopolamento. Non è un caso che i luoghi prescelti dalle aziende per la costruzione degli impianti siano aree periferiche nella convinzione che in questi posti sia minore l’opposizione della comunità locale. In Sardegna le realtà contrarie al pullulare di progetti di energia rinnovabile sono invece numerosissime perché è sentimento comune che quello che sta avvenendo sia una nuova forma di colonialismo estrattivo da parte dello Stato italiano. Come abbiamo visto, l’energia prodotta in Sardegna è già in esubero e le infrastrutture hanno una capacità di trasporto molto limitata, ma questo scenario non limita le aziende, forti del fatto che verrebbero pagate anche laddove la produzione di energia dovesse essere interrotta. Una delle maggiori critiche avanzate verso questo passaggio alle risorse rinnovabili è che sta avvenendo seguendo gli stessi dettami della produzione di energia tradizionale: sebbene le risorse utilizzate siano infinite – nel caso dell’eolico il vento –, la terra che dovrebbe ospitare gli impianti non lo è. La popolazione sarda non è contraria alla transizione, ma si batte contro l’assoluta esclusione delle comunità dalla decisione di cosa fare sulle proprie terre e di cosa fare dei propri territori. 

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Francesca Faccini

Laureata in Lettere presso l’Università di Bologna, si occupa principalmente di temi legati a cibo, ambiente, tecnologia e società.

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