I tre membri della Commissione d’inchiesta ONU per i territori palestinesi Occupati hanno annunciato in blocco le loro dimissioni. Il gruppo è stato istituito nel 2021 per accertare i fatti che avvengono sul territorio palestinese e israeliano. Tra le motivazioni fornite dai singoli relatori, vi sono ragioni di età, questioni mediche, e «il peso di diversi altri impegni». Le dimissioni, che avranno effetto il prossimo novembre, sono arrivate in parallelo all’imposizione di sanzioni nei confronti della Relatrice Speciale per i territori Palestinesi Occupati, Francesca Albanese; la notizia del loro allontanamento dalla Commissione è passata in sordina sulla stampa internazionale, ma è stata accolta con piacere dai media e dai gruppi che ne contestavano l’operato, che vedono proprio nelle pressioni statunitensi le vere ragioni dietro le dimissioni: «La paura di dover rendere conto sta finalmente prendendo piede», ha detto Hilel Neuer, vertice di UN Watch, organizzazione spesso critica nei confronti delle voci che si battono per la Palestina; «Francesca Albanese era solo la punta dell’iceberg».
Le dimissioni dei membri della Commissione Internazionale Indipendente d’Inchiesta per i Territori Palestinesi Occupati sono arrivate una di seguito all’altra a partire dallo scorso 8 luglio, ma sono state rese note solo una settimana dopo. La prima a presentare le proprie dimissioni è stata Navanethem Pillay, 83 anni, direttrice della Commissione. Nella breve lettera, Pillay spiega che le dimissioni arrivano «a causa dell’età, di problemi medici e del peso di diversi altri impegni» e che avranno effetto a partire dal 3 novembre. Alla lettera di Pillay è seguita, il 9 luglio, quella di Chris Sidoti, 74 anni, che sostiene che «il pensionamento del Presidente è il momento opportuno per ricostituire la Commissione», mostrandosi aperto a un eventuale riassegnazione dell’incarico. L’ultimo a rassegnare le proprie dimissioni è stato Miloon Kothari, 69 anni, già Relatore speciale ONU sul Diritto a un Alloggio Adeguato, che sostiene che la decisione segue una riunione della Commissione tenutasi la settimana precedente.
Le dimissioni della presidente del gruppo Pillay sono state rassegnate in parallelo all’imposizione di sanzioni alla Relatrice speciale Francesca Albanese, tanto che secondo i media israeliani e il gruppo UN Watch sarebbero da ricondurre proprio a queste, o più in generale alle pressioni statunitensi su coloro che perseguono i crimini di guerra israeliani. «UN Watch ha tracciato una linea diretta tra le ultime dimissioni e lo shock politico causato dalla decisione degli Stati Uniti di sanzionare Francesca Albanese», si legge nel comunicato del gruppo; malgrado le date non sembrino combaciare (le sanzioni ad Albanese sono state annunciate il 9 luglio, ma le dimissioni di Pillay sono state firmate l’8 luglio, e Kothari parla di una decisione raggiunta la settimana precedente), gli Stati Uniti stanno effettivamente aumentando la propria pressione a livello internazionale; le sanzioni ad Albanese sono infatti state precedute da analoghe misure contro quattro giudici della Corte Penale Internazionale, per le loro «azioni illegittime» contro Washington e Israele; le misure contro i giudici e Albanese, inoltre, si appoggiano a un decreto con cui Trump aveva aperto la strada alle sanzioni contro la Corte Penale Internazionale e coloro che collaborano con essa per perseguire i crimini israeliani. Il primo a essere colpito era stato il procuratore della CPI Karim Khan, che aveva chiesto l’emissione dei mandati di arresto internazionale contro Netanyahu e il suo ex ministro Gallant.