Sono passati dieci mesi da quando, il 28 di ottobre del 2024, una violenta alluvione si è abbattuta sulla Comunità Valenziana, sulla comunità di Castiglia e la Mancia e Aragona, lasciando in vari paesi, specialmente quelli della fascia meridionale intorno alla città di Valencia, distruzione e morte. Quella sera, intorno alle ore 20, i fiumi sono esondati a causa delle forti piogge trasformando le strade cittadine in torrenti di acqua e fango. La mattina successiva la situazione è risultata immediatamente terribile: garage e abitazioni al piano terra completamente sommersi dal fango, un numero elevato di feriti e dispersi e, ad oggi, 233 vittime, delle quali 225 solo nella Comunità Valenziana.
Dieci giorni dopo la situazione risultava essere ancora critica; la popolazione denunciava l’inadempienza delle istituzioni, la lentezza delle forze dell’ordine e in varie aree delle città il fango superava anche il metro e mezzo d’altezza. Davanti ai miei occhi si accumulavano le immagini della devastazione: le automobili ammassate nei parcheggi, i detriti delle case accatastati negli angoli delle strade e lo sguardo perso di molti residenti, affacciati ai balconi dei piani superiori attenti a seguire il lavoro delle migliaia di persone accorse per dare una mano. E a dieci mesi di distanza, ancora si fatica a ritornare alla normalità.
Paiporta, al centro del disastro
Paiporta, paese a pochi chilometri a sud della capitale valenziana, è stato tra i più colpiti dalla furia della pioggia. Qui, il torrente che attraversa la città, il Barranco del Poyo, ha distrutto ogni cosa si trovasse sul proprio cammino e per giorni ha diviso inesorabilmente in due parti il paese, rendendo estremamente complessa ogni operazione di salvataggio. Il tragitto che unisce Paiporta e Valencia era segnato da un via vai costante di volontari, che, dopo il lavoro, ancora sporchi di fango, scrollavano la polvere e i residui attaccati sugli scarponi lungo il sentiero che costeggia gli aranceti della zona, per poi raggiungere gli autobus e tornare a casa.
Oggi è semplice arrivare a Paiporta. Solo alcune settimane fa è stato ristabilito il traffico ferroviario, e per mezzo della linea 1 e 2 della metro, si può raggiungere il paese dal centro di Valencia in pochi minuti. Non appena si esce dalla stazione si è accolti da un cartello su cui è riportato: «Reconstrucción de la estación de Paiporta. Líneas 1,2 y 7». Questi lavori fanno parte del Pla Recuperem València, un pacchetto di finanziamenti pari a un miliardo di euro stanziato dalla Generalitat Valenciana e finalizzato alla ricostruzione dei paesi, al quale si aggiunge il contributo economico dello Stato.

Osservare i nuovi binari su cui circolano i vagoni della metropolitana fa inevitabilmente un certo effetto. L’immagine della ferrovia divelta e accasciata su se stessa risale a solo pochi mesi prima, ma non può far altro che suggerire un immediato paragone nella memoria di chi ha visto quella stazione della metro. La sensazione di trovarsi dinanzi ad una rappresentazione fisica della locuzione «la quiete dopo la tempesta» è costante, ma è nei dettagli che ci si può imbattere nella percezione di un dolore ancora irrisolto.
Per chi ha visto Paiporta solo durante i giorni successivi alla DANA, il paese è irriconoscibile. Camminare tra le strade, questa volta, è reso difficile solo dal caldo asfissiante che in questi giorni di agosto sta colpendo una gran parte dello stato spagnolo. Bruciati dal sole, gli angoli delle strade accolgono le persone rimaste in paese e vari operai che seduti sulle panchine cercano ristoro sotto l’ombra degli alberi. Il fantasma degli ammassi di detriti è tangibile. Le stesse strade sono ricoperte da una sottile patina di polvere e fango che risale con tutta probabilità a quei giorni, mentre il vento smuove la terra dei giardini non più verdi.

