martedì 19 Agosto 2025

Un archeologo ha trascorso tre anni su imbarcazioni vichinghe scoprendo le rotte perdute

Ha effettuato ben 26 viaggi corrispondenti a quasi due mila miglia nautiche, e il tutto per ben tre anni in mare aperto su imbarcazioni costruite come mille anni fa: è il lavoro svolto dall’archeologo Greer Jarrett, dell’Università di Lund, descritto in un nuovo studio sottoposto a revisione paritaria e pubblicato sulla rivista scientifica Journal of Archaeological Method and Theory. Dopo aver affrontato tempeste improvvise, onde alte e guasti in navigazione, la ricerca ha portato all’individuazione di quattro approdi finora sconosciuti, luoghi strategici che in passato avrebbero offerto riparo e rifornimenti ai commercianti norreni durante i loro viaggi. Tra questi, inoltre, c’è l’isola di Storfosna, che conserva anche prove archeologiche dirette. «I dettagli del commercio dell’epoca vichinga sono spesso limitati alle sue origini e destinazioni», spiega l’autore, aggiungendo che i risultati, quindi, mettono in discussione l’idea che i Vichinghi si spostassero solo lungo la costa e nei porti principali, rivelando una rete più ampia e decentralizzata di punti di sosta.

I Vichinghi, attivi tra l’800 e il 1050 d.C., sono ricordati soprattutto per le incursioni e le grandi navi da guerra, ma il loro successo come marinai derivava anche da una fitta rete di rotte commerciali che arrivavano fino a Baghdad. Gran parte degli studi, però, si è concentrata sulle imbarcazioni più imponenti, trascurando quelle più piccole che garantivano la mobilità quotidiana, come i cosiddetti fyringer, ovvero barche agili a vela quadra capaci di affrontare mari impegnativi e approdare in baie riparate. Greer Jarrett, dottorando all’Università di Lund, ha scelto proprio queste imbarcazioni per il suo studio, affrontando la navigazione senza strumenti moderni come bussole o carte nautiche e affidandosi invece a punti di riferimento visibili e alla conoscenza tramandata dai marinai locali. Dopo ogni viaggio, spiega, ha confrontato le proprie osservazioni con antiche rotte usate fino al XX secolo e con modelli digitali del livello del mare di allora, tenendo conto dei cambiamenti dovuti all’innalzamento e abbassamento delle coste. Il tutto, secondo altri studiosi non coinvolti come Vibeke Bischoff del Viking Ship Museum di Roskilde, dimostra che i commercianti norreni potevano attraversare lunghi tratti di mare aperto e non erano legati esclusivamente ai porti maggiori.

Il signor Jarrett, al timone, a bordo della nuova nave Fyring Bara nel 2022. Questo viaggio seguì il percorso descritto in un resoconto del IX secolo e contribuì a localizzare un certo numero di potenziali porti e ancoraggi di epoca vichinga. Credit: Lorenz Peppler

In particolare, dalle spedizioni sono emersi quattro approdi principali: Storfosna, che ha restituito una sepoltura navale, Smørhamn, Sørøyane e un quarto sito ancora non nominato, tutti collocati in punti di transizione tra mare aperto e fiordi, facilmente raggiungibili e con condizioni favorevoli per ripararsi da tempeste, correnti e onde. Questi luoghi, oggi in parte modificati dal cambiamento del livello del mare, avrebbero rappresentato per i marinai tappe fondamentali per riposare, rifornirsi e scambiare informazioni con altre imbarcazioni. Navigando su queste rotte Jarrett ha inoltre sperimentato situazioni estreme, come la rottura di una parte dell’attrezzatura durante una tempesta notturna e l’impatto improvviso di un vento gelido che rischiava di capovolgere la barca. Grazie all’addestramento e alla collaborazione dell’equipaggio, però, è riuscito a riportare la nave in porto, rafforzando la convinzione che la forza della navigazione vichinga stesse nell’unione tra navi robuste e marinai capaci di adattarsi a ogni imprevisto. «La vela non ha mai riguardato solo una rotta da A a B, ma avere diverse rotte tra cui scegliere», ha osservato Morten Ravn del Viking Ship Museum. Per Jarrett, però, i risultati non si limitano solo ai nuovi approdi scoperti: l’esperienza condivisa tra compagni di viaggio avrebbe creato un legame diretto con i marinai dell’antichità e aiuterebbe a comprendere come riuscissero a muoversi con successo in un ambiente tanto ostile quanto affascinante. Si crea un «ponte di esperienza», conclude il ricercatore.

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Roberto Demaio

Laureato alla facoltà di Matematica pura ed applicata dell’Università di Modena e Reggio Emilia. Autore del libro-inchiesta Covid. Diamo i numeri?. Per L’Indipendente si occupa principalmente di scienza, ambiente e tecnologia.

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