sabato 8 Novembre 2025

Cisgiordania, la violenza israeliana non ferma la lotta per il diritto alla terra

BEIT LID, CISGIORDANIA OCCUPATA – Circa duecento palestinesi e solidali internazionali si sono radunati ieri tra le colline palestinesi dei villaggi di Beit Lid e Kufr Qaddum, in protesta contro la recente costruzione di un nuovo avamposto israeliano sulle loro terre. Il 27 ottobre scorso, infatti, alcuni coloni sono arrivati sul posto e hanno iniziato a distruggere ulivi di oltre 70 anni, aggredendo con armi e bastoni chiunque cercasse di fermarli e cercando di bruciare vivo un uomo. E anche la protesta di ieri è stata soffocata con la violenza, tra lacrimogeni, bombe stordenti e manganelli, che hanno provocato diversi feriti tra i quali un giovane con le costole rotte.

«Siamo rimasti scioccati nel vedere come, il 27 dello scorso mese, alcuni coloni siano arrivati e abbiano iniziato ad abbattere ulivi di oltre 70 anni, per poi piantare una tenda al loro posto,» dice Ahmad (nome di fantasia), agricoltore della zona, a L’Indipendente. «Quando siamo andati a chiedere ai coloni cosa stessero facendo, ci hanno aggredito con bastoni, catene e coltelli. Hanno brutalmente aggredito un cittadino palestinese fino a ridurlo in fin di vita e hanno cercato di bruciarlo mentre era nella sua auto. Da allora è ricoverato in coma all’ospedale Najah di Nablus. Hanno anche distrutto molte auto e, allo stesso tempo, hanno attaccato il villaggio di Beit Lid, bruciando vari trattori e veicoli».

Il nuovo insediamento è figlio della colonia israeliana di Kedumim; dal 2023 gli avamposti stanno crescendo a dismisura in tutta la Cisgiordania occupata, e i villaggi di Kufr Qaddum e Beit Lid ne sono testimoni. Secondo l’ultimo rapporto della Commissione per la Colonizzazione e la Resistenza (CWRC), dal 7 ottobre 2023, Israele ha legalizzato 11 colonie già esistenti e 13 quartieri coloniali, ha autorizzato la costruzione di altre 22 colonie e ha istituito 114 nuovi avamposti. Cifre che non si vedevano dagli anni ‘80, e che testimoniano la velocizzazione del processo di occupazione territoriale e la pulizia etnica sempre più violenta in corso in Cisgiordania.

«Ci sono circa 400 agricoltori provenienti da Kafr Qaddum, 400 da Deir Sharaf e 400 da Beit Lid, oltre ad altri provenienti dal villaggio di Qusin. La zona è classificata come Area B e collega tre bacini regionali,» continua Ahmad. «Il loro obiettivo [degli israeliani, ndr] è quello di prenderne il controllo e dominare l’area in cui ci troviamo attualmente, allontanando i contadini dalle loro terre».

La pratica è spesso la stessa: i coloni occupano un nuovo pezzo di terra e installano una tenda, un caravan, iniziano a costruire una tettoia. Vengono a pascolarci con le pecore. Poi mettono delle barriere, sorge la prima baracca. E l’avamposto diventa velocemente un nuovo insediamento israeliano, nato rubando terre, e vita, alle comunità palestinesi della zona. «Siamo rimasti qui con determinazione dal 27 dello scorso mese fino ad oggi. Abbiamo organizzato un’attività che continuerà a svolgersi settimanalmente nella zona fino a quando questo avamposto dell’insediamento non sarà rimosso. A qualsiasi costo», conclude Ahmad.

È appena finita la preghiera del venerdì, che i residenti hanno voluto simbolicamente svolgere qui, sulla collina che domina la vallata dietro la quale è installato il nuovo avamposto. Le comunità non sono nuove nella resistenza: da anni, infatti, subiscono la sottrazione di ettari di terra, limitazioni al movimento, distruzione dei propri uliveti e violenze di ogni genere da parte di coloni e militari. Gli abitanti di Kufr Qaddum scendono in protesta proteste ogni fine settimana dal 2010, contro l’esproprio di quasi 1.000 acri (405 ettari) di terra, rubati per far posto ad un insediamento israeliano. Una colonia che si è anche privatizzata la strada principale che dal paese portava a Nablus, bloccando il transito ai palestinesi. Dal 7 ottobre 2023 le settimanali proteste del venerdì erano molto limitate data l’enorme repressione dell’esercito. Ma ora – probabilmente – torneranno a farsi sentire con forza per bloccare sul nascere l’ennesimo tentativo coloniale.

In lontananza, due jeep israeliane stanno risalendo la strada agricola che si avvicina alla collina. Scendono vari militari. Non passa molto tempo che iniziano a sparare lacrimogeni e bombe stordenti nel tentativo di disperdere la folla, che si allontana, ma poi torna. I lacrimogeni vengono rispediti indietro, i militari ne lanciano altri. Si continua così finché, a causa del fumo tossico, si è obbligati ad arretrare e i soldati, fucili in mano, avanzano. Sparano anche proiettili di gomma, un uomo viene ferito ed è portato via in barella verso l’ospedale. Si scoprirà dopo che ha una frattura in una gamba. Si arriva di fatto al contatto fisico; i militari prendono a calci e spintoni alcuni attivisti rimasti davanti, poi provano ad arrestare un palestinese “colpevole” di avergli rimandato addosso un lacrimogeno, o una pietra. Gli altri manifestanti fanno scudo, non lo lasciano prendere. I militari scaricano raffiche di mitra in aria, ma sono costretti ad arretrare. A mani vuote.

Vari i feriti, un giovane finisce all’ospedale con tre costole rotte a causa dei colpi ricevuti dal calcio del fucile usato come manganello. La protesta continua, arrivano altri soldati ma si tengono lontani. Ricominciano a sparare qualche lacrimogeno, anche tramite l’uso di un drone. Sulla collina, qualche solidale italiano presente intona Bella ciao. La resistenza, sulle colline tra Beit Lid e Kufr Qaddum, continua.

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Moira Amargi

Moira Amargi esiste ed è una persona specifica, ma il nome è uno pseudonimo, usato quando pubblica report sulla Palestina o dall'interno di cortei e momenti di conflitto sociale a rischio repressione. È corrispondente per L'Indipendente dal Medio Oriente e dai Territori Palestinesi occupati.

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