Non sarebbe stato un drone russo, ma un missile polacco difettoso, sparato da un caccia F-16 durante un’operazione di difesa aerea contro droni russi penetrati nello spazio aereo nazionale, a colpire a colpire il tetto e a sfondare il soffitto di un’abitazione nel villaggio Wyryki-Wola, nella regione di Lublino, lo scorso 10 settembre. È quanto rivela Rzeczpospolita, che cita fonti vicine ai servizi di sicurezza polacchi. Secondo la ricostruzione del quotidiano, il missile aria-aria AIM-120 AMRAAM non avrebbe attivato la testata, limitandosi a danneggiare la struttura della casa. Il viceministro della Difesa nazionale Cezary Tomczyk ha ammesso la scorsa settimana l’abbattimento di tre droni, senza però fornire la posizione. La procura di Lublino, incaricata delle indagini, non ha confermato né smentito la tesi del missile polacco, limitandosi a parlare di un oggetto che «non è stato identificato né come drone né come suoi frammenti» e dichiarando per mezzo del procuratore Agnieszka Kępka, che «tutte le versioni devono essere prese in considerazione». Restano dunque aperti scenari diversi: errore tecnico, residuo di un drone, frammento di un ordigno difensivo o altro. L’episodio aveva fatto salire la tensione internazionale in seguito all’accusa del governo polacco nei confronti di Mosca di sconfinamento.
La ricostruzione di Rzeczpospolita ha suscitato numerose tensioni interne con l’opposizione che ha chiesto trasparenza e chiarimenti al governo. L’Ufficio per la Sicurezza Nazionale, il BBN e il presidente Karol Nawrocki, hanno chiesto al governo «chiarezza immediata» sull’accaduto. A quanto si apprende, né il presidente polacco né l’Ufficio per la Sicurezza Nazionale erano mai stati informati dal governo guidato da Donald Tusk che al vaglio ci fosse anche la possibilità di un errore dell’aeronautica polacca. Il presidente Nawrocki, pur sostenendo la necessità di difendere il Paese da intrusioni esterne, ha richiesto una relazione dettagliata sull’incidente e sulla gestione della catena di comando quella notte. Il premier Tusk ha provato a contenere le polemiche e ha ribadito che l’evento rientrerebbe in una strategia di Mosca per testare le difese polacche e seminare insicurezza lungo il fianco orientale della NATO: «Tutta la responsabilità per i danni alla casa di Wyryki ricade sui responsabili della provocazione dei droni, ovvero la Russia», ha scritto su X. Il premier ha comunque assicurato che i risultati dell’indagine saranno resi pubblici appena terminata, ma ha sottolineato l’urgenza di investimenti supplementari nella difesa aerea e di un coordinamento ancora più stretto con gli alleati occidentali. Il caso si inserisce così anche in uno scontro politico interno: da un lato l’esecutivo, intenzionato a mantenere la responsabilità sulla Russia, dall’altro chi teme che un’ammissione di errore tecnico indebolisca la credibilità delle istituzioni e dell’esercito. Il dibattito riguarda anche la comunicazione pubblica. L’accusa immediata contro Mosca, lanciata in assenza di prove definitive, ha attirato l’attenzione dei media internazionali e ha alimentato letture contrastanti. Non è la prima volta che un evento di confine genera tensioni: basti ricordare l’episodio del novembre 2022 a Przewodów, quando un missile cadde in territorio polacco causando due morti. In un primo momento l’accusa fu rivolta a Mosca, salvo poi scoprire che si trattava di un ordigno antiaereo ucraino.
L’episodio di Wyryki-Wola non è un fatto isolato, ma il sintomo di un contesto più ampio. Negli ultimi due anni, la Polonia si è trasformata nel bastione orientale della NATO, moltiplicando il proprio impegno a sostegno di Kiev e assumendo un ruolo di avamposto strategico. Con un accordo miliardario firmato il 1° agosto a Gliwice, nel cuore industriale della Slesia, la Polonia ha ufficialmente imboccato la strada per diventare, entro il 2030, la prima potenza corazzata d’Europa. La pressione al confine con Ucraina e Bielorussia, le continue incursioni nello spazio aereo e il rischio di incidenti hanno reso Varsavia il punto più fragile e al tempo stesso più esposto della regione. Parallelamente, in un clima da assedio permanente, la retorica antirussa pervade il dibattito pubblico e il giornalismo mainstream, mentre il volontariato territoriale e le esercitazioni delle forze di difesa locali vengono incentivate e normalizzate. In questo scenario, la gestione della comunicazione diventa parte integrante della strategia: attribuire subito la colpa a Mosca non è solo una reazione politica, ma un atto che rafforza l’idea di una minaccia costante e legittima l’accelerazione della militarizzazione dell’Est Europa. L’accelerazione del riarmo, le missioni come la “Sentinella dell’Est”, il dispiegamento di truppe lungo i confini con Russia e Bielorussia trovano così una giustificazione immediata. L’incidente di Wyryki-Wola dimostra anche quanto sia sottile la linea di confine tra un errore tecnico, un incidente militare e un attacco deliberato, e quanto sia alto il rischio che la narrazione politica preceda, e sostituisca, l’accertamento dei fatti, piegandosi a interessi geopolitici.
Credere a Tusk è come credere a von der Layen. Sono entrambi della stessa pasta.