lunedì 6 Ottobre 2025

Le prime elezioni “democratiche” della nuova Siria escludono curdi e drusi: un dominio mascherato da voto

I membri dei collegi elettorali siriani si sono riuniti domenica per votare i nuovi legislatori, chiamando il Paese a celebrare quello che viene presentato come un nuovo capitolo: le prime elezioni parlamentari dopo la caduta di Bashshār al-Assad, destituito lo scorso dicembre, dopo 24 anni ininterrotti al potere. Quello che appare come un passaggio verso la “democrazia” è in realtà una messa in scena ben orchestrata, che ha già sancito l’esclusione sistematica delle donne e di due tra le comunità più significative del mosaico siriano: i curdi e i drusi. In nome della “sicurezza nazionale” e della “transizione controllata”, vaste aree territoriali non sono state incluse nel processo elettorale, mentre i quartieri e le province tradizionalmente curde (nord-est) e la zona di Suwayda (drusa) risultano privi di una partecipazione vera. Dietro questa esclusione selettiva non c’è solo un calcolo tattico, ma una scelta politica precisa: le modalità di costruzione del nuovo Parlamento sono state costruite per garantire il controllo dall’alto. Le commissioni locali, strettamente monitorate dal governo centrale, hanno assunto il potere di selezionare i due terzi dei deputati candidabili. Il terzo restante sarà nominato direttamente da Al-Sharaa e dai vertici che egli controlla, con un meccanismo che maschera la ratifica come scelta popolare. Questo Parlamento avrà un mandato di 30 mesi, durante i quali il governo dovrebbe preparare il terreno per un voto popolare nelle prossime elezioni. Analisti e osservatori parlano senza mezzi termini di “elezioni farsa”: una sceneggiatura che garantisce continuità del potere, neutralizzazione del dissenso e marginalizzazione delle minoranze.

La persecuzione di curdi e drusi non è un incidente, è un tratto distintivo della nuova fase siriana. La provincia di Suwayda, abitata principalmente da drusi, è da mesi teatro di violenti scontri e numerosi drusi sono stati arrestati, organizzazioni culturali chiuse, giornali locali soppressi. Nel nord-est, eserciti locali fedeli al regime hanno imposto requisiti di “lealtà” per la partecipazione politica e confiscato terre a famiglie che non si adeguavano alla nuova linea centrale. L’obiettivo è evidente: soffocare ogni aspirazione autonomista e cancellare qualsiasi identità che non si conformi alla narrazione ufficiale dello Stato. Chi è l’architetto di questa transizione controllata? Dietro il volto istituzionale del presidente ad interim, Ahmed al-Sharaa, si cela una storia controversa che l’Occidente volutamente ha rimosso. Al-Sharaa – noto anche con il nome politico Abu Mohammad al-Julani – ha un passato legato al jihadismo: inserito nella lista dei terroristi dagli Stati Uniti, è diventato leader del gruppo Hay’at Tahrir al-Sham (HTS), derivato da al-Nusra, e ha guidato le forze ribelli nella caduta di Assad, ricoprendo ruoli chiave in conflitti con le forze statali, dove ha mantenuto relazioni complesse con ambienti jihadisti e operazioni militari nella regione. La sua nomina a presidente transitorio – formalizzata nella “Conferenza per la Vittoria della Rivoluzione Siriana” il 29 gennaio 2025 – fu accolta con un misto di stupore e scetticismo. Il suo primo atto è stato quello di abolire la Costituzione del 2012, convocare istituzioni fittizie e annunciare una transizione di cinque anni. Ciò che colpisce è il modo con cui è stato gradualmente riabilitato dalle potenze occidentali: di fatto, in pochi mesi il “terrorista ripulito” è diventato un interlocutore legittimo sulla scena internazionale, arrivando fino all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite a New York, dove ha incontrato Emmanuel Macron, Giorgia Meloni, Volodymyr Zelensky e ha concesso un’intervista all’importante Middle East Institute, al termine della quale ha avuto il suo secondo incontro con Donald Trump. Gli Stati Uniti, a febbraio, hanno sospeso le sanzioni contro Damasco, accogliendo con favore un’agenda di riforme economiche purché aderisse ai parametri del mercato mondiale. Da quel momento, le élite diplomatiche e molti governi europei hanno iniziato a parlare di “stabilizzazione” e “riconciliazione”. Proprio a New York, ha ottenuto la “benedizione” degli apparati strategici e finanziari americani interessati alla ricostruzione della Siria. Di fronte all’ONU, il 25 settembre 2025, il Capo di Stato siriano ha rivendicato il nuovo corso del Paese, con inviti alla pacificazione nazionale, il disconoscimento dell’era Assad e il richiamo alla resistenza del popolo siriano.

