lunedì 11 Agosto 2025

Per tonare a vendere i chip in Cina, le aziende dovranno pagare il 15% agli USA

Nell’epoca del liberismo statunitense incarnato dalla presidenza di Donald Trump, il confine tra regolamentazione commerciale e imposizione fiscale si fa sempre più sottile. Questo è quanto emerge da un accordo raggiunto tra il Governo degli Stati Uniti e due colossi dell’industria dei semiconduttori, Nvidia e AMD: le due aziende potranno tornare a esportare in Cina microchip ad alte prestazioni destinati allo sviluppo di strumenti di intelligenza artificiale, ma a condizione di versare nelle casse federali il 15% di tutti i ricavi generati da tali vendite. Una trattenuta che, di fatto, opera come un’imposta diretta sulle esportazioni, pratica esplicitamente vietata dalla Costituzione USA.

La notizia è trapelata grazie al Washington Post, il quale ha attinto a fonti interne all’Amministrazione per ricostruire questo patto fiscalmente atipico che non ha mancato di sollevare controversie. La Costituzione degli Stati Uniti proibisce infatti di imporre tasse sulle esportazioni, una norma che garantisce – almeno formalmente – che il controllo governativo sulle licenze venga utilizzato esclusivamente come meccanismo di tutela della sicurezza nazionale, non come strumento di manipolazione del commercio internazionale. 

Le restrizioni statunitensi sull’export di microchip verso la Cina affondano le radici nel 2022, quando l’amministrazione Biden decise di bloccare la vendita di determinate categorie di semiconduttori e tecnologie di produzione, temendo che potessero essere utilizzati per sviluppare sistemi di intelligenza artificiale militare o civile in grado di competere con le capacità statunitensi. Questa linea restrittiva è stata pienamente condivisa anche dall’attuale presidente Donald Trump, che ha mantenuto e in alcuni casi irrigidito queste limitazioni, con l’obiettivo dichiarato è impedire che le aziende americane forniscano al principale rivale geopolitico componenti chiave per lo sviluppo di AI avanzate.

Per aggirare i vincoli e continuare a operare sul mercato cinese, Nvidia aveva sviluppato un nuovo modello di chip, denominato H20, progettato per restare entro i limiti tecnici imposti dalle normative, mantenendo comunque un livello di prestazioni che fosse appetibile per i clienti asiatici. Nell’aprile 2025, Trump ha in ogni caso bloccato l’esportazione del prodotto, motivando la decisione con ragioni di sicurezza nazionale. Il CEO Jensen Huang ha parlato di un “danno enorme”: «abbiamo cancellato 5,5 miliardi di dollari di inventario […], abbiamo abbandonato 15 miliardi di vendite e circa 3 miliardi di dollari in tasse».

A inizio luglio, con l’avvicinarsi di un nuovo ciclo di negoziati commerciali tra Washington e Pechino e dopo colloqui diretti con i vertici delle aziende coinvolte, il clima è cambiato. Nvidia ha ricevuto un via libera preliminare a riprendere le vendite, seppur in attesa di definire condizioni precise. Questa apertura ha sollevato immediatamente le contestazioni di alcuni politici, democratici, ma anche repubblicani, che hanno accusato l’amministrazione di barattare la sicurezza nazionale in favore di interessi economici.

I dettagli tecnici su come procedere sono stati definiti lo scorso mercoledì, durante una visita di Jensen Huang alla Casa Bianca. In quell’occasione, il presidente Trump ha contattato direttamente il segretario al Commercio, Howard Lutnick, per autorizzare la concessione delle licenze di esportazione per i chip H20. Secondo il Washington Post, proprio in quel frangente è stata stabilita la condizione della trattenuta del 15% sui ricavi generati dalle vendite in Cina, formalizzata come parte integrante dell’accordo.

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Walter Ferri

Giornalista milanese, per L’Indipendente si occupa della stesura di articoli di analisi nel campo della tecnologia, dei diritti informatici, della privacy e dei nuovi media, indagando le implicazioni sociali ed etiche delle nuove tecnologie. È coautore e curatore del libro Sopravvivere nell'era dell'Intelligenza Artificiale.

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