La Commissione europea vuole reintrodurre la possibilità di investire in armi controverse. L’esecutivo comunitario ha infatti proposto una modifica al testo che definisce il progetto industriale e di riarmo Prontezza 2030, sostituendo il termine «armi controverse» con il termine «armi vietate», in un passaggio che definisce i progetti da escludere. I partiti The Left, Socialisti e Verdi hanno avanzato obiezioni sulla modifica, respinte dal parlamento, sottolineando che essa «limita l’ambito di applicazione dei tipi di armi esclusi a sole quattro categorie, nello specifico le mine antipersona, le munizioni a grappolo, le armi biologiche e le armi chimiche», finendo per includere nei potenziali investimenti anche armi nucleari, all’uranio impoverito, o dispositivi incendiari.
Nella sua proposta, la Commissione scrive che la definizione di armi controverse contenuta nel regolamento UE «lascia troppa incertezza e confuzione per gli amministratori e dovrebbe essere chiarita e semplificata, in particolare perchè i trattati e le convenzioni internazionali pertinenti di cui gli Stati membri sono parti non fanno riferimento alle armi controverse, ma piuttosto alle armi proibite». Il motivo è sempre lo stesso: potenziare la prontezza della difesa europea, programma che prevede l’investimento di 800 miliardi entro il 2030. Con la nuova modifica, dunque, le armi proibite si limiterebbero a «mine antiuomo, munizioni a grappolo, armi biologiche e chimiche il cui uso, possesso, sviluppo, trasferimento, fabbricazione e stoccaggio sono espressamente vietati dalle convenzioni internazionali». Armamenti quali munizioni all’uranio impoverito, armi incendiarie (quali il fosforo bianco) e nucleari non figurano nell’elenco, potendo dunque potenzialmente essere classificate come idonee per la classificazione ESG (Environmental, Social, Governance, ovvero l’etichetta che valuta la sostenibilità di un’azienda o un investimento sulla base di criteri ambientali, sociali e di governance).
Gli armamenti che rimarrebbero esclusi sono stati oggetto di numerose denunce nel corso della storia, proprio per le conseguenze devastanti derivanti dal loro utilizzo. Nel 2001, la procuratrice del tribunale penale per l’ex Jugoslavia, Carla del Ponte, aveva dichiarato che l’impiego di armi all’uranio impoverito da parte della NATO fosse assimilabile a un crimine di guerra, per via dei gravi danni alla salute che queste causano alle persone che vi sono esposte. L’Osservatorio Nazionale Amianto (ONA) italiano ha censito all’incirca 8 mila militari che, al ritorno dalle guerre nei Balcani, furono colpiti da diverse malattie, le più frequenti delle quali linfomi di Hodgkin e non Hodgkin e leucemia. Secondo il presidente dell’ONA, Ezio Boanni, almeno 400 persone sono morte per tumori causati dall’esposizione all’uranio impoverito, impiegato nel 1995 e nel 1999 in Bosnia Erzegovina e in Kosovo. Nel 2013, la Corte dei Conti del Lazio emise una sentenza nella quale si accoglieva il ricorso di un militare che era stato di stanza in Kosovo e ammalatosi successivamente di tumore, nella quale si sottolineava la correlazione tra la malattia e le condizioni ambientali nelle quali l’uomo aveva prestato servizio, confermata sulle perizie eseguite sui tessuti neoplastici dell’uomo. La stessa sentenza dichiarava che la contaminazione era anche avvenuta tramite l’acqua e il cibo approvvigionati in loco. Per quanto riguarda le armi incendiarie, un esempio micidiale è il fosforo bianco, utilizzato per esempio da Israele in Palestina in varie occasioni, come denunciato dall’ONU stessa. Una delle ultime sarebbe proprio nell’ambito dell’aggressione in Libano, secondo quanto dimostrerebbero le immagini raccolte da Amnesty. L’attacco sarebbe stato condotto il 13 ottobre 2023 contro obiettivi civili nel villaggio di Dhayra, nel Libano meridionale. Il fosforo bianco è una sostanza incendiaria che brucia una volta esposto all’aria: chi vi entra in contatto può incorrere in danni respiratori gravi, insufficienze al funzionamento di organi vitali e altri danni permanenti.




