Il faccia a faccia a Busan, in Corea del Sud, tra Donald Trump e Xi Jinping ha segnato una svolta inattesa nelle relazioni tra Stati Uniti e Cina. Le due superpotenze, in un vertice durato meno di due ore e senza conferenza stampa congiunta, hanno annunciato un’intesa che tocca tre pilastri dell’attuale confronto: dazi, terre rare e la cooperazione in Ucraina. Negli ultimi mesi, i rapporti commerciali si erano fatti sempre più tesi, con dazi unilaterali e restrizioni all’export delle terre rare da Pechino, una mossa giudicata “ostile” da Washington. Alla vigilia dell’incontro, Trump aveva minacciato misure fino al 100% sui dazi, mentre Xi aveva annunciato limitazioni all’export dei minerali critici. L’accordo raggiunto, che potrebbe essere firmato a breve, prevede una riduzione dei dazi per le merci cinesi importate negli USA e un impegno cinese a garantire l’export globale delle terre rare. Contemporaneamente, è emersa l’intesa a collaborare anche sul dossier Ucraina, segnando una convergenza che fino a poco tempo fa sembrava impensabile.
Secondo quanto trapelato, gli Stati Uniti ridurranno i dazi sui prodotti cinesi più colpiti, dal 57% al 47%, e abbasseranno al 10% quelli sul fentanyl. Washington ha inoltre sospeso l’introduzione di nuovi dazi aggiuntivi, inizialmente previsti come ritorsione. Pechino, da parte sua, si è impegnata ad aumentare l’acquisto di soia e altre materie prime americane, garantendo un flusso stabile di scambi. L’obiettivo è allentare un conflitto commerciale che, negli ultimi anni, ha destabilizzato le catene globali di approvvigionamento. L’intesa prova a restituire fiducia ai mercati e a dare ossigeno a due economie interdipendenti ma rivali. Si tratta di un compromesso che offre sollievo a imprese e investitori, ma che necessita di verifiche puntuali. Resta, infatti, aperta la fase di controllo, durante la quale le delegazioni dei due Paesi dovranno definire le modalità operative e monitorare l’attuazione delle clausole.
Uno dei punti centrali dell’accordo riguarda le cosiddette “terre rare”, minerali essenziali per semiconduttori, veicoli elettrici e tecnologie militari. La Cina, che detiene oltre il 70% dell’estrazione mondiale e circa il 90% della lavorazione, ha accettato di mantenere aperte le esportazioni, in un quadro annuale rinegoziabile. In cambio, gli Stati Uniti rinunciano a nuove restrizioni e a un inasprimento dei dazi nel settore. “Tutte le terre rare sono state colonizzate, e questo vale per il mondo”, ha dichiarato Trump, annunciando che ora “l’ostacolo è stato rimosso”. Il patto riconosce implicitamente il peso strategico di Pechino e tenta di evitare che il controllo dei minerali diventi un’arma geopolitica. La stabilità delle forniture rappresenta un segnale importante per le industrie tecnologiche e per la transizione energetica globale. Tuttavia, gli analisti avvertono: la tregua non elimina il rischio di tensioni future, che potrebbero riemergere in caso di nuove restrizioni o squilibri di mercato.
Trump e Xi hanno annunciato la volontà di “lavorare insieme” sulla crisi ucraina, senza fornire, però, dettagli su tempi o modalità. L’impegno rappresenta un cambio di tono nella politica estera di entrambe le potenze. La vigilia dell’incontro è stata, però, segnata da un messaggio di Trump sul suo social Truth, in cui ordinava la ripresa dei test nucleari dopo trent’anni di sospensione. “Fanno tutti test nucleari, penso sia giusto che lo facciamo anche noi”, ha spiegato il presidente americano, alimentando le tensioni internazionali. La notizia ha inevitabilmente gravato sul vertice di Busan, dove il tema della deterrenza è rimasto in filigrana dietro gli intenti di cooperazione. Queste esternazioni giungono a margine dei test condotti mercoledì dal Cremlino sul siluro a propulsione nucleare Poseidon. Appena tre giorni prima, la Russia aveva eseguito il test di un missile da crociera a propulsione nucleare Burevestnik. Nelle intenzioni dichiarate, Trump auspica una futura “denuclearizzazione”, da negoziare con Mosca e Pechino, ma il linguaggio resta quello della pressione e della politica muscolare. Nonostante ciò, l’accordo con Xi segna un primo passo verso un riequilibrio tattico tra le due maggiori economie del pianeta. Il dossier di Taiwan resta fuori dal tavolo, ma incombe sul futuro delle relazioni bilaterali. Il vertice di Busan, più che una pace, segna una tregua strategica. Le prossime mosse, tra cui la visita di Trump in Cina in aprile e la contro-visita di Xi a Washington, diranno se la distensione potrà trasformarsi in un equilibrio duraturo.




