giovedì 19 Giugno 2025

Netanyahu, 30 anni di menzogne e allarmismo sul programma nucleare iraniano

Da oltre trent’anni Benjamin Netanyahu recita ossessivamente lo stesso copione: l’Iran è sul punto di sviluppare un’arma nucleare, e il mondo – sotto la regia degli Stati Uniti – deve intervenire per fermarlo. Un disco rotto che ha accompagnato ripetute crisi internazionali, elezioni israeliane e operazioni militari, ma che, alla prova dei fatti, si è puntualmente infranto contro la mancanza di prove.

Oggi il mondo è sull’orlo del precipizio dietro al pretesto che l’Iran avrebbe già le capacità per costruire nove bombe nucleari. L’AIEA ha formalmente stabilito che l’Iran non sta rispettando i suoi obblighi sul Trattato di non proliferazione nucleare (l’accordo internazionale a cui, paradossalmente, Israele – che possiede circa 200 testate – non aderisce) per la prima volta in venti anni. Il ministero degli Esteri iraniano e l’Organizzazione Nazionale per l’Energia Atomica hanno replicato che la decisione è «politica per eccellenza e riflette un chiaro pregiudizio». Alcuni media iraniani hanno pubblicato una serie di documenti che dimostrerebbero le pressioni che il direttore Rafael Grossi avrebbe ricevuto da Israele, finendo per seguire le direttive di Tel Aviv. Secondo le agenzie di stampa Fars e Iran Press, citando rappresentanti dell’intelligence iraniana, l’AIEA avrebbe trasmesso segretamente la corrispondenza riservata che l’Agenzia intratteneva con Teheran ai servizi segreti israeliani.

Il tormentone politico della minaccia nucleare iraniana comincia nel lontano il 1992, quando Netanyahu, allora parlamentare, iniziò a puntare il dito contro l’Iran, accusando Teheran di essere a tre o cinque anni dal possedere un’arma nucleare, sottolineando la necessità di un’azione internazionale guidata dagli Stati Uniti per fermare il programma. Nel 1995, durante un discorso contraddistinto dalla tipica retorica tutt’altro che misurata, Netanyahu ribadì il concetto, insistendo che la minaccia dovesse essere «sradicata». Nel suo libro del 1995, Lotta al terrorismo, Netanyahu mise nero su bianco il concetto che l’Iran avrebbe avuto un’arma nucleare «entro tre o cinque anni». Nel 1996, parlando al Congresso degli Stati Uniti, Netanyahu avvertì che se l’Iran avesse acquisito armi nucleari, ciò avrebbe avuto «conseguenze catastrofiche» non solo per Israele e il Medio Oriente, ma per il mondo intero, aggiungendo che la scadenza per raggiungere questo obiettivo era «estremamente vicina». 

Nel 2002, in un’altra testimonianza al Congresso, Netanyahu si concentrò inizialmente sull’Iraq, per poi tornare a sottolineare il pericolo dell’Iran, sostenendo che il programma nucleare iraniano fosse così avanzato che il Paese stava utilizzando «centrifughe grandi come lavatrici». Affermazioni che si sono rivelate sfacciatamente false come le previsioni del decennio precedente. 

Nel 2009, come rivelato da un cablogramma di WikiLeaks, Netanyahu – allora candidato premier – informò una delegazione del Congresso USA che l’Iran era probabilmente a uno o due anni dal raggiungere la capacità di sviluppare armi nucleari. Nelle interviste rilasciate ai giornalisti in quel periodo – ricordiamo quella a Jeffrey Goldberg di The Atlantic –, Netanyahu continuò ad agitare lo spauracchio su questa presunta imminente minaccia “apocalittica”.

Nel 2012, tornò alla carica, dichiarando in colloqui privati riportati dai media israeliani, che l’Iran era a pochi mesi dal raggiungere capacità nucleari. Nello stesso anno, durante un discorso alle Nazioni Unite, utilizzò un cartello con il disegno in stile cartoon di una bomba sferica e tracciò una riga sotto la miccia, per illustrare che l’Iran sarebbe stato in grado di costruire un’arma nucleare entro un anno. Tali affermazioni furono clamorosamente smentite dalle analisi della stessa intelligence israeliana, che indicavano che l’Iran non stava attivamente sviluppando un’arma nucleare.

