Trump e Netanyahu hanno presentato il loro personale «piano per la pace» per Gaza. I punti chiave della proposta rimangono gli stessi avanzati nei mesi: cessate il fuoco e riapertura dei corridoi umanitari in cambio del rientro immediato di tutti gli ostaggi, della smilitarizzazione completa della Striscia e dell’istituzione di un corpo di monitoraggio esterno. Quest’ultimo verrebbe presieduto dallo stesso Trump con il supporto dell’ex premier britannico Tony Blair, e supervisionerebbe il processo di ricostruzione e disarmo; lascerebbe poi spazio a un «gruppo civile palestinese pacifico» mentre Israele manterrebbe il controllo della sicurezza. Un piano Gaza-centrico che non solo non affronta la questione della Cisgiordania, ma che prevede una Palestina svuotata di ogni reale forma di rappresentanza, soggetta a controllo esterno politico e militare; Hamas non ha ancora rilasciato dichiarazioni, ma Trump e Netanyahu hanno già minacciato il gruppo, affermando che se non dovesse accettarlo, Israele finirà il lavoro, «con le buone o con le cattive».
Il piano Trump-Netanyahu è stato presentato dai due vertici dei rispettivi Stati ieri, lunedì 29 settembre, in una conferenza stampa congiunta in seguito a cui non è stato lasciato spazio alle domande dei giornalisti. Parallelamente, l’account X (ex Twitter) della Casa Bianca ha pubblicato un piano diviso in 20 punti dettagliando meglio la proposta. Essa prevede la cessazione immediata delle ostilità e una prima fase della durata di 72 ore in cui Hamas e tutte le firme palestinesi dovrebbero consegnare tutti gli ostaggi ancora nelle loro mani, vivi e morti. Nel frattempo Israele cesserebbe le aggressioni e riaprirebbe i corridoi umanitari garantendo un flusso pari almeno a quello della tregua di gennaio: verrebbero riabilitate le infrastrutture idriche ed elettriche, riaperti ospedali e panifici e gli aiuti verrebbero distribuiti da terzi come le agenzie ONU e la Mezzaluna Rossa. In questa prima fase, l’esercito israeliano si ritirerebbe «moderatamente» entro un perimetro interno a Gaza, che rimarrebbe in piedi fino a data da destinarsi. Dopo la consegna degli ostaggi, Israele rilascerebbe 250 ergastolani e altri 1.700 «prigionieri» incarcerati dopo il 7 ottobre; a questi si aggiungerebbero i corpi di 15 gazawi per ogni ostaggio israeliano deceduto.
Superata questa prima fase, l’amministrazione di Gaza verrebbe affidata a una sorta di governo tecnico formato da esperti internazionali e palestinesi filtrati da Israele. Questo sarebbe sotto la supervisione di un “corpo internazionale per la pace” formato da tecnici, politici internazionali (tra cui Blair), e Stati arabi e islamici; il corpo di pace verrebbe guidato da Trump e avrebbe il compito di definire il quadro di gestione e di gestire i finanziamenti per la ricostruzione di Gaza. Lo scopo ultimo sarebbe quello di smilitarizzare Gaza, disarmare Hamas, e garantire l’implementazione di alcuni dei piani proposti negli anni, tra cui il piano di riforme dell’Autorità Nazionale Palestinese avanzato da Trump nel 2020, il piano franco-saudita per la Palestina, e un non meglio specificato piano economico pensato dagli USA per attirare gli investimenti. In questa fase, sarebbe garantito il diritto al ritorno ai palestinesi, e i membri di Hamas che si impegnerebbero alla coesistenza riceverebbero un’amnistia. Mentre ricostruzione e disarmo procederebbero, Israele si ritirerebbe progressivamente dalla Striscia, impegnandosi a non annetterla.
A quel punto si entrerebbe nella terza fase, quello della consegna di Gaza a una amministrazione politica palestinese: se il piano della Casa Bianca fa esplicito riferimento a un’ANP riformata, Trump e Netanyahu, durante la conferenza, sono stati ben più vaghi, affermando che nessun gruppo palestinese, ANP compreso, governerebbe Gaza. In ogni caso, al termine del processo, Gaza sarebbe completamente smilitarizzata, e la gestione della sicurezza verrebbe affidata nelle mani dell’esercito israeliano, che nel frattempo istituirebbe una zona di controllo interna alla Strisca. Né dal piano della Casa Bianca, né dalla conferenza stampa risultano chiari i tempi entro cui tutto questo piano si svolgerebbe. Prima fase a parte, Trump non ha parlato di alcuna scadenza né fissato alcun cronoprogramma, e non ha menzionato quale dovrebbe essere nella sua ottica il destino della Cisgiordania. Trump ha detto che il piano ha ricevuto l’appoggio di diversi Stati, chiedendo ad Hamas di accettarlo. Il gruppo palestinese, dal canto suo, non ha ancora commentato la proposta; la Palestina che disegna, tuttavia, è smilitarizzata priva di rappresentanza politica e soggetta al controllo e alla gestione militare e amministrativa di terzi che verrebbero scelti da Israele.