venerdì 4 Luglio 2025

“Economia del genocidio”: il rapporto ONU che identifica le aziende che fiancheggiano Israele

“Dall’economia dell’occupazione all’economia del genocidio”. È questo il titolo dell’ultimo rapporto della Relatrice speciale delle Nazioni Unite sui territori palestinesi occupati, Francesca Albanese. Nel documento, Albanese esplora «i meccanismi aziendali che sostengono il progetto coloniale israeliano». Il rapporto scoperchia il proverbiale vaso di Pandora, mostrando chi guadagna da questa duplice operazione di cancellazione e sostituzione dei palestinesi dalla propria terra: dietro vi sono aziende belliche come l’italiana Leonardo, di sorveglianza tecnologica come Palantir, di commercio digitale come Amazon, ma non solo; si parla dell’industria alimentare di Tnuva, dei supermercati di Carrefour, dei colossi del turismo globale di AirBnB e Booking, delle ONG, delle università, dei fondi pensionistici. Una fitta rete di interessi che fa spesso capo ai maggiori gruppi finanziari del mondo, come Vanguard e Blackrock, e che risponde a quella domanda che tutti si pongono quando vengono quotidianamente esposti alle immagini atroci di ciò che accade a Gaza: come è possibile che il genocidio continui? La risposta, conclude il rapporto, è semplice: «perché è redditizio per molti».

Come le aziende violano il diritto internazionale

Il rapporto di Albanese indaga sui meccanismi e i legami aziendali che contribuiscono allo sfollamento e alla sostituzione dei palestinesi nei territori occupati, mostrando le entità che traggono profitto «dall’economia israeliana di occupazione illegale, apartheid e, ora, genocidio». Albanese ha sviluppato un database di oltre 1.000 entità aziendali che collaborano con la macchina economica israeliana: con “entità aziendali” «si intendono imprese commerciali, società multinazionali, entità a scopo di lucro e non a scopo di lucro, private, pubbliche o statali». Aiutando Israele, queste aziende violano i Principi guida su imprese e diritti umani, e le norme più fondamentali del diritto internazionale.

Al centro delle violazioni, c’è la duplice logica di eradicazione e sostituzione dell’eredità palestinese dal territorio. Questa pratica si è affermata sin da prima della fondazione di Israele, con l’istituzione del Fondo Nazionale Ebraico nel 1901, e «con l’aiuto crescente di entità aziendali». Specialmente dopo il 1967, il settore aziendale ha fornito a Israele tutto il necessario per distruggere l’eredità palestinese, aiutando lo Stato ebraico a segregare e reprimere le comunità arabe, per infine incentivare la loro sostituzione e la presenza militare israeliana. In cambio, le aziende hanno tratto e traggono ancora oggi profitto da tale sistema, sfruttando il lavoro e le risorse palestinesi, costruendo e alimentando le colonie, e vendendo e commercializzando beni e servizi ​​in Israele. Con gli accordi di Oslo, la situazione è peggiorata, perché il «monopolio di Israele» è stato istituzionalizzato «sul 61% della Cisgiordania ricca di risorse (Area C)». Oggi questo sistema costa alla Palestina almeno il 35% del suo PIL, e questa forma di economia coloniale si è trasformata in un’economia del genocidio.

La cancellazione: armi, tecnologia e civile

Un mezzo della Caterpillar viene utilizzato nei campi a ovest di Betlemme, in Cisgiordania.

Il primo tassello fondamentale del progetto coloniale e genocidario israeliano è quello della cacciata dei palestinesi dalla propria terra, che ha dato vita a una vera e propria economia della cancellazione di un popolo. Nell’economia del genocidio, gli arei F-16 ed F-35, i droni, i quadricotteri, gli esacotteri, fino ad arrivare alle armi da fuoco e ai proiettili risultano centrali. Molte tecnologie sono sviluppate in collaborazione con il Massachusetts Institute of Technology; alcuni materiali robotici sono forniti dalla giapponese FANUC Corporation; le componenti sono consegnate da aziende di trasporto come la danese Maersk; diversi progetti, tra cui quelli dei caccia, sono realizzati dalle israeliane Elbit Systems e Israeli Aerospace Industries, dalla statunitense Lockheed Martin e dall’italiana Leonardo. «Per aziende israeliane come Elbit e IAI, il genocidio in corso è stato un’impresa redditizia», scrive Albanese. Nel 2024 la spesa militare israeliana è aumentata del 65% e ha generato un forte aumento dei profitti annuali di tali aziende.

