giovedì 3 Luglio 2025

Riqualificare abbattendo gli alberi: il paradosso italiano alimentato anche dal PNRR

In un’Italia sempre più colpita da eventi climatici estremi, il verde urbano rischia di diventare una delle vittime più paradossali dell’ambientalismo contemporaneo. Dai boschi alle città, da nord a sud, gli alberi vengono tagliati con motivazioni che spesso richiamano proprio la tutela dell’ambiente, come denunciato dalla giornalista ambientale Linda Maggiori. Un fenomeno per alcuni dilagante, alimentato anche dai fondi del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), ma spesso anche travisato ed esagerato a causa di un’ignoranza diffusa sulle tematiche ecologiche.

Il PNRR, nato per rilanciare l’economia italiana in chiave sostenibile, è stato spesso utilizzato per finanziare progetti che comportano l’abbattimento di alberi maturi e funzionali. Succede a Torino, dove nel parco del Meisino un progetto da 11,5 milioni di euro prevede la costruzione di una cittadella dello sport e spazi per l’educazione ambientale, a costo di abbattere cinquanta grandi alberi. Il paradosso è evidente: «Si distrugge l’ambiente in nome dell’ambiente», denuncia l’agronomo Daniele Zanzi, che parla di una «pandemia bipartisan» di abbattimenti indiscriminati. E non si tratta di un caso isolato. Emblematico è anche l’episodio di Marina di Carrara, dove l’associazione ARCA (Assieme per la Rigenerazione e la Cura dell’Ambiente) ha denunciato l’abbattimento di un’intera pineta urbana nell’ambito del progetto di “riqualificazione” dell’area sportiva La Caravella, finanziato sempre con fondi PNRR. Secondo il comitato ARCA, il progetto somma tutte le criticità più tipiche del fenomeno nazionale: l’abbattimento in blocco di alberi adulti senza perizie strumentali, basandosi solo su generiche valutazioni di “senescenza”, la sostituzione non graduale, violando le linee guida ISPRA e regionali, e nuove costruzioni su aree verdi, mascherate come riduzione del cemento ma in realtà realizzate su suolo naturale. Inoltre, mancherebbe completamente un bilancio ecosistemico che quantifichi le perdite ambientali. I numeri, a detta dell’associazione sarebbero impietosi: ogni pino adulto abbattuto comporta la perdita di 2.236 kg di CO₂ già accumulata nel legno e 101 kg di CO₂ in meno sequestrati ogni anno, oltre a un calo di ossigeno, meno acqua regolata e minore capacità di rimozione di inquinanti atmosferici. Il comitato ha pertanto chiesto la sospensione degli abbattimenti, delle perizie indipendenti, un piano di sostituzione graduale solo per alberi irrecuperabili, l’accesso completo alla documentazione e la verifica della Corte dei Conti.

L’idea che si possa compensare l’abbattimento di un albero maturo piantandone uno giovane non sta in piedi. I grandi alberi maturi rimuovono infatti inquinanti atmosferici circa 70 volte più delle piante giovani e sequestrano circa 360 kg/anno di anidride carbonica rispetto ai soli 4-16 kg/anno dei piccoli alberi. Alla base degli abbattimenti vi è spesso poi una valutazione superficiale della stabilità degli alberi, affidata quasi esclusivamente al metodo VTA (Visual Tree Assessment), criticato per la sua soggettività. Nel frattempo, le normative esistono ma vengono spesso ignorate, come il decreto sui criteri ambientali minimi per il servizio di gestione del verde pubblico, che vieta le capitozzature e impone potature corrette, e la legge (157/1992) sulla tutela della fauna che protegge i nidi sugli alberi. Anche la Convenzione di Aarhus, che impone la partecipazione pubblica alle decisioni ambientali, viene sistematicamente disattesa. Senza contare che il contesto in cui avvengono questi abbattimenti è drammatico: l’Italia ha registrato 12.743 morti legate alle ondate di calore nel 2023 e oltre 59.000 a causa delle polveri sottili. In questo scenario, il ruolo degli alberi in città è cruciale per abbassare le temperature e migliorare la qualità dell’aria. In risposta a questo scenario, si stanno così moltiplicando le proteste dei cittadini. A Vicenza gli attivisti si sono arrampicati sugli alberi del bosco Lanerossi per impedirne l’abbattimento per i lavori della Tav. A Bologna, il Comitato Besta è riuscito a salvare il Parco Don Bosco da un progetto edilizio. A Gallarate, nel novembre 2024, è stato raso al suolo un intero bosco per costruire due scuole e un asilo, mentre in Salento si protesta contro la distruzione di un’area boschiva per ampliare un circuito automobilistico.

Va però anche detto che c’è verde urbano e verde urbano. Forse non è questo il caso, ma l’ambientalismo privo di basi scientifiche spesso accusa le amministrazioni comunali di “mattanze” di alberi senza però entrare nel merito di ciò che viene tagliato e di ciò che in sostituzione viene messo a dimora. In città, a causa dell’elevato livello di disturbo antropico, abbondano specie vegetali invasive che in termini di supporto alla biodiversità sono tutt’altro che funzionali. Tra queste, specie arboree quali robinia e ailanto, provenienti rispettivamente dal Nord America e dalla Cina, che nelle aree urbane originano comunità boschive a ridottissima diversità. Abbattere un bosco dominato da queste specie e sostituirlo con specie autoctone, anche se più giovani e meno numerose, è sicuramente un guadagno ambientale. Ad ogni modo, il Regolamento sul Ripristino della Natura approvato dall’Europa è chiaro: entro il 2030 non dovranno esserci perdite nette né di spazi verdi urbani né di copertura arborea. La strada intrapresa è giusta, ma l’importante è tenete a mente che non basta piantare “nuovo verde”: conta la copertura fornita dalle chiome, ovvero l’età e la dimensione degli alberi, e soprattutto la coerenza ecologica delle specie piantate secondo il principio “l’albero giusto al posto giusto”.

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Simone Valeri

Laureato in Scienze Ambientali e in Ecobiologia, attualmente frequenta il Dottorato in Biologia ambientale ed evoluzionistica della Sapienza. Oltre alle attività di ricerca, si dedica al giornalismo ambientale e alla divulgazione scientifica.

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