Il Comune di Roma dovrà risarcire con 10.000 euro a titolo di danno, anche morale, ciascun residente esposto a rumore prolungato e polveri sottili oltre i limiti di legge. È quanto ha stabilito la Cassazione, confermando la responsabilità dell’amministrazione della Capitale per le immissioni nocive generate dalla tangenziale che costeggia il Foro Italico, dove vivere con finestre chiuse era diventato la norma. I giudici hanno respinto il ricorso del Campidoglio e imposto non solo i risarcimenti, ma anche l’obbligo di intervenire con misure concrete per riportare l’area entro soglie accettabili, con l’installazione di barriere fonoassorbenti e l’imposizione del limite di velocità a 30 km/h nelle zone ad alto rischio, interventi che altre città europee applicano da anni, anche in assenza di contenziosi.
Si tratta di una sentenza destinata a lasciare il segno, che riguarda i residenti della zona del Foro Italico, adiacente alla tangenziale di Roma, che da anni segnalavano l’esposizione continua a traffico intenso, livelli di particolato fine fuori norma, aria irrespirabile e rumore persistente. Il tribunale di primo grado aveva riconosciuto un risarcimento modesto (circa 2.000 euro ciascuno) e aveva demandato ai singoli abitanti l’onere di installare a proprie spese finestre autoventilanti, trasformando un problema strutturale in una responsabilità privata. Una soluzione che spostava tutto il peso sugli abitanti, trattando l’esposizione prolungata a rumore e polveri come una conseguenza inevitabile del vivere accanto al traffico. In appello, la prospettiva è cambiata: si è stabilito che è responsabilità del Comune predisporre le misure di mitigazione. La decisione è stata integralmente confermata dalla Cassazione, che ha ritenuto legittime le barriere fonoassorbenti, la riduzione del limite di velocità a 30 km/h e il risarcimento di 10.000 euro per ogni residente, eredi compresi. Per la Suprema Corte, l’articolo 2058 del Codice civile (“neminem laedere”) e l’articolo 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (diritto al rispetto della vita privata e familiare) costituiscono le basi giuridiche su cui è fondata la condanna. L’amministrazione deve intervenire quando il suo operato – o la sua inerzia – genera danni e le finestre autoventilanti, presentate dal primo giudizio come soluzione “ragionevole”, si sono rivelate irrilevanti secondo la consulenza tecnica disposta dal tribunale, che avevano accertato che né le finestre “autoventilanti” né gli interventi minimi bastavano a contenere le polveri sottili e il frastuono generato dal traffico intenso, confermando la necessità di misure strutturali.
La portata della sentenza supera il perimetro della singola condanna e introduce un principio che potrebbe incidere su molti altri contesti urbani: quando le immissioni superano per anni soglie significative e l’amministrazione resta inerte, la tutela ambientale diventa tutela dei diritti fondamentali. La Cassazione chiarisce che non basta risarcire i cittadini, perché l’obbligo dell’ente pubblico non è solo patrimoniale ma operativo: occorre ridurre in modo effettivo rumore e inquinanti, riportando la situazione entro livelli accettabili. Il Comune, secondo questa impostazione, ha un vero e proprio obbligo di risultato, non solo di comportamento, e deve adottare misure idonee e verificabili di mitigazione. Resta da capire come e in quali tempi Roma Capitale darà seguito a quanto imposto. Barriere fonoassorbenti, limitazioni del traffico e monitoraggi continui richiedono programmazione, finanziamenti e controlli periodici. Anche il riconoscimento dei risarcimenti comporta un iter istruttorio accurato. Al di là degli adempimenti tecnici, il valore più ampio della sentenza sta nel cambio di prospettiva che suggerisce: traffico, smog e rumore non sono più costi inevitabili della vita in città, ma responsabilità precise e non differibili delle istituzioni. Per i residenti coinvolti, il ricorso alla giustizia si è rivelato uno strumento capace di incidere sulla realtà. Per il Comune, la decisione è un avvertimento chiaro: proteggere l’ambiente urbano significa garantire la qualità della vita e ignorare questo nesso non è più giuridicamente tollerabile.