Non appena arrivo in una delle piazze principali del paese, dove sorge la Chiesa di Sant Jordi, noto che le attività di ristorazione hanno ripreso a lavorare: per sfuggire dal caldo alcuni si riparano sotto gli ombrelloni dei bar e si rinfrescano bevendo del caffè freddo o una horchata, bevanda tipica della Comunità Valenziana. Il caso vuole che tra i tavolini abbia la fortuna di incontrare Zaca, lo stesso ragazzo che dieci mesi prima, mi descrisse, dentro ad un centro di distribuzione alimentare improvvisato, la sua esperienza. All’epoca mi raccontò di aver avuto fortuna, di essersi salvato in tempo e di aver avuto la possibilità di parcheggiare al sicuro. Mi accoglie oggi con lo stesso sorriso. «Mancano ancora delle cose, ma onestamente molte altre sono state sistemate grazie alla gente che è venuta da fuori. Senza queste persone non staremmo così» mi spiega Zaca. «Non mi interesso di politica, però sicuramente da quel punto di vista le cose sono state fatte male». Chiosa, prima di andare a lavorare.
La quotidianità dopo il disastro
Nonostante siano passati vari mesi, è possibile ascoltare tra i tavolini del bar i racconti di quei giorni, il resoconto dei danni e le esperienze più dure vissute da conoscenti e amici. La DANA qui è divenuta una tappa imprescindibile nella vita delle persone: tra le varie vicissitudini della vita, l’alluvione ha preso un posto fondamentale nello svolgimento della quotidianità cittadina, come era accaduto durante la pandemia da Covid-19.
«L’acqua dentro casa arrivava a due metri d’altezza, sono venuti a salvarci alcuni vicini» mi racconta Carmen, una signora del paese. «Noi ci siamo salvati per miracolo, io per sette mesi mi sono dovuta trasferire in Svizzera per guarire e sono tornata qui solo da qualche settimana». Mi viene spiegato che, nonostante tutto, il popolo cerca di ritrovare la forza di andare avanti ancora adesso. «Chiaramente le famiglie che hanno vissuto la perdita di un caro fanno ancora molta fatica a voltare pagina» mi spiega ancora Carmen.

Tornando sull’argomento, lo sgomento provato da chi ha rischiato di perdere la vita sembra riaccendersi immediatamente: ognuno cerca la propria pace in vari modi, chi benedicendo la fortuna che permette loro di essere ancora vivi; chi ringraziando il lavoro incessante dei volontari; chi attaccando senza mezzi termini l’inadempienza della politica. «Io vivo in Svizzera e, nonostante ciò, ho comunque visto le immagini di Paiporta inondata prima che i cittadini ricevessero gli allarmi d’emergenza» mi spiega Pablo, il figlio di Carmen. «Se la Generalitat fosse intervenuta per tempo, si parlerebbe di molti danni, ma sicuramente di molte meno vittime».
La fuga della politica
Sono proprio le responsabilità politiche il tema ancora oggi più scottante. Difatti, nonostante la Generalitat e il governo spagnolo abbiano dato il via ad un oneroso piano di ricostruzione, il presidente valenziano Carlos Mazón non ha mai ammesso la propria colpevolezza e nel corso dei mesi ha tergiversato sulle ragioni per le quali non è stato fatto partire in tempo l’allarme. L’agenzia metereologica spagnola (AEMET) aveva allertato fin dalla mattina del 28 ottobre il rischio di alluvione, ma secondo le indagini, non solo il presidente Mazón ha ignorato la gravità della situazione, ma nello stesso pomeriggio è risultato per svariate ore completamente irraggiungibile, e di conseguenza ha reso impossibile azionare un piano di precauzione. Nella stampa spagnola e tra i banchi della politica i racconti, al limite del grottesco, continuano a sprecarsi, ma resta il fatto che quest’inadempienza, unita alla gestione successiva della tragedia, è stata fatale per più di duecento persone.
Sebbene la propaganda di destra abbia cercato fin da subito di colpire il presidente del governo Pedro Sánchez, alcuni cittadini giustificano l’operato del governo, lasciando cadere la totale responsabilità su Carlos Mazón. «Quell’uomo non vuole metterci la faccia, a ogni domanda risponde che è impegnato nella ricostruzione dei paesi, ma su dove stesse in quel momento o su come ha gestito l’invio degli allarmi non si pronuncia. Allarmi che non ci sono stati» mi spiega Juán. «La gente ha iniziato a ricevere gli avvisi sul cellulare quando l’acqua era già a tre metri d’altezza. Io stesso sono tra quelli che hanno dovuto correre per salvarsi».

La conversazione si accende, le persone hanno voglia di riaffrontare una tematica che la stampa spagnola sembra aver completamente dimenticato, e ognuno sceglie di soffermarsi su un aspetto di questa tragedia. Tra questi spicca la necessità di tornare alla normalità. «Adesso funziona bene o male tutto, hanno riaperto varie attività, come i supermercati e le farmacie, altri negozi sono stati chiusi definitivamente, mentre in altri punti ne stanno aprendo di nuovi. In quel momento non potevamo neanche fare la spesa» mi spiega Jesús. «Qui hanno aiutato tanto. Devo ammettere che la gente giovane mi ha dato una lezione, è stato impressionante quanto si siano adoperati i volontari».
Durante la seconda settimana di agosto Paiporta celebra le feste patronali, in onore di San Rocco e dell’Assunzione di Maria. La programmazione delle serate d’agosto è ricca di eventi musicali e folkloristici, oltre che di attività per i bambini del paese. Anche questa situazione, però, è motivo di dibattito. «C’è bisogno di un po’ d’allegria, affinché la gente possa dimenticare quanto accaduto, specialmente per i bambini che hanno sofferto molto» mi spiega Pablo. «Tanto riceverebbero critiche in ogni caso, che queste feste si facessero o che non si facessero. Sicuramente saranno molto ridotte rispetto agli anni passati».

