Un taglio di quasi diecimila posti di lavoro in quattro anni, con un costo di oltre 777 milioni di euro per incentivare le uscite volontarie. Sono i numeri drammatici della “grande fuga” di Stellantis dall’Italia, ricostruiti dall’omonima indagine della Fiom-Cgil, in cui si fotografa il sostanziale disimpegno del gruppo dal Paese. I dipendenti sono infatti crollati dalle 37.288 unità nel 2020 alle 27.632 nel 2024, con un saldo negativo di 9.656 lavoratori. Una emorragia che si accompagna al crollo produttivo: nel 2024 sono state prodotte solo 289.154 auto e 190.784 veicoli commerciali, numeri lontanissimi dal milione di veicoli del 2004.
«I dati raccontano la fuga di Stellantis dal nostro Paese», ha commentato il segretario generale della Fiom, Michele De Palma, aggiungendo che «queste sono le cifre di un fallimento: un fallimento determinato dalle scelte fatte dalla proprietà e da Tavares». Il sindacato sottolinea come la maggior parte delle uscite sia stata gestita su base volontaria, con costi di ristrutturazioni pari a 777.276.000 euro. Tra lo scorso anno e il 2025 le uscite pagate hanno riguardato 6.052 dipendenti. La crisi occupazionale si riflette nell’utilizzo massiccio degli ammortizzatori sociali, diventati ormai «strumento di gestione ordinaria». Al primo settembre 2025, su 32.803 dipendenti, ben 20.233 – il 61,68% – erano interessati da cassa integrazione e contratti di solidarietà. Le percentuali superano il 90% all’interno degli stabilimenti di Mirafiori, Cassino, Pomigliano, Atessa, Melfi e Termoli, il cuore produttivo del gruppo. L’impatto si estende alla filiera dei fornitori: circa 8.523 lavoratori della componentistica su 13.865 sono in ammortizzatori sociali.
Il crollo produttivo è impressionante: dagli 1,8 milioni di veicoli del 2004 (di cui 805mila automobili) si è passati alle 479.938 unità del 2024. Negli stabilimenti motori il crollo è di 534.700 unità nello stesso periodo. A Mirafiori il declino è emblematico: dalle 200mila vetture del 2004 alle 24.933 dell’anno scorso. La Fiom segnala che tutte le nuove produzioni mass market sono state delocalizzate: «Topolino in Marocco; Fiat 600 in Polonia; Alfa Junior in Polonia; Nuova Panda in Serbia; Nuova Lancia Y in Spagna». Il calo produttivo «non può essere solamente imputato al calo della domanda» perché «a prescindere dall’andamento delle vendite complessive del settore, Stellantis continua a perdere quote di mercato, sia in Italia che in Europa». Tra il 2022 e il 2024 la quota italiana è passata dal 35,23% al 29,13%, e il raffronto tra il primo semestre 2024 e lo stesso periodo del 2025 segna un’ulteriore flessione dal 32,1% al 29,2%.
Preoccupa il trend degli investimenti: il patrimonio netto è calato da 7,7 miliardi di euro nel 2020 a 6,5 miliardi nel 2024, nonostante la distribuzione di 2 miliardi di dividendi dall’utile 2023. Gli investimenti materiali sono scesi da 4,9 miliardi del 2021 a 4,1 miliardi nel 2024, con un taglio di 571 milioni alle attrezzature industriali e 297 milioni a impianti e macchinari. La spesa in ricerca e sviluppo è crollata da 991,5 milioni nel 2014 a 314,3 milioni nel 2024. «L’amministratore delegato Antonio Filosa ha preso in mano una situazione drammatica» riconosce De Palma, annunciando assemblee in tutti gli stabilimenti. La Fiom richiede «un piano industriale che deve prevedere nuovi modelli mass market», il rafforzamento di ricerca e sviluppo, il ripristino del progetto della gigafactory e nuove assunzioni. «Se continua così, rischiamo di chiudere la produzione di auto in Italia» avverte il sindacato, chiedendo al governo di prendere in mano il dossier automotive.
Nel frattempo, negli scorsi giorni Stellantis ha annunciato una serie di stop temporanei della produzione in sei stabilimenti strategici del continente. La decisione, motivata dalla necessità di adeguare la produzione a un mercato giudicato «difficile» e di gestire le scorte in un contesto di domanda stagnante, coinvolge impianti in Italia, Francia, Germania, Spagna e Polonia. L’obiettivo dichiarato è evitare «un’ammucchiata di auto nei parcheggi delle fabbriche o dei concessionari». Tali fermi rappresentano 62 giorni cumulativi di produzione in meno. Che il periodo per gli stabilimenti italiani non fosse dei migliori lo si era già capito alla fine di agosto, quando nello storico sito produttivo di Pomigliano era stato firmato un pre-accordo tra l’azienda e le sigle sindacali che ha esteso di un ulteriore anno, fino all’8 settembre 2026, la cassa integrazione in regime di solidarietà in deroga per 3.750 lavoratori. La misura, che prevede una riduzione media dell’orario di lavoro fino al 75%, arriva dopo il biennio concesso dalla cassa integrazione ordinaria, ormai esaurito.