Si è appena concluso il fine settimana di protesta indetto dalla rete BDS Italia (Boicottaggio, Disinvestimento, Sanzioni), che ha visto tre giorni di mobilitazioni in diverse città italiane per protestare contro Teva, la multinazionale del farmaco israeliana che è complice dell’occupazione illegale della Palestina. Le manifestazioni si sono svolte a Modena, Bergamo, Milano, Bologna, Fano, Porto Recanati, Lanciano, Bra, Napoli e Roma con azioni di volantinaggio, azioni lampo e presidi permanenti davanti a ospedali, farmacie e università per informare i cittadini. Teva è una delle più grandi aziende farmaceutiche al mondo, con un fatturato di oltre 16 miliardi di dollari, ed è la più grande azienda commerciale (e industriale) del mercato israeliano per patrimonio netto, utile netto, reddito operativo e valore di mercato. BDS Italia e l’organizzazione “Sanitari per Gaza” avevano già lanciato la campagna “Teva? No grazie!” per promuovere il boicottaggio dell’azienda specializzata nella produzione di farmaci generici ampiamente presenti anche in Italia, attivando raccolte firme contro la vendita dei prodotti dell’azienda e le azioni di volantinaggio.
Uno dei primi risultati concreti è stata la sospensione, da parte di diversi comuni italiani, degli accordi commerciali con l’azienda. Il risultato è stato che in alcuni comuni i farmaci da banco di aziende israeliane non sono più oggetto di promozione, mentre in altri è stata disposta l’interruzione di acquisti di farmaci, parafarmaci e cosmetici israeliani, fino a quando non sarà ripristinato il rispetto del diritto internazionale.
Dalla rete italiana fanno notare che: «In tutti i casi esposti un ruolo centrale viene assunto dall’esigenza del rispetto del Diritto Internazionale, richiamato da diverse giunte comunali». Ecco, ad esempio, come una consigliera del Comune di Castelnuovo risponde ai vari commenti di critica: «La mozione segue il parere consultivo della Corte Internazionale di Giustizia del 19 luglio 2024. Non è ideologia, ma una responsabilità legale. Non si tratta di un’opinione, ma di un dovere istituzionale: non finanziare ciò che il diritto internazionale condanna».





Molto bene!