Camminando per il paese è possibile vedere i garage e i piani terra fortemente intaccati dall’alluvione: negli atri dei condomini si scorge ancora oggi il livello raggiunto dal fango sulle pareti; molti cancelli sono piegati dalla forza dell’acqua e le facciate di molte case presentano dei muri grezzi di mattoni nei quali si trova l’attuale ingresso delle abitazioni. Sono vari i lavoratori impegnati a ristrutturare attività commerciali, mentre altri si dedicano al recupero dei garage.
«Quando abbiamo iniziato a ristrutturare questo garage la situazione era ancora critica. L’acqua era arrivata fino al tetto, quindi abbiamo dovuto rimuovere tutto il gesso, ricostruire le pareti cadute e adesso ci manca ridipingere» mi spiega Juanma, lavoratore di una ditta impegnata nella ristrutturazione dei garage. «Ci vorrà molto tempo per ricostruire tutto, in alcune zone del paese non si è nemmeno iniziato a lavorare». Ciò che alcuni abitanti segnalano, infatti, è la lentezza con la quale procedono i lavori per far ritornare la normalità a Paiporta «ora come ora il problema non sono i soldi, che in molti hanno ricevuto dallo Stato, ma mancano le persone che si occupino di tutto quello che c’è da fare» mi spiegano.

Ogni angolo della città racconta quanto accaduto: i disegni dei bambini sbiaditi, i cartelli con messaggi di appoggio verso il popolo valenziano, le locandine che promuovono manifestazioni ed eventi religiosi nei quali pregare e radunarsi per un po’ di conforto continuano ad essere affissi su vari edifici, in alcuni casi chiusi per le vacanze estive, in altri casi definitivamente. Ancora oggi vengono organizzati alcuni eventi legati alla DANA: da allora, ad esempio, a Valencia ogni giorno 29 del mese centinaia di manifestanti si radunano davanti agli uffici della Generalitat per chiedere giustizia e reclamare le dimissioni di Carlos Mazón. I messaggi più diretti, però, si trovano ancora una volta sui muri, in alcuni casi accusatori, in altri di conforto: «Hasta aquí llegó el agua y la incompetencia del PP» (Fino a qui è arrivata l’acqua e l’incompetenza del Partido Popular) si trova scritto accanto al portone di una casa, mentre, vicino all’ingresso di un officina ancora sventrata dall’alluvione si legge: «Siempre ganan los que nunca se rinden (y lxs que se rinden un rato, también)» (Vincono sempre coloro che non si arrendono, e anche coloro che si arrendono per un momento).
Crisi climatica ed eventi estremi
Se da un lato la rabbia e la sfiducia si dirige verso la politica istituzionale, che non sembra voler rendere giustizia né dare le risposte che la popolazione ancora aspetta di ricevere, un altro aspetto di questo disastro è indubbiamente ancora attuale, ovvero la gestione della crisi climatica. Da un bar è possibile ascoltare le notizie riportate dal telegiornale sui numerosi incendi che simultaneamente stanno colpendo varie aree del territorio spagnolo. La Galizia, Castiglia e León, le Asturie, Madrid e Aragona in questo momento sembrano legate tra loro dalle conseguenze feroci della crisi climatica che sta attanagliando la Spagna e che dieci mesi fa si abbatté sulla Comunità Valenziana. All’interno del bar, varie persone pranzano in silenzio mentre osservano le immagini degli incendi, con lo sguardo di chi ha vissuto la devastazione in prima persona. Davanti allo sconforto che oggi altri sono costretti a provare, ognuno sembra rispondere a proprio modo. «Siamo persone plurali e diverse, ognuno vive il proprio dolore in maniera differente» mi spiega Sergio, il presidente dell’associazione Intercomparsa de Moros i Cristians de Paiporta. «Bisogna rispettare ogni tipo di pensiero, azione e voglia di partecipazione».
Alcuni punti della città, resi deserti dalla canicola del primo pomeriggio, ti obbligano a confrontarti con il silenzio di quanto incontrato dieci mesi prima. Il parcheggio che a novembre ospitava le automobili accatastate oggi è completamente vuoto; in egual misura l’incrocio nel quale erano stati posizionati centinaia di stivali o il parco che ospitava il gazebo e i tavoli con alimenti e generi di prima necessità. Di quella situazione non sembra restare nulla, se non un leggero odore acre, che ricorda, forse per suggestione, il fetore del fango di quei giorni.
La nuova vita risiede in coloro che si impegnano quotidianamente per ricostruire la città; nelle persone impiegate nella ristrutturazione di case, garage e attività commerciali; in coloro che si adoperano per creare spazi di comunità e ricreazione, tra chi ha voglia di raccontare la propria esperienza e anche in quelle persone che non riescono ancora a voltare pagina. Se si arriva a Paiporta con la metropolitana da Valencia, sembra non essere successo nulla. Ma i fantasmi della devastazione sono ancora lì, nella patina di fango sulle strade, nei cartelli piegati dall’acqua, nello sguardo di chi ha visto la propria normalità spazzata via in una sera.