mercoledì 5 Novembre 2025

Vita nel bosco, senza scuola: per una famiglia è un diritto o un abuso?

Una donna australiana di 45 anni e il marito inglese di 51 hanno scelto di vivere in Italia, nei boschi, per far crescere i figli a contatto con la natura. Per loro si tratta di una scelta, consapevole, per vivere lontani dalla “tossicità” della società attuale, ma la Procura dei minori ha chiesto la sospensione della potestà genitoriale e l’affidamento temporaneo dei tre bambini, parlando di “grave pregiudizio per la loro crescita”. Ci troviamo nell’entroterra di Vasto, in provincia di Chieti, all’interno di un ex casa colonica che la famiglia ha acquistato per vivere una vita con ritmi naturali, senza elettricità ma con i pannelli solari, dove i due genitori stanno crescendo i tre figli, una di 8 anni e i due gemelli di 6 anni, circondati da natura e animali, a pochi chilometri dal mare e seguendo il modello dell’unschooling, che non prevede le lezioni tradizionali a scuola, ma un apprendimento più libero, seguito direttamente dai genitori.

La loro disavventura ha inizio nel settembre de 2024, quando tutta la famiglia era stata ricoverata per un’intossicazione da funghi che avevano raccolto nel bosco e i carabinieri segnalano la situazione ai servizi sociali parlando di “isolamento” e di “condizioni abitative non idonee”. I servizi sociali intervengono, ma i genitori inizialmente si rendono irreperibili. Rientrano nel marzo 2025 e ad aprile arriva la relazione, dopo la visita a sorpresa degli stessi servizi sociali, in cui l’abitazione è descritta come un rudere, senza acqua corrente ed elettricità, e un ambiente definito come “inadeguato”. A quel punto il pm chiede l’affidamento dei bimbi al comune. I servizi sociali fissano altre visite altre visite e colloqui, ma la famiglia, ormai diffidente, cambia legale e non si presenta. E quindi arriva la nuova visita a sorpresa, questa volta con i carabinieri e il curatore del minori al seguito, e in questa occasione i servizi sociali propongono un progetto che, tra e altre cose, prevede una visita settimanale in un centro socio-psico-educativo comunale, per incontrare una psicologa. La coppia però non è interessata e, all’incontro successivo, porta con sé il certificato di idoneità alla classe terza per la figlia maggiore, rilasciato da un istituto privato lombardo, una perizia tecnica sullo stato dei luoghi, un estratto conto, e i certificati medici dei 3 bambini. Dopo questo passaggio la Procura chiede la sospensione della potestà genitoriale oltre all’affidamento dei 3 bambini, che, in attesa della decisione del giudice, per ora sono rimasti con i genitori. Secondo l’avvocato Giovanni Angelucci, che difende la coppia, “non si tratta di un caso di violenza o degrado, ma di una famiglia economicamente indipendente che ha scelto uno stile di vita alternativo, spinta da un ideale di libertà e rispetto per la natura”.

Una versione confermata dagli stessi genitori che, nel rispedire le accuse al mittente, spiegano che i bambini, in ottima salute, sono seguiti da un pediatra, vengono portati regolarmente al parco per conoscere altri coetanei, e vanno a fare la spesa al supermercato una volta alla settimana. Le loro ragioni sono state messe nero su bianco su una lettera pubblicata da Il Centro, inviata ai giudici in cui difendono ed argomentano la loro scelta.

“Noi, genitori consapevoli che desiderano una vita diversa per i nostri figli, abbiamo deciso con grande impegno di andare contro le norme della società e di tornare al modo in cui la natura stessa è stata progettata per crescere i bambini, per la loro salute, la loro pace, la loro crescita e, soprattutto, per il loro futuro”, raccontano. Assicurano che i figli sono “al sicuro, al caldo e puliti”, che sono seguiti da “innumerevoli esperti in vari campi”, compreso un pediatra, e che le “numerose lettere di supporto” messe a punto da professionisti, amici e vicini – che attestavano il loro benessere – siano state “tutte ignorate” dalle autorità. I bambini “vivono costantemente la società attraverso gite e uscite settimanali a negozi, parchi, amici e vicini”, con “cibo e aria puliti”, e un ambiente benefico per il loro “sviluppo cerebrale e fisico”. Nelle loro intenzioni stanno crescendo dei figli “autonomi, liberi di pensare, compassionevoli, connessi, creativi e intelligenti”, perché, a loro dire, non sono stati repressi o costretti a seguire un “sistema guidato dall’avidità”.

Nella lettera traspare poi come questo non sia il primo tentativo di intraprendere questo stile di vita, e le difficoltà incontrate sul percorso, visto che sarebbero stati costretti “ad abbandonare la nostra terra e la nostra casa non una, ma ben tre volte”. Quindi, per scongiurare ulteriori problematiche, raccontato di aver costituito un trust privato, per proteggersi, anche dall’autorità dello Stato: “Ci protegge da qualsiasi ingerenza dello Stato su di noi e sulla nostra proprietà in trust, ovvero i nostri figli e le nostre figlie”.

Mentre la stampa italiana li dipinge come irresponsabili, loro rivendicano la propria scelta. E la vera domanda a questo punto, non riguarda una sola famiglia, ma tutti noi, per arrivare a capire se crescere i propri figli nel modo in cui si ritiene opportuno, in assenza di abusi e mancanze, sia un diritto oppure un abuso.

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Mario Catania

Giornalista professionista freelance, specializzato in cannabis, ambiente e sostenibilità, alterna la scrittura a lunghe camminate nella natura.

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