La crisi politica in Madagascar ha raggiunto un nuovo punto di tensione. Una parte dell’esercito, i membri dell’unità d’élite Capsat, si è schierata con i manifestanti che da settimane protestano contro il presidente Andry Rajoelina. Come scrive Jeune Afrique, il Capo dello Stato sarebbe stato costretto a lasciare la capitale dopo che il corpo di gestione del personale dell’esercito del Madagascar ha rifiutato di eseguire gli ordini delle autorità di aprire il fuoco sui manifestanti e ha occupato una piazza nel centro della città. Le forze ribelli sostengono di aver assunto il controllo di diverse basi militari e di aver nominato un nuovo comandante, il generale Demosthène Pikulas. Rajoelina ha denunciato un «tentativo di prendere il potere illegalmente e con la forza», ha invitato la popolazione a «difendere la democrazia» assicurando che «la situazione è sotto controllo» e ha convocato d’urgenza il Consiglio di sicurezza nazionale.
Nel 2009, il contingente militare Capsat della base militare situata alla periferia della capitale malgascia Antananarivo aveva già guidato un ammutinamento durante la rivolta popolare che portò al potere proprio l’attuale presidente, ora contestato. La catena di comando militare appare ora frammentata e la capitale è divisa tra zone controllate dal governo e aree presidiate dai reparti ribelli. Intanto, la folla continua a riempire la Place du 13 Mai, mentre cresce l’incertezza sul destino del governo e aumenta la pressione sul Capo di Stato. Le proteste, lanciate il 25 settembre dal movimento della Generazione Z per protestare contro i tagli all’acqua e all’elettricità e contro l’aumento dei prezzi, si sono progressivamente trasformate in un movimento militare e politico contro l’esecutivo. I disordini di sabato sono iniziati dopo che alcuni membri dell’unità Capsat hanno pubblicato online un discorso in cui chiedevano a tutte le forze di sicurezza di «rifiutarsi di essere pagate per sparare ai nostri amici, ai nostri fratelli, alle nostre sorelle» e hanno invitato tutte le forze di sicurezza a lasciare i loro incarichi e a disobbedire ai superiori: «Noi, come personale militare, non stiamo più svolgendo il nostro ruolo», ha dichiarato un membro dell’unità nel discorso, circondato dai suoi commilitoni. In precedenza, la polizia aveva sparato granate stordenti e gas lacrimogeni per cercare di disperdere i manifestanti.
I dimostranti accusano il presidente Raojelina di aver tradito le promesse di riforma e di mantenere un sistema di potere bloccato e inefficiente. Il ministro delle Forze Armate, recentemente nominato, ha invitato le truppe a «mantenere la calma», durante una conferenza stampa tenutasi sabato. Nonostante il rimpasto di governo annunciato il 29 settembre, la mobilitazione è proseguita in tutto il Paese. Le autorità hanno imposto coprifuoco parziale in alcune province e limitato le comunicazioni mobili in alcune aree urbane. Secondo fonti locali e organizzazioni internazionali, almeno venti persone sono morte negli scontri delle ultime settimane, mentre oltre cento risultano ferite. Il governo parla di «incidenti isolati» e accusa «agitatori esterni» di alimentare la violenza. Sabato 11 ottobre, alcuni reparti della Capsat hanno lasciato le loro caserme per unirsi ai cortei, invitando altri militari a non intervenire contro i civili. Il ministro della Difesa ha ribadito che «le forze armate devono restare neutrali» e ha chiesto ai soldati di rientrare nei ranghi, ma diversi ufficiali di medio livello si sarebbero già uniti al movimento di protesta.
Parlando alla televisione di Stato sabato sera, il primo ministro, Ruphin Fortunat Zafisambo ha chiesto un cessate il fuoco immediato e l’apertura di un tavolo di mediazione, affermando che il governo è «pienamente pronto ad ascoltare e ad avviare un dialogo con tutte le fazioni: giovani, sindacati o militari». Rajoelina ha nominato Zafisambo e un nuovo ministro della Difesa e della Sicurezza dopo aver sciolto il precedente governo la scorsa settimana in risposta alle proteste. Intanto, gruppi civici e religiosi tentano di favorire un dialogo tra governo, opposizione e forze armate. La comunità internazionale osserva con preoccupazione l’evolversi della situazione in Madagascar: l’Unione Africana ha invitato «tutte le parti alla calma» e ha chiesto il rispetto dell’ordine costituzionale. Le Nazioni Unite monitorano la situazione, mentre alcuni Paesi europei hanno raccomandato ai propri cittadini di evitare viaggi verso l’isola. Le forze ribelli dichiarano di voler garantire la sicurezza dei civili e di non voler «prendere il potere», ma solo «ripristinare la legalità». Secondo la Banca Mondiale, circa il 75,2% della popolazione del Madagascar vive al di sotto della soglia di povertà nazionale. La pandemia di COVID-19, gli elevati prezzi dei prodotti alimentari di base e le condizioni metereologiche hanno messo a dura prova la produzione agricola, uno dei principali motori economici del Paese. Si teme, inoltre, che i dazi del presidente Trump possano danneggiare le esportazioni di vaniglia e di altre materie prime da cui l’isola dipende fortemente. Le prossime ore saranno decisive per capire se il Madagascar riuscirà a evitare un nuovo colpo di Stato o se la crisi evolverà in un conflitto interno destinato a cambiare ancora una volta il corso della sua fragile democrazia.