La Corte dei Conti ha bocciato il progetto del Ponte sullo Stretto, respingendo la delibera del Comitato interministeriale per la programmazione economica e lo sviluppo sostenibile (Cipess) che impegna 13,5 miliardi di euro per la costruzione dell’opera. Le motivazioni dei giudici contabili non sono ancora state rese note, ma secondo le prime ricostruzioni giornalistiche ricalcherebbero i dubbi già espressi dalla Corte lo scorso settembre: documentazione carente, calcoli poco chiari, e mancato rispetto delle norme ambientali. Gli esponenti dei partiti di governo si sono scagliati contro la decisione dei magistrati: la presidente del consiglio Giorgia Meloni l’ha definita «l’ennesimo atto di invasione della giurisdizione sulle scelte del Governo e del Parlamento», mentre il ministro Salvini ha affermato che il governo andrà avanti per la propria strada. Il no della Corte, infatti, è scavalcabile con una deliberazione del Consiglio dei Ministri, che può giudicare il progetto di interesse pubblico.
La seduta della Corte dei Conti si è tenuta ieri, mercoledì 29 ottobre, e le motivazioni della bocciatura dell’atto del Cipess saranno rese note entro 30 giorni. L’analisi della delibera del Comitato interministeriale era stata effettuata dall’Ufficio di controllo della Corte, che aveva evidenziato l’assenza di documenti cruciali, le deroghe ai vincoli ambientali, nonché diversi dubbi procedurali: la magistrata delegata Carmela Mirabella, spiega Rainews, avrebbe rimarcato il mancato coinvolgimento del Consiglio superiore dei lavori pubblici e dell’Autorità dei trasporti, e, si legge su Repubblica, avrebbe notato l’assenza di firma in diversi pareri chiave. La Corte, si legge in un intervento dell’opposizione presso la Camera dei Deputati, ha inoltre espresso «dubbi di compatibilità con il diritto comunitario per la “reviviscenza” dei vecchi contratti del 2006, riattivati senza gara, nonostante modifiche sostanziali al progetto e al suo finanziamento oggi interamente pubblico». Il progetto in discussione per il Ponte, infatti, non è stato attivato da zero, ma si rifà ai contratti stipulati nel 2006 con Eurolink, che sono stati riattivati senza indire una nuova gara d’appalto; il vecchio progetto valeva 3,9 miliardi di euro, che sarebbero stati stanziati tra pubblico e privato, mentre quello di oggi è interamente pubblico. Le procedure europee, tuttavia, richiedono l’indizione di una nuova gara se il costo di un contratto supera del 50% la spesa prevista nel contratto originale. Secondo la Corte che non vi sarebbe abbastanza evidenza che tale soglia non venga superata.
Proprio la questione dei costi sembra essere centrale nella bocciatura della delibera Cipess. Già nella richiesta di chiarimenti rilasciata dalla Corte lo scorso settembre, i magistrati evidenziavano la mancata coerenza dei calcoli relativi alle spese per il Ponte. I giudici avevano rilevato un «disallineamento tra l’importo asseverato dalla società Kpmg in data 25 luglio 2025 – quantificato in euro 10.481.500.000 – e quello di euro 10.508.820.773 attestato nel quadro economico approvato il 6 agosto 2025», e notavano come diverse voci, dagli oneri per le condizioni contrattuali (cct) a quelli per la sicurezza, fossero lievitate rispetto al progetto preliminare.
Il governo non ha preso bene la bocciatura della Corte dei Conti. In un post sui social, la premier Meloni ha criticato aspramente i giudici, affermando che si batterà contro la loro «intollerabile invadenza, che non fermerà l’azione di Governo sostenuta dal Parlamento». Il ministro delle Infrastrutture Salvini le ha fatto eco, scrivendo che «se la casta dei giudici pensa di fermare il cambiamento, la modernità e le opere pubbliche portate avanti da un governo scelto e sostenuto dagli Italiani, ha sbagliato a capire», rilanciando il progetto. Lo stop della Corte dei Conti impedisce la pubblicazione dell’atto del Cipess in Gazzetta Ufficiale, bloccando di fatto l’approvazione del progetto; la scelta della magistratura, tuttavia, è scavalcabile attraverso una delibera del Consiglio dei Ministri: nel caso in cui un controllo della Corte riguardi un atto governativo, infatti, il governo «può ritenere che l’atto risponda ad interessi pubblici superiori e debba avere comunque corso», spiega la stessa Corte. In tal caso, la Corte dovrebbe decidere se mantenere o meno la propria contrarietà all’atto. Nel primo caso, concederebbe il visto, e l’atto verrebbe pubblicato; nel secondo caso, dopo un passaggio parlamentare, l’atto finirebbe per venire comunque registrato, ma con una formale riserva dei magistrati.




