Ad Addis Abeba è stata inaugurata la cosiddetta Diga della Rinascita (Grand Ethiopian Renaissance Dam – GERD). La diga più grande del continente africano, posta sul corso del Nilo Azzurro che, all’altezza di Khartoum, si unisce al Nilo Bianco formando il fiume più lungo del mondo. Costata quasi 5 miliardi di dollari, misura 175 metri in altezza e 1,8 chilometri in lunghezza e, con una potenza di 5.500 megawatt, produrrà circa 15.700 gigawattora all’anno. Un’infrastruttura che diventerà la centrale idroelettrica più grande dell’intero continente, fornendo corrente a più di 6 milioni di famiglie etiopi, ma che creerà anche un surplus vendibile agli altri Paesi della regione. L’opera, tuttavia, rischia di compromettere gli equilibri geopolitici dell’Etiopia con Egitto e Sudan i quali, fortemente dipendenti dall’acqua del Nilo, accusano Addis Abeba di non tenere conto delle conseguenze che la costruzione di un’opera simile può avere su di essi.
L’inaugurazione è avvenuta in concomitanza con il Secondo vertice africano sui cambiamenti climatici, dove erano presenti diverse delegazioni di Paesi africani. All’evento di apertura della diga hanno partecipato il presidente keniano William Ruto e il presidente somalo Hassan Sheikh Mohamud. Il capo di Stato etiope Abiy Ahmed ha dipinto la grande opera come «un’opportunità condivisa con tutta la regione», ma che alla base ha la necessità per Addis Abeba, chiara anche nel nome, di dare una spinta alla crescita economica del Paese, che, se prima della pandemia cresceva a ritmi incredibili, con picchi del 10%, con gli anni del Covid ha rallentato la corsa, per poi riprendere dal 2022.
Le esplorazioni sul corso del Nilo Azzurro per identificare la zona in cui poter innalzare la diga iniziarono già nel 1956, ma si fermarono con il colpo di Stato del ’74. Da lì non se ne parlò più fino al 2009 e il 31 marzo del 2011 venne posta la prima pietra. Già nel 2010, a Entebbe in Uganda, venne firmato l’Accordo Cooperativo per il Bacino del Nilo, volto a gestire le risorse idriche in modo equo e sostenibile per lo sviluppo della regione. L’Accordo fu firmato da Etiopia, Kenya, Tanzania, Uganda, Ruanda e Burundi, ma forse i due Paesi più interessati, Egitto e Sudan, si rifiutarono di firmare il documento. Negli anni di costruzione della diga si sono susseguite accuse reciproche tra Addis Abeba, Il Cairo e Khartoum. Infatti Egitto e Sudan hanno sempre accusato l’Etiopia di non tenere conto delle conseguenze di un’opera del genere sul comparto agricolo e sulle riserve idriche dei due Paesi a valle, affermando che la costruzione e il riempimento del bacino, da 74 miliardi di metri cubi, sono avvenuti in maniera unilaterale senza che ci fosse un accordo tra le parti per quanto riguarda la gestione del bacino e dei conseguenti flussi d’acqua. Le tensioni tra i tre Stati sono continuate fino alla settimana scorsa, quando Egitto e Sudan hanno rilasciato una dichiarazione congiunta affermando che la diga rappresenta «una minaccia alla stabilità della regione». A luglio Abiy Ahmed ha dichiarato che «l’Etiopia resta impegnata a garantire che la nostra crescita non avvenga a spese dei nostri fratelli e sorelle egiziani e sudanesi». Parole che non convincono Il Cairo, dato che dipende per più del 50% delle risorse idriche dal grande fiume africano e che sul suo corso ha costruito il comparto agricolo fin dal tempo dei faraoni. Stessa problematica è presente in Sudan, che, a soli 15 km dalla diga, sarà il primo a subirne gli effetti, mentre la crisi umanitaria portata dalla guerra civile non fa altro che peggiorare giorno dopo giorno. Ma se da una parte è grande la preoccupazione per Khartoum di vedersi ridimensionate le scorte idriche, è anche vero che dall’altra la GERD contribuirà a limitare le inondazioni nel Sudan occidentale. Dall’avvio dei lavori nel 2011 non è stato trovato un accordo vincolante che garantisse il flusso dell’acqua, il coordinamento operativo e le misure di sicurezza, con l’Egitto che ha sempre ribadito la validità e il necessario rispetto di un protocollo risalente agli inizi del ’900, dove si afferma che il 95% della portata del fiume è di proprietà egiziana con il Sudan in seconda posizione.
Alla mangiatoia della mega infrastruttura però non ci sono solo i Paesi della regione. Infatti nel 2019 Pechino ha chiuso un accordo tra la compagnia energetica etiope Ethiopian Electric Power e la cinese China Gezhouba Group per 40 milioni di dollari sulle attività energetiche della diga. Ma anche l’Italia, ex potenza coloniale in Etiopia, è presente con il gruppo Webuild, che opera nel settore delle costruzioni e si è aggiudicato il contratto da 5 miliardi della mega infrastruttura. «La GERD è molto più di una diga – ha dichiarato l’amministratore delegato di Webuild Pietro Salini – è l’incarnazione dello sviluppo sostenibile per tutta l’Africa». Il CEO della compagnia di costruzioni ha anche affermato che quest’opera «è in linea con la strategia del Piano Mattei: portare acqua, energia, sanità e infrastrutture dove servono, con investimenti che generano sviluppo reale, perciò il coinvolgimento delle imprese italiane risulta strategico».
In una regione da sempre alle prese con guerre fratricide e devastanti per il controllo delle risorse naturali come petrolio e oro, l’acqua potrebbe essere l’ultima goccia.
Prima Impregilo, poi Salini-Impregilo ed ora Webuild (che fa un po’ più cosmopolita). Sempre gli stessi con le mani in pasta.