giovedì 6 Novembre 2025

L’India ha avviato esperimenti di inseminazione artificiale delle nuvole

Nuova Delhi, capitale dell’India, è tornata a fare notizia per l’aria che respirano i suoi abitanti. Con i livelli di inquinamento che toccano vette critiche, le autorità di Delhi, in collaborazione con l’Indian Institute of Technology (IIT) di Kanpur, hanno dato il via agli esperimenti di inseminazione delle nuvole (cloud seeding). Con questa mossa, le autorità indiane intendono infatti indurre piogge artificiali per “lavare” lo smog, sollevando un acceso dibattito in merito all’efficacia a breve termine di questa tecnica controversa, a fronte di un problema che ha radici storiche strutturali. 

Come riportato da media indiani, l’iniziativa si è concretizzata a partire dal 28 ottobre 2025, con un primo volo di prova, dopo settimane in cui l’Indice di Qualità dell’Aria (AQI) ha superato abbondantemente la soglia considerata come “pericolosa”. Altri voli (almeno due) sono poi stati condotti nei cieli della capitale, mentre altri ancora saranno condotti nelle prossime settimane. Il piano, costato l’equivalente di circa 400.000 dollari, prevede l’utilizzo di aerei per il rilascio di sostanze come lo ioduro d’argento e il cloruro di calcio nelle nuvole. Queste sostanze agiscono come nuclei di condensazione, accelerando la formazione di goccioline di pioggia (da qui il termine “inseminazione delle nuvole”). I primi test, tuttavia, hanno incontrato difficoltà: la scarsa umidità atmosferica ha reso inefficaci i tentativi iniziali.

Un rapporto pubblicato dall’ufficio del Ministro dell’Ambiente di Delhi (IIT-Delhi), Manjinder Singh Sirsa, sminuisce la portata e gli effetti di queste tecniche. Il rapporto dell’IIT-Delhi, di cui ha parlato anche Nature, ha concluso che l’atmosfera invernale di Delhi è climaticamente inadatta per una applicazione di tecniche di cloud seeding che siano “consistenti ed efficaci”. Esperti ambientali definiscono l’esperimento un costoso “espediente” che non affronta le radici del problema, ma è solo una “misura SOS” temporanea e insostenibile. Una tecnica della quale, oltretutto, si ignorano ancora le possibili conseguenze nocive a medio e lungo termine, come approfondito su L’Indipendente in una inchiesta.

La crisi dell’aria di Delhi non è un fenomeno nuovo, ma la manifestazione di un problema che affonda le radici in decenni di sviluppo incontrollato, aggravato dal fatto che la capitale indiana si trova al centro di una conca geografica che, soprattutto in inverno, intrappola l’aria fredda e lo smog. L’inquinamento atmosferico non è solo un disastro ecologico, ma ha un impatto profondo sull’economia e sulla salute pubblica. Lo smog riduce la visibilità, causando ritardi di trasporti e una riduzione della produttività del lavoro indotta dalle malattie. L’OMS, nei suoi report, ha spesso indicato Nuova Delhi tra le città più inquinate al mondo. L’esposizione al PM 2.5 è collegata a malattie respiratorie croniche e a una riduzione stimata della speranza di vita fino a 10 anni in alcune aree. La decisione di optare per il cloud seeding riflette l’incapacità politica di far fronte in modo strutturale a un problema che trascende i confini statali e regionali, e ancor di più i cicli elettorali. Nel migliore dei casi, l’inseminazione delle nuvole potrebbe offrire un effimero sollievo capace di rinviare il problema, risolvibile solo tramite politiche ecologiche e industriali che affrontino la tossicità dell’aria alla radice.

L’inseminazione artificiale delle nuvole è utilizzata in maniera sperimentale in diversi Paesi. I più attivi a livello globale sono gli Emirati Arabi Uniti dove, lo scorso anno, analoghi esperimenti furono seguiti da inedite piogge torrenziali e grandinate che paralizzarono la città di Dubai.

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Michele Manfrin

Laureato in Relazioni Internazionali e Sociologia, ha conseguito a Firenze il master Futuro Vegetale: piante, innovazione sociale e progetto. Consigliere e docente della ONG Wambli Gleska, che rappresenta ufficialmente in Italia e in Europa le tribù native americane Lakota Sicangu e Oglala.

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