lunedì 6 Ottobre 2025

Francia: il nuovo premier Lecornu si dimette dopo meno di 24 ore

«Non c’erano le condizioni per restare primo ministro». A poche ore dalla creazione del nuovo governo, con la nomina di 18 ministri, su pressione delle forze alleate e dell’opinione pubblica, Sebastien Lecornu ha rassegnato le dimissioni al presidente francese Emmanuel Macron, che le ha accettate. La Francia ripiomba così nel vortice dell’instabilità politica. Lasciando l’Hôtel de Matignon appena 27 giorni dopo la sua nomina, Lecornu diventa il primo ministro con il mandato più breve della storia. L’inedita caduta anticipata testimonia un Paese esasperato da promesse disattese e una democrazia logorata da tensioni interne. Dal 2024 a oggi, la Quinta Repubblica sta conoscendo una vera e propria sindrome di instabilità: governi che cadono, fiducie perdute, contrasti interni che dilaniano coalizioni già fragili. Il governo, composto quasi interamente da uomini già noti all’establishment macronista, era stato presentato meno di 24 ore fa con enfasi come un segnale di “rottura”, ma ha generato al contrario reazioni di sdegno nell’alleanza tra la maggioranza presidenziale e la destra repubblicana. Sin dal momento della nomina, il nuovo esecutivo è apparso sull’orlo dell’implosione: critiche sono piovute da ogni lato. Bruno Retailleau, appena nominato ministro dell’Interno e figura influente del partito Les Républicains (LR), ha attaccato la squadra di governo, denunciando la quasi totalità di riconfermati o nominati vicini al presidente come una mera riedizione del passato. Così facendo, ha convocato un comitato strategico del partito per discutere la possibile uscita dalla coalizione, minacciando di trascinare l’intera alleanza in un crollo parlamentare.

Altri dirigenti repubblicani, come Xavier Bertrand, hanno detto che LR (Les Républicains) non può più restare in un governo che «non riflette la rottura promessa». Nel frattempo, l’opposizione di destra e di sinistra ha denunciato l’ennesima farsa: il Rassemblement National ha definito l’esecutivo «una nave alla deriva destinata a colare a picco» e Jordan Bardella ha chiesto che Macron sciolga l’Assemblea Nazionale. Intanto, socialisti e verdi hanno parlato di «implosione del fronte comune», cioè del fragile equilibrio politico che ancora reggeva il macronismo. La goccia che ha fatto traboccare il vaso è stata l’assenza di sorpresa nella composizione del governo: un ritorno inatteso di Bruno Le Maire al dicastero della Difesa – nonostante i suoi anni come ministro dell’Economia e le critiche alla sua gestione finanziaria – ha fatto infuriare l’opinione pubblica, già stanca del rimpasto di volti riciclati. Macron e i suoi alleati sapevano che il rischio era alto, ma la rapidità con cui si è inaugurata la crisi ha sorpreso anche i più scettici. Non è la prima volta che il governo di Macron cede in breve tempo sotto i colpi della politica interna: quarta crisi di governo dal 2024 a oggi (Attal, Barnier, Bayrou, Lecornu), il neogoverno era atteso oggi pomeriggio all’Eliseo per il primo Consiglio dei ministri. All’orizzonte c’è – da tempo – una questione di fondo: come coniugare il progetto liberale del presidente con le esigenze sociali, territoriali e identitarie del Paese? La recente finanziaria, invece, ha fatto da detonatore. La proposta di bilancio – che prevedeva congelamenti di spesa sociale, tagli agli incentivi e un aumento delle franchigie mediche – ha catalizzato le tensioni attorno al potere centrale. Il parlamento, ostaggio di maggioranze fragili, ha minacciato di sfiduciare l’esecutivo, costringendo Macron a navigare a vista. Con la caduta anticipata di Lecornu, il presidente è costretto a rimodellare nuovamente il suo orizzonte politico, in un contesto che gli concede margini sempre più risicati. I giri di poltrone rischiano di accentuare l’immagine di un potere stanco, lontano dal Paese reale. Macron, nonostante l’esperienza e l’ancoraggio istituzionale, appare sempre più come un presidente in cerca di una rottura che non riesce o non vuole praticare.

Ora si apre una partita difficile per l’Eliseo. Macron può scegliere di affidare l’incarico a un esecutivo tecnico, ma rischierebbe una crisi di legittimità. Può tentare una nuova alleanza con centro e centrodestra, ma le tensioni dentro LR sono diventate esplosive. Può, infine, considerare un ricorso alle urne anticipato, cercando di resettare la mappa parlamentare, ma con il pericolo che il Rassemblement National possa trarre vantaggio. Le pressioni interne ai partiti macronisti saranno decisive: l’UDI (Union des démocrates et indépendants) ha già mostrato malumori, mentre i deputati di base chiedono risposte concrete, non solo rimpasti cosmetici. In un sistema dove l’Assemblea nazionale appare sempre più instabile, il 49, comma 3 – l’articolo che permette al governo di far approvare una legge senza voto – continua a rimanere una leva centrale, non senza polemiche. Jean-Noël Barrot ha sostenuto che «la vera rottura consisterebbe nell’abbandono del 49.3», ma in un Parlamento frammentato quell’idea è difficile da attuare. Se Macron cede su quel punto, rischia di essere percepito come un’espressione di debolezza; se lo mantiene, le obiezioni sull’autoritarismo legislativo si moltiplicherebbero. Per il futuro, la politica francese deve fare i conti con un elettorato sfiancato, un panorama istituzionale lacerato e il crescente peso del Rassemblement National, sempre pronto a capitalizzare ogni crisi. Se Macron non troverà una via d’uscita autorevole, il suo secondo quinquennio potrebbe concludersi non con la prospettiva della riforma, ma con la parabola del declino.

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Enrica Perucchietti

Laureata con lode in Filosofia, vive e lavora a Torino come giornalista, scrittrice ed editor. Collabora con diverse testate e canali di informazione indipendente. È autrice di numerosi saggi di successo. Per L’Indipendente cura la rubrica Anti fakenews.

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