A orchestrare la legittimazione internazionale del nuovo leader troviamo Baihas Baghdadi, definito da molti “il banchiere di Allah”. Finanziere siriano naturalizzato spagnolo, fondatore della Baghdadi Capital, è stato lui a introdurre al-Sharaa nei circuiti della finanza globale e nei salotti diplomatici occidentali. Il suo debutto ufficiale è avvenuto proprio il 22 settembre 2025 al Concordia Summit di New York, evento parallelo all’Assemblea Generale dell’ONU, dove Baghdadi ha presentato il presidente siriano come l’uomo del “nuovo corso” e garante di stabilità per gli investitori stranieri. Da allora, i due si muovono come un binomio inscindibile: al-Sharaa come volto politico di una Siria “ripulita”, Baghdadi come suo ambasciatore economico. Accanto a loro, figure di primo piano della geopolitica e della finanza, come David Petraeus, ex capo della CIA e ora partner del fondo KKR, che non ha esitato a definire la Siria “un’opportunità strategica”. Il paradosso, che certifica il ribaltamento dell’immagine di al-Shaara è che proprio Petraeus, nel 2004, aveva ordinato il suo arresto in Iraq. Il messaggio è chiaro: il jihadista di ieri è diventato l’interlocutore gradito di oggi, purché si apra ai mercati. Il piano di riforme promosso da Al-Sharaa prevede, infatti, la privatizzazione massiccia di aziende strategiche, il taglio del pubblico impiego e la consegna del patrimonio statale a investitori stranieri. Oltre cento aziende pubbliche, nei comparti dell’energia, acciaio, cemento e infrastrutture, sono state messe sul mercato e un terzo dei dipendenti pubblici è stato licenziato o ricollocato in nuove strutture controllate dai privati. È un piano neoliberista che lavora sulla distruzione del vecchio modello centralizzato, trasformando lo Stato in un mediatore tra élite globali e residui istituzionali. Così, l’asse al-Sharaa-Baghdadi diventa il simbolo di un autoritarismo vestito da modernità: la Siria rinasce solo per essere venduta pezzo dopo pezzo. L’effetto pratico è la marginalizzazione delle popolazioni che non godono dei favori del nuovo potere. Le minoranze escluse e i territori non allineati sono destinati a restare zone extra-politiche, dove il controllo è imposto dall’alto. È un’operazione di ingegneria finanziaria che trasforma la ricostruzione in un colossale affare stimato in oltre un trilione di dollari. In questo contesto, le elezioni organizzate da Ahmed al-Sharaa rappresentano solo la facciata di un potere già consolidato che concentra nelle proprie mani ogni leva politica ed economica. E mentre l’Occidente applaude la “stabilizzazione” di un dominio mascherato da voto, un popolo stremato paga il prezzo della sua nuova sudditanza economica.

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Enrica Perucchietti

Laureata con lode in Filosofia, vive e lavora a Torino come giornalista, scrittrice ed editor. Collabora con diverse testate e canali di informazione indipendente. È autrice di numerosi saggi di successo. Per L’Indipendente cura la rubrica Anti fakenews.

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2 Commenti

  1. Ma qualcuno in Occidente capirà mai che in Medio Oriente giustamente i Cittadini ci odiano ed hanno ragione ad odiarci visto quanto siamo subordinati a razzisti USA?
    Se davvero ci fosse libero voto, voterebbero solo per i terroristi, il voto è solo un carosello per i cretini lettori dei giornali di regime venduti Occidentali.

    • Ma secondo voi se vi prendono la vostra terra e la danno agli Israeliani perché vi stuprino, schiavizzino, derubino, uccidano e assassinino i vostri bambini impunemente, avreste voglia di votare, o di terroristi i primi dei quali furono e ne sono orgoglioso, i Cattolici Nord Irlandesi?

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