Ieri, 22 settembre, nelle piazze di tutta Italia, si è tenuto lo sciopero generale per la Palestina. Le manifestazioni avevano un obiettivo ben preciso: «bloccare tutto», per mostrare sostegno alla popolazione palestinese. Così è stato: i dimostranti hanno invaso piazze, autostrade, ferrovie, interrotto i servizi e scioperato da lavoro, dando luce a una delle manifestazioni generali più ingenti degli ultimi anni. La manifestazione di cui si è parlato maggiormente è quella di Milano, dove i tentativi di accedere ai binari sono sfociati in scontri con le forze dell’ordine: «Immagini indegne», sostiene la premier Meloni, «delinquenti», chiosa Salvini. Da destra a sinistra, tutto lo spettro della politica ha condannato i moti di «violenza» meneghini, con il sostegno della gran parte del panorama mediatico nazionale. In pochi, tuttavia, si sono concentrati sulle rivendicazioni delle manifestazioni che hanno travolto il Paese, che intendevano denunciare il genocidio palestinese e la complicità del governo italiano.
Lo sciopero generale per la Palestina è iniziato allo scattare della mezzanotte di ieri e ha interessato tutti i settori. In generale, le manifestazioni di ieri sono state talmente diffuse e partecipate che è difficile farne un bilancio completo. I primi presidi sono sorti sin dall’alba. La prima città a mobilitarsi è stata Livorno, dove i portuali si sono radunati alle 6 del mattino presso il Varco Valessini del porto cittadino. Alla provincia toscana ne sono seguite decine di altre, fino a raggiungere 80 presidi in tutto lo Stivale. Oltre a quello di Livorno, i manifestanti hanno bloccato i porti di Ancona, Genova, Marina di Carrara, Salerno e Marghera (Venezia). Le manifestazioni hanno interessato in generale tutto il settore della logistica, con diversi presidi in Toscana, e quello dei trasporti, con scioperi a Milano e occupazioni della metro a Brescia.
Oltre a porti e stazioni urbane, i dimostranti hanno interrotto il traffico stradale: a Firenze, i manifestanti hanno invaso l’autostrada A1, chiudendo il casello di Calenzano; a Genova è stata interrotta la A7, a Pisa è stata occupata la superstrada, e a Roma e a Bologna sono state invase le tangenziali. In diverse città i cortei sono entrati nelle stazioni: a Torino è stato interrotto il traffico sui binari, mentre a Napoli sono stati forzati i cancelli della stazione. Gli studenti liceali e universitari si sono sollevati in tutto il Paese da Bari a Bologna, da Lecce a Milano, per passare da Roma, Torino, Venezia e numerosi altri atenei. Non è chiaro quante persone in totale abbiano partecipato alle varie manifestazioni del Paese, ma il numero sembra aggirarsi sull’ordine delle centinaia di migliaia. In diverse città si parla di presidi e marce partecipati da decine di migliaia di manifestanti: a Roma gli organizzatori hanno stimato la presenza di 100mila persone; a Bologna di 50mila; a Torino di 30mila; altre decine di migliaia sono scese in piazza a Genova, Milano, e Napoli mentre migliaia sono arrivate in Calabria, nelle Marche, in Puglia, nelle isole.
Nonostante la folla oceanica scesa in piazza in tutta Italia, i media e i politici hanno parlato prevalentemente di una manifestazione: quella di Milano. Qui, dopo avere percorso le strade della città da Piazzale Cadorna alla Stazione Centrale, un gruppo di manifestanti ha provato a irrompere all’interno della ferrovia utilizzando ombrelli, transenne, e strumenti di fortuna per sfondare le porte d’ingresso. In seguito alle tensioni sono stati arrestati 11 manifestanti (che si aggiungono agli 8 di Bologna) e feriti 60 agenti. “Quelli che rubano le manifestazioni”, titola Michele Serra su La Repubblica, in un articolo che esordisce con un immancabile riferimento a Putin; «centri sociali e giovani arabi devastano la città», scrive Il Giornale; «vergogna propal», Libero. Il Corriere, invece, dopo aver attribuito la responsabilità degli scontri ai «maranza», preferisce raccontare la storia dell’ottantottenne Luigi e della moglie Anna, bloccati in stazione mentre di sotto «i disordini della manifestazione per Gaza avevano invaso l’atrio».
La maggior parte dei media ha preferito dare risalto agli scontri a Milano come fatto isolato, oscurando le ragioni delle manifestazioni: mostrare sostegno al popolo palestinese, denunciare il genocidio in corso a Gaza, e supportare la missione della Global Sumud Flotilla. Questi temi dichiarati sono stati seguiti nel corso di tutta la giornata, in tutte le manifestazioni che hanno investito il Paese, ma, come già successo in occasione della manifestazione nazionale per la Palestina dello scorso aprile, stanno venendo ignorati da politica e media. Ad aprile a dominare la narrazione mediatica erano state le scritte sui muri contro Giorgia Meloni; oggi, invece, lo sono gli scontri in stazione. Lo sciopero generale di ieri è stato una delle manifestazioni più partecipate degli ultimi anni, ma nessuno sembra averlo notato. Mentre il genocidio in Palestina viene messo sullo sfondo dai media, lo sciopero segna così una netta spaccatura tra le posizioni della società civile e quelle della politica, che continua a sostenere lo Stato di Israele ignorando le sempre più ingenti mobilitazioni dal basso.
La manifestazione non violenta e silenziosa è giusta. Il resto è sbagliato e controproducente.
Posso condividere l’obbiettivo della manifestazione ma nessuno dei metodi, né quelli volentieri né il blocco della circolazione, non si devono toccare i diritti di chi non è d’accordo altrimenti si ottiene l’effetto contrario. Chi ha subito ritardi o blocchi nei suoi spostamenti può legittimamente essere portato a schierarsi contro.