Da circa una settimana, la Libia sta sprofondando nel caos. Tutto è iniziato con l’uccisione di Abdel Ghani Al Kikli, detto Gheniwa, capo dello Stability Support Apparatus (SSA), un’importante milizia armata del Paese affiliata al governo. Dopo la notizia della sua morte, a Tripoli sono scoppiati scontri per il controllo del territorio che tra escalation e apparenti momenti di stabilità sono andati avanti per giorni. Nel frattempo, nella Cirenaica, regione controllata dalla Libyan National Army (LNA) del generale Haftar, la situazione rimane incerta con Haftar che potrebbe approfittare delle tensioni per consolidare il suo potere nell’area orientale del Paese ed estendersi verso ovest. Il clima di instabilità ha raggiunto la stessa popolazione, che si è sollevata per chiedere le dimissioni del primo ministro Abdulhamid Dbeibah spingendo tre ministri ad abbandonare il governo e a prendere le parti dei cittadini.
La situazione di tensione in Libia è esplosa lo scorso lunedì 12 aprile, con l’uccisione di Al Kikli. Secondo le ricostruzioni apparse nei giorni seguenti sui media, Gheniwa sarebbe stato ucciso con un colpo alla testa da un proiettile di precisione mentre si trovava all’interno del quartier generale della 444ª Brigata di Combattimento nella zona di Salah al-Din, a sud di Tripoli. Diversi analisti sostengono che la natura dell’operazione indicherebbe un attentato pianificato e sospettano che dietro l’uccisione di Al Kikli ci possa essere lo stesso Dbeibah, che avrebbe voluto ridimensionare il sempre maggiore potere dell’SSA. L’SSA è una delle tante milizie affiliate al governo accusata di essere coinvolta nelle violenze sui migranti. In Italia si era recentemente parlato di Al Kikli poco dopo lo scoppio del caso Almasri, perché si era scoperto che anche lui, come il carceriere libico, era stato in visita in Italia.
Dopo la notizia dell’uccisione di Gheniwa, nella notte tra lunedì e martedì, Tripoli è stata teatro di violenti scontri iniziati per il controllo del territorio. Martedì il governo centrale ha annunciato la sospensione di tutti i voli all’aeroporto di Mitiga, nell’area metropolitana della capitale e ha in un primo momento dichiarato di avere ripreso il controllo della situazione. Tra martedì e mercoledì, tuttavia, gli scontri sono esplosi nuovamente: i più duri si sono verificati tra la Brigata 444, allineata al premier Dbeibah, e la Forza di Deterrenza Speciale (RADA), milizia a cui fa capo lo stesso Almasri subordinata al Consiglio presidenziale libico, ma ampiamente lontana dall’essere sotto il suo controllo. Gli scontri si sono concentrati nei quartieri di Souq al Juma e Ain Zara, ma hanno raggiunto la maggior parte della città. Mercoledì il ministero della Difesa del governo centrale ha annunciato un cessate il fuoco e lo schieramento di «forze neutrali» per ristabilire l’ordine. Secondo le prime ricostruzioni, questi scontri avrebbero provocato almeno sei morti, ma probabilmente la stima è ribassata. In totale, le fonti non ufficiali parlano di almeno una sessantina di vittime.
Dopo l’annuncio del cessate il fuoco, le forze della RADA si sono ritirate dalla città, mantenendo tuttavia salde alcune postazioni nei quartieri orientali di Tripoli, a Tariq al Shok, Dawwar ‘Awdat al Hayat, e al Istiraha al Hamra. Diversi Paesi, tra cui il governo italiano, hanno fatto evacuare i propri cittadini e la capitale sembra essere entrata in un precario equilibrio. Le manifestazioni sono sorte proprio nel mezzo di questa atmosfera di tensione: giovedì centinaia di cittadini sono scesi in piazza a Tripoli chiedendo le dimissioni di Dbeibah e secondo alcune ricostruzioni sarebbero stati repressi violentemente dalle forze dell’ordine, che avrebbero sparato sulla folla. Il giorno dopo, le proteste sono continuate, e migliaia di cittadini libici hanno marciato verso il palazzo presidenziale. Secondo i media locali, alcuni dimostranti hanno tentato di entrare nell’edificio, lanciando pietre e sfondando le recinzioni. Durante l’attacco, un agente di polizia sarebbe stato ucciso da colpi d’arma da fuoco sparati da ignoti. Dopo le proteste il ministro dell’Economia e del Commercio Mohammed al-Hawij, il ministro del Governo locale Badreddine al-Toumi e il ministro del settore abitativo Abu Bakr al-Ghawi hanno rassegnato le dimissioni in solidarietà al moto cittadino.
Nel frattempo, risultano ancora oscure le possibili conseguenze che il caos scoppiato nella capitale potrebbe avere sull’area orientale del Paese. Questa ruota attorno al governo di Bengasi, controllato dalla famiglia del generale Khalifa Haftar. Secondo alcune testimonianze, Haftar starebbe approfittando del momento di instabilità per consolidare il proprio potere verso ovest, e avrebbe iniziato a marciare verso Sirte, ma non sembrano esserci conferme ufficiali a riguardo. A rendere ancora più caotica la situazione è arrivato l’annuncio che il governo libico avrebbe dichiarato la propria intenzione di riconoscere la Corte Penale Internazionale, spingendo la Corte a rilanciare la richiesta di arrestare Almasri. Anche l’ONU, attraverso l’UNSMIL – la missione delle Nazioni Unite in Libia – si è espresso, chiedendo che venisse rispettato il cessate il fuoco.
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