Accanto al settore militare, c’è quello della sorveglianza e in generale della tecnologia. Le stesse aziende tecnologiche israeliane nascono dal settore militare: è il caso di NSO Group, sorto su iniziativa dell’unità 8200 delle IDF, le cui tecnologie di riconoscimento vengono utilizzate contro gli attivisti palestinesi ed esportate in tutto il mondo. La statunitense IBM opera in Israele dal 1972, addestrando personale militare e di intelligence; IBM gestisce anche il database centrale di alcune istituzioni israeliane, e consente la raccolta, l’archiviazione e l’uso governativo dei dati biometrici sui palestinesi. Accanto a IBM, c’è HP, che ha a lungo «abilitato i sistemi di apartheid di Israele, fornendo tecnologia al COGAT, al servizio carcerario e alla polizia». Le tecnologie di Microsoft sono integrate con il sistema israeliano, «nel servizio carcerario, nella polizia, nelle università e nelle scuole, comprese le colonie», nonché nell’esercito. Col passare degli anni, questo fitto sistema tecnologico ha iniziato ad avere bisogno di tecnologie cloud per l’archiviazione e l’elaborazione di dati, che nel 2021 Israele ha assegnato ad Alphabet (Google) e Amazon, con un contratto da 1,2 miliardi di dollari. La tecnologia, sottolinea Albanese, è redditizia: nel 2024 Israele ha registrato un aumento del 143% delle start-up di tecnologia militare, prodotti che hanno rappresentato il 64% delle esportazioni israeliane durante il genocidio.

Ultimo, ma non meno importante, elemento dell’economia della distruzione è l’impiego di tecnologie civili e mezzi pesanti per distruggere campi, abitazioni, e infrastrutture palestinesi. A guadagnare dalle operazioni di demolizione è stata, per decenni, la statunitense Caterpillar, fornendo attrezzature e mezzi pesanti, anche attraverso il programma statunitense di finanziamento militare estero. In collaborazione con aziende come IAI, Elbit Systems e RADA Electronic Industries (in mano alla nostra Leonardo) Israele ha trasformato il bulldozer D9 della Caterpillar in un armamento automatizzato dell’esercito israeliano. Anche Hyundai e Volvo sono da tempo collegate alla distruzione di proprietà palestinesi, fornendo «attrezzature attraverso rivenditori israeliani autorizzati esclusivamente». I mezzi di queste aziende sono oggi utilizzati tanto nella Striscia di Gaza quanto in Cisgiordania.

La sostituzione: risorse, commercio e turismo

In parallelo alla cacciata, alla segregazione e alla cancellazione dei palestinesi, le aziende hanno anche aiutato nella costruzione di ciò che li sostituisce: le colonie e tutto ciò che le circonda. Dopo ottobre 2023 queste ultime attività sono aumentate. Nel 2024, infatti, il bilancio del Ministero delle Costruzioni e dell’Edilizia Abitativa israeliano è raddoppiato. Oltre ai già citati mezzi pesanti per distruggere gli insediamenti palestinesi, Israele «saccheggia milioni di tonnellate di roccia dolomitica dalla cava di Nahal Raba su terreni confiscati ai villaggi palestinesi in Cisgiordania» concedendo licenze alla tedesca Heidelberg Materials. Proprio lo sfruttamento delle risorse e il conseguente controllo dei servizi essenziali risultano centrali nell’economia del genocidio israeliano: Mekorot detiene il monopolio dell’acqua nel territorio palestinese occupato; Gaza dipende dalle importazioni di carbonio e carburante di cui Drummond Company e Swiss Glencore sono i principali fornitori; lo Stato ebraico ha concesso licenze per l’esplorazione di idrocarburi a Chevron e BP. Il consorzio della Chevron fornisce inoltre più del 70% del consumo interno di gas naturale israeliano.

Israele guadagna e fa guadagnare alle aziende anche nei settori agricolo, commerciale e turistico. Tnuva, il più grande conglomerato alimentare israeliano, ora di proprietà maggioritaria della cinese Bright Dairy & Food, ha alimentato e beneficiato dell’espropriazione delle terre palestinesi, aumentando la dipendenza palestinese dall’industria alimentare israeliana; in molti Paesi non si fa distinzione tra i prodotti provenienti da Israele e quelli provenienti dalle sue colonie; alcune catene di supermercati come Carrefour operano direttamente nelle colonie, così come le piattaforme di commercio elettronico come Amazon; Booking e AirBnb affittano proprietà e camere d’albergo nelle colonie israeliane, tanto che negli ultimi cinque anni il numero di tali annunci è più che raddoppiato.

