La crisi tra Stati Uniti e Venezuela torna a infiammarsi. Nelle ultime ore, Washington ha dato il via al più imponente dispiegamento navale nel Mar dei Caraibi, dalla crisi dei missili di Cuba nel 1962: la portaerei USS Gerald Ford, la più grande della flotta americana, è salpata insieme ad altre tre navi da guerra con a bordo circa 4.000 militari. Il Pentagono parla di un’operazione contro il narcotraffico, ma il messaggio politico è chiaro: gli Stati Uniti vogliono mostrare i muscoli a Caracas. Nel frattempo, un raid aereo statunitense in acque internazionali ha colpito una nave sospettata di traffico di droga, causando la morte di tre persone.
Sebbene venerdì il presidente Donald Trump avesse dichiarato di non voler attaccare il Venezuela, smentendo le indiscrezioni del Wall Street Journal e del Miami Herald che avevano parlato di attacchi imminenti, la tensione continua a salire. Da settimane, gli Stati Uniti stanno rafforzando la loro presenza militare nel Mar dei Caraibi e nel Pacifico orientale. Navi lanciamissili dotate di Tomahawk, caccia F/A-18 e aerei da guerra elettronica EA-18 Growler pattugliano la regione, mentre bombardieri B-52 e B-1 hanno condotto missioni di ricognizione a ridosso delle coste venezuelane. La vicina Repubblica di Trinidad e Tobago ha messo il proprio esercito in stato di allerta, temendo un’escalation. Sebbene, la Casa Bianca neghi piani di invasione, fonti interne citate dai media americani riferiscono che sarebbero già stati individuati porti e aeroporti venezuelani ritenuti “obiettivi sensibili” legati al traffico di droga.
Mentre le navi americane si avvicinano alle acque venezuelane, da Mosca arriva una presa di posizione. Il ministero degli Esteri russo, tramite la portavoce Maria Zakharova, ha denunciato sabato «l’uso eccessivo della forza militare» da parte degli Stati Uniti nel Mar dei Caraibi, riaffermando il «sostegno alla leadership venezuelana nella tutela della sovranità nazionale». «Stiamo monitorando attentamente la situazione in Venezuela», ha dichiarato il portavoce del Cremlino, Dmitrij Peskov, ribadendo che la Russia auspica una soluzione pacifica. La diplomazia si accompagna ai fatti: il presidente venezuelano Nicolás Maduro ha inviato una richiesta formale di assistenza militare a Vladimir Putin, chiedendo sistemi radar difensivi, pezzi di ricambio per i caccia Sukhoi Su-30, motori e missili antiaerei. L’alleanza tra Caracas e Mosca non è nuova: i due Paesi hanno firmato a maggio un accordo di cooperazione strategica che comprende forniture energetiche, addestramento militare e tecnologia di difesa. Tuttavia, gli analisti restano cauti. La Russia, già impegnata sul fronte ucraino e limitata dalle sanzioni occidentali, potrebbe non disporre delle risorse necessarie per un intervento diretto. Ciononostante, anche solo un appoggio simbolico a Maduro rischia di riaprire un fronte di tensione tra Mosca e Washington in quello che, storicamente, gli Stati Uniti considerano il loro “cortile di casa”. Caracas nel frattempo, guarda anche a Pechino e Teheran per ampliare le alleanze e rompere l’isolamento internazionale.
La crisi ha immediatamente suscitato reazioni nella comunità internazionale. Nazioni Unite e Unione Europea hanno già espresso preoccupazione per l’aumento della tensione e per il rischio di un conflitto nella regione. Il commissario dell’ONU per i diritti umani, Volker Türk, ha chiesto l’apertura di un’inchiesta sui raid militari americani contro le imbarcazioni nel Mar dei Caraibi e nel Pacifico, definendo gli attacchi “inaccettabili”. Esperti di diritto internazionale ricordano che qualsiasi azione militare non autorizzata dal Consiglio di Sicurezza costituirebbe una violazione del principio di sovranità e del divieto dell’uso della forza sancito dalla Carta delle Nazioni Unite. In America Latina, diversi Paesi hanno invitato Washington a evitare «iniziative unilaterali» e Caracas a non rispondere alle provocazioni. Il presidente del Brasile, Luiz Inácio Lula da Silva, ha dichiarato che l’ingresso di imbarcazioni statunitensi nei Caraibi «è una fonte di preoccupazione» e che il Paese intende evitare uno scontro diretto. La situazione resta incandescente. Oltre al destino del Venezuela, in gioco non ci sono solo relazioni bilaterali, ma la tenuta del diritto internazionale e l’equilibrio di potere in un mondo che sembra tornare pericolosamente ai vecchi fantasmi della guerra fredda.