Nel 2018, all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, Netanyahu accusò l’Iran di mantenere un «magazzino atomico segreto» a Teheran, mostrando foto e sostenendo che ciò dimostrava l’intento di sviluppare armi nucleari, nonostante l’accordo nucleare del 2015 (JCPOA). I funzionari dell’intelligence USA confermarono che queste informazioni erano già note e non cambiavano il giudizio che l’Iran non stesse riavviando un programma nucleare militare. Nel 2019 Netanyahu continuò a lanciare avvertimenti sull’Iran, sostenendo che il Paese fosse vicino a un punto di svolta nel suo programma nucleare, anche se non fornì dettagli specifici.

Quest’anno, in un’intervista a News Max, Netanyahu ha ammesso che Israele ha «ritardato ma non fermato» il programma nucleare iraniano, e che Teheran a “giorni” sarebbe riuscita ad arricchire abbastanza uranio per una bomba. In seguito, ha sostenuto che l’Iran avrebbe ottenuto abbastanza uranio arricchito per nove bombe nucleari. Queste accuse ufficiali sono state contestate dall’intelligence USA, secondo cui l’Iran sarebbe ancora ad anni di distanza dalla capacità di produrre un’arma nucleare. La direttrice dell’intelligence nazionale statunitense, Tulsi Gabbard, al Congresso ha spiegato ai legislatori che l’Iran non stava costruendo un’arma nucleare e la sua Guida suprema non aveva riautorizzato il programma inattivo, nonostante avesse arricchito l’uranio a livelli più elevati. Il 17 giugno, il presidente americano Donald Trump ha respinto la valutazione delle agenzie di spionaggio statunitensi durante un volo notturno di ritorno dal G7 a Washington. Senza motivare le sue dichiarazioni ha liquidato il report dei suoi 007, limitandosi a un commento laconico: «Non mi interessa cosa ha detto». Sconfessando di fatto Gabbard.

A partire dall’amministrazione Reagan, l’ostracismo americano nei confronti del programma nucleare iraniano si è evoluto nei decenni, consolidandosi in una piena demonizzazione sotto la presidenza Clinton, sempre più ostaggio delle lobby sioniste. Al contempo, per oltre tre decenni, Netanyahu ha diffuso false dichiarazioni sui programmi di armi nucleari che contraddicevano le analisi dei suoi stessi consulenti di intelligence, senza che le sue ripetute previsioni si siano mai concretizzate nei tempi indicati. Il suo allarmismo ciclico riemerge puntualmente quando serve a coprire tensioni interne, distrarre l’opinione pubblica da negoziati internazionali scomodi o dal genocidio a Gaza, garantirsi la sopravvivenza politica o a rilanciare le sue fortune politiche. L’Iran come spauracchio eterno, utile leva di pressione geopolitica.

Siamo di fronte al solito schema, volto a creare un diversivo e a strumentalizzare una minaccia per ottenere un casus belli e a legittimare un regime change. Si tratta della stessa narrazione che permise agli Stati Uniti, nel 2003, di trascinare il mondo in una guerra disastrosa contro l’Iraq, fondata sul pretesto delle armi di distruzione di massa mai esistite. Ieri la fialetta con l’antrace agitata da Colin Powell, oggi il copione si ripropone, stavolta con l’Iran come nemico designato. 

Netanyahu continua a gridare al lupo. Il lupo, ancora una volta, non c’è, ma ci troviamo tutti sul ciglio del precipizio a contemplare inebetiti il burrone sotto di noi, mentre il pifferaio israeliano continua a suonare il suo canto di guerra.

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Enrica Perucchietti

Laureata con lode in Filosofia, vive e lavora a Torino come giornalista, scrittrice ed editor. Collabora con diverse testate e canali di informazione indipendente. È autrice di numerosi saggi di successo. Per L’Indipendente cura la rubrica Anti fakenews.

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