Gli abilitatori: fondi pensionistici, ONG, istituti finanziari

A oliare l’articolata macchina dell’economia del genocidio, permettendo la speculazione, sono ONG, banche, gruppi assicurativi, fondi sovrani e pensionistici, istituti finanziari. «Dal 2022 al 2024, il bilancio militare israeliano è cresciuto dal 4,2% all’8,3% del PIL, portando il bilancio pubblico a un deficit del 6,8%». Ad aumentare la fiducia degli investitori sono intervenute alcune tra le più grandi banche del mondo, quali BNP Paribas e Barclays, che hanno sottoscritto i titoli israeliani, consentendo al Paese di contenere il premio del tasso di interesse, malgrado un declassamento del credito. Ad acquistarli, le maggiori società di gestione patrimoniale: Blackrock, per 68 milioni di dollari, Vanguard per 546 milioni di dollari, e la sussidiaria di gestione patrimoniale di Allianz, PIMCO, per 960 milioni di dollari. Queste stesse società possiedono una cospicua percentuale di diverse delle aziende citate precedentemente: Blackrock è il secondo maggiore investitore in Palantir (8,6%), Microsoft (7,8%), Amazon (6,6%), Alphabet (6,6%) e IBM (8,6%), e il terzo maggiore in Lockheed Martin (7,2%) e Caterpillar (7,5%); Vanguard è il maggiore investitore istituzionale in Caterpillar (9,8%), Chevron (8,9%) e Palantir (9,1%), e il secondo maggiore in Lockheed Martin (9,2%) ed Elbit Systems (2,0%). BNP Paribas è stato uno dei principali finanziatori europei dell’industria delle armi che rifornisce Israele, prestando, tra le altre cose, 410 milioni di dollari a Leonardo; nel 2024, Barclays ha fornito 862 milioni di dollari a Lockheed Martin e 228 milioni di dollari a Leonardo.

Accanto agli istituti bancari e finanziari ci sono anche i fondi sovrani e pensionistici: dopo il 2023, il più grande fondo sovrano del mondo, il Norwegian Government Pension Fund Global (GPFG), ha aumentato i suoi investimenti in società israeliane del 32%, toccando quota 1,9 miliardi di dollari. Entro la fine del 2024, il GPFG aveva investito almeno 121,5 miliardi di dollari nelle aziende citate da Albanese, il 6,9% del suo valore totale. La Caisse de Dépôt et Placement du Québec, un fondo pensionistico canadese, vi ha invece investito 6,67 miliardi di dollari. Anche le organizzazioni di beneficenza religiose «sono diventate importanti facilitatori finanziari di progetti illegali», sfruttando i propri vantaggi fiscali. Il Fondo Nazionale Ebraico (KKL-JNF) e le sue oltre 20 affiliate finanziano l’espansione dei coloni e progetti legati all’esercito; dall’ottobre 2023, piattaforme come Israel Gives «hanno consentito il crowdfunding deducibile dalle tasse in 32 Paesi per unità militari e coloni israeliani»; Christian Friends of Israeli Communities con sede negli Stati Uniti, Dutch Christians for Israel e affiliati globali, hanno inviato oltre 12,25 milioni di dollari nel 2023 a vari progetti che sostengono le colonie, «compresi alcuni che addestrano coloni estremisti».

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Dario Lucisano

Laureato con lode in Scienze Filosofiche presso l’Università di Milano, collabora come redattore per L’Indipendente dal 2024.

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4 Commenti

  1. Dopo tutto ciò che ho appreso inconsapevolmente forse anche io ho finananziato alcune aziende come microsft hp amzon booking. Penso che l’umanità sia una cosa orrenda. Qualcuno più consapevole ed intelligente di me disse L’uomo ha inventato la bomba atomica ma nessun topo al mondo costruirebbe trappole per topi.

  2. Quello che bisognerebbe aggiungere è che i peggiori menefreghisti delle sorti dei Palestinesi sono gli Arabi Mussulmani che mentre sovvenzionano all’infinito i terroristi per i peggiori crimini immaginabili, non danno neanche una lira per iniziative civili, potrebbero dare un milione ad ogni Palestinese domani senza nemmeno vedere la differenza nei loro conti in Banca.
    Personalmente odio tutti i traditori per soldi, che siano gli Slavi d’Ukraina che per soldi si vendono all’Occidente e combattono i loro fratelli Slavi, siano Mussulmani con le basi USA a pagamento, siano Leaders Europei che fanno solo gli interessi Atlantisti, siano giornalisti che ci propinano la pappa decisa a tavolino, siano militari Italiani che perché c’è l’hanno più corto dei colleghi USA, coprono gli omicidi di aerei in volo commessi da quelli che ce l’hanno più grosso, contro tutti i loro giuramenti.

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