Nonostante la stragrande maggioranza degli europei che vivono in aree urbane respiri ancora aria inquinata, i decessi prematuri attribuibili allo smog nel Vecchio Continente mostrano un trend positivo e in netta diminuzione. Le ultime stime relative al 2023 rivelano che, nell’Unione Europea, ha avuto luogo un miglioramento significativo, con una riduzione del 57% dei decessi prematuri legati al PM2,5 tra il 2005 e il 2023, segnando il raggiungimento di un obiettivo chiave delle politiche comunitarie. I dati emergono dall’aggiornamento 2025 delle stime sul «carico ambientale delle malattie», un concetto che quantifica gli impatti sulla salute attribuibili a fattori di rischio come l’inquinamento dell’aria.
Il calo più marcato riguarda proprio il particolato fine. L’indicatore dell’Agenzia Europea dell’Ambiente sui decessi prematuri dovuti al PM2,5, infatti, registra che «l’obiettivo del piano d’azione per l’inquinamento zero è stato raggiunto per il 2023». Tale obiettivo prevedeva infatti la riduzione di almeno il 55% dei decessi prematuri attribuibili all’inquinamento atmosferico nell’UE rispetto al 2005. Questo risultato è frutto di politiche mirate che hanno portato a una «forte diminuzione dell’esposizione della popolazione all’inquinante, con la concentrazione ponderata per la popolazione che è scesa da 11,4 µg/m³ nel 2022 a 10,2 µg/m³ nel 2023». Le emissioni di particolato fine sono calate del 38% tra il 2005 e il 2023, soprattutto nei settori della produzione di energia, del riscaldamento residenziale e dei trasporti stradali.
C’è però ancora molto da fare. Secondo le stime dell’AEA, infatti, ridurre l’inquinamento atmosferico ai livelli indicati dall’Organizzazione Mondiale della Sanità avrebbe potuto prevenire 182.000 decessi attribuibili all’esposizione al particolato fine (PM2,5), 63.000 all’esposizione all’ozono (O3) e 34.000 all’esposizione al biossido di azoto (NO2). Nonostante il quadro generale in miglioramento, permangono peraltro forti disparità geografiche, con i Paesi dell’Europa orientale e sudorientale che continuano a subire gli impatti sanitari più significativi a causa dei livelli di inquinamento più elevati. Per il PM2,5 gli impatti relativi maggiori si registrano in Macedonia del Nord, Bosnia-Erzegovina e Albania, mentre nell’UE-27 i tassi più alti spettano a Bulgaria, Grecia e Romania. All’estremo opposto, i valori minimi si osservano in Islanda, Finlandia, Svezia, Estonia e Norvegia. Un andamento simile, con le aree meridionali e balcaniche più colpite, caratterizza anche la distribuzione degli impatti da biossido di azoto e ozono.
A ogni modo, nel 2023 l’Italia è stata il primo Paese in UE per i decessi causati dall’esposizione al PM2,5 (43.083 vittime), prima di Polonia (25.268) e Germania (21.640). Il nostro Paese rappresenta la maglia nera anche per i decessi attribuibili al biossido di azoto (9.064), mentre è secondo solo alla Germania per quelli causati dall’ozono (11.230). La situazione risulta molto critica in particolare nell’area della Pianura Padana. L’ultimo allarme è arrivato a novembre dal Copernicus Atmosphere Monitoring Service (CAMS), il servizio del programma europeo dedicato al monitoraggio della qualità dell’aria e dell’atmosfera a livello globale. Secondo i dati diramati, nella giornata del 12 novembre si sono registrate concentrazioni elevate di particolato fine (PM2.5) fino a 5 volte superiori al limite giornaliero raccomandato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, pari a 15 µg/m³. Va ricordato che la normativa italiana prevede limiti giornalieri e annuali per il PM10 (valore limite annuale di 40 µg/m³, valore limite giornaliero di 50 µg/m³, con un massimo di 35 superamenti all’anno) e solo annuali per il più pericoloso PM2.5, con un valore limite annuale di 25 µg/m³.




