Titoli clickbait, speculazioni giornalistiche e articoli privi del necessario contesto e dei condizionali tipici della corretta divulgazione scientifica, i quali sembrano aver già acceso numerose polemiche social e rinvigorito la ormai storica diatriba tra cosiddetti “novax” e “provax”: si possono riassumere così gli effetti che ha avuto nel mondo dell’informazione un recente studio condotto da un team internazionale di scienziati, sottoposto a revisione paritaria e pubblicato sulla rivista scientifica JAMA Health Forum. Se da una parte numerosi articoli hanno divulgato la notizia trattando i vaccini come «cruciali» e descrivendoli come origine di «risultati straordinari», dall’altra vi sono i dati dello stesso studio spesso completamente omessi e descritti dagli autori in ben due pagine di limitazioni, in cui gli autori ribadiscono che si tratta di stime approssimative, basate su ipotesi tutt’altro che solide, che l’efficacia è decine di volte inferiore rispetto a stime precedenti e ad altri vaccini e che il rapporto rischio-beneficio per i giovani andrebbe attentamente valutato, visto che costituirebbero solo lo 0,01% sul totale delle vite “salvate”. «Si tratta di uno studio epidemiologico basato su assunti a dir poco arbitrari, tra i quali uno dei più discutibili è proprio quello relativo all’efficacia dei vaccini nella prevenzione dei decessi da Covid», commenta il medico e farmacologo Marco Cosentino in esclusiva per L’Indipendente.
I risultati dello studio
«I vaccini hanno salvato 2,5 milioni di vite anche dopo la pandemia», «impatto gigantesco», «Il ruolo cruciale dei vaccini nella Salute Pubblica», «risultati straordinari»: sono queste alcune frasi e locuzioni usate per descrivere lo studio o che addirittura sono state inserite nei titoli di diversi articoli usciti nei giorni scorsi. Tuttavia, basta analizzare i dati e le stesse affermazioni degli autori per rendersi conto che – sensazionalismo a parte – lo studio dice ben altro. Gli esperti hanno esaminato i dati della popolazione mondiale applicando una serie di metodi statistici per scoprire chi, tra le persone che si sono ammalate di Covid, lo ha fatto prima o dopo la vaccinazione, prima o dopo il periodo Omicron, e quanti di loro sono deceduti. Come sottolineato dagli autori – ma non dalla maggior parte degli articoli che trattano la notizia – al contrario di quanto stimato da ricerche precedenti – come quella finanziata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità che calcolava circa 1,4 milioni di decessi in meno solo in Europa o quella pubblicata su The Lancet che attestava tale numero a circa 20 milioni nel mondo – sarebbero stati prevenuti circa 2,5 milioni di decessi nel periodo 2020-2024 a livello globale, corrispondenti a circa l’1% della mortalità totale di quel periodo. Di questi, l’82% ha riguardato persone inoculate prima di incontrare il virus, il 90% ultrasessantenni e pochi punti percentuali per i giovani: 0,01% per bambini ed adolescenti e 0,07% per giovani adulti di età compresa tra 20 e 29 anni. In totale, concludono gli autori, la campagna vaccinale avrebbe evitato un decesso ogni 5.400 dosi somministrate e garantito 14,8 milioni di anni di vita, corrispondente ad un anno di vita salvato ogni 900 dosi.
Cosa dice davvero e limitazioni
Oltre a questi dati, però, gli autori avvertono per ben due pagine di possibili limitazioni e problematiche relative ai calcoli effettuati, ribadendo che si tratta di stime basate su ipotesi tutt’altro che incontrovertibili. Per quanto riguarda i metodi, viene ipotizzato che diverse fasce di popolazione abbiano ricevuto almeno una dose precedente a qualsiasi infezione prima della variante Omicron, mentre d’altra parte il restante della popolazione globale non infettata entro novembre 2021 abbia contratto il virus almeno una volta fino ad ottobre 2024. Tale ipotesi risulta tutt’altro che scientificamente rigorosa. Basti pensare che, pur ammettendo che molti casi non siano stati rilevati (soprattutto nei paesi a basso reddito), rispetto alla popolazione mondiale di oltre 8 miliardi di persone, i casi segnalati di infezione sono attestati a meno di 780 milioni fino al 31 dicembre 2024, che potrebbero inoltre includere persone infettate più volte. Sostanzialmente, come sottolineato dagli stessi autori, viene ipotizzato che in assenza di vaccinazione prima o poi si sarebbe contratta l’infezione durante il periodo Omicron. Inoltre, un’assunzione che certamente non sarebbe condivisa da ogni ricercatore sul tema riguarda l’efficacia vaccinale: gli autori hanno ipotizzato una efficacia relativa pari al 75% prima della variante Omicron e al 50% successivamente. «Si tratta di numeri enormi che nessuno studio autorizzativo avalla in alcun modo. I vaccini a RNA nei loro studi autorizzativi non pare abbiano effetto sui decessi (Pfizer anzi ha più decessi nei vaccinati) mentre un minimo di effetto favorevole ce l’ha AstraZeneca. Ma certo non con le percentuali usate in questa ricerca», commenta in esclusiva per L’Indipendente il medico e farmacologo Marco Cosentino.
Infine, gli autori concludono con una serie di avvertenze e osservazioni che hanno trovato decisamente poco spazio all’interno degli articoli a riguardo: «La falsa percezione di una prevenzione altamente efficace della trasmissione potrebbe essersi ritorta contro di noi», scrivono, alludendo al fatto che molti vaccinati potrebbero aver ridotto le precauzioni facilitando la circolazione del virus. Inoltre, «il contributo relativo di bambini, adolescenti e giovani adulti alle vite e agli anni di vita salvati appare minimo» e ciò richiederebbe «un’attenta valutazione dei potenziali benefici aggiuntivi derivanti da esiti non letali ed effetti avversi. I rapporti costo-efficacia dovrebbero essere valutati attentamente in queste fasce d’età per valutare se la vaccinazione sia stata utile per loro». In aggiunta, c’è anche il fattore relativo all’organizzazione dei servizi sanitari che, in quei casi dove l’assistenza non era ottimale, potrebbe aver contribuito all’aumento dell’indice di mortalità, mentre non è da escludere nemmeno la variabile geografica: «La maggior parte dei dati provengono da Paesi ad alto reddito mentre nazioni come Cina e India presentano notevoli incertezze» sia sulle stime degli indici da utilizzare sia per quelli relativi ai benefici dei vaccini, continuano. Inoltre, gli autori sottolineano che è fondamentale considerare le modalità con cui sono stati segnalati i decessi e il nesso di causalità: viene stimato che in una scala da 0 a 1 – dove 0 indica che non ha contribuito affatto e 1 indica una causa dominante su tutte le altre, tipo una bomba atomica – il Covid avrebbe un peso medio di 0,5 il che, sommato al fatto che secondo i dati la maggior parte dei decessi è avvenuto in persone anziane e con almeno una o più patologie pregresse, sembrerebbe minare ulteriormente la solidità dei modelli considerati.
In conclusione, al contrario da quanto “divulgato” recentemente da numerose testate mainstream e siti di informazione italiani, non si tratta di uno studio «gigantesco» e «straordinario», ma di una analisi che, come sottolineato dagli autori, mira a fornire stime approssimative utili per ricerche successive e modelli sui cui potrebbero basarsi ulteriori studi futuri.