mercoledì 5 Novembre 2025

La Libia arresta Almasri, il torturatore che era stato protetto dal governo italiano

La Procura libica ha annunciato di avere ordinato l’arresto del Capo del Dipartimento per le Operazioni Giudiziarie e la Sicurezza libico, Osama Almasri, che ora si trova in arresto sotto custodia cautelare. Almasri è particolarmente noto in Italia per una vicenda che lo ha interessato lo scorso gennaio, quando era stato arrestato a Torino per poi venire rimpatriato in Libia nonostante un mandato d’arresto internazionale emesso dalla Corte Penale Internazionale. Almasri è accusato dalla CPI di avere commesso violazioni dei diritti umani nei confronti dei detenuti delle carceri libiche, torturandoli. La Procura di Tripoli lo ha arrestato dopo avere ricevuto segnalazioni di «tortura e trattamenti crudeli e degradanti» nei confronti di undici detenuti, uno dei quali morto in seguito alle violenze subite.

L’annuncio della Procura libica è arrivato oggi, mercoledì 5 novembre. La Procura ha spiegato di avere «completato la raccolta di informazioni relative alle violazioni dei diritti umani commesse contro i detenuti presso l’Istituto Penitenziario e Riabilitativo Principale di Tripoli». L’indagine faceva riferimento a una serie di segnalazioni di tortura nei confronti dei detenuti: «L’investigatore ha condotto un interrogatorio sulle circostanze relative alle violazioni dei diritti umani, raccogliendo prove sufficienti a sostegno delle accuse» e rinviando l’imputato al tribunale per la condanna. La Procura ha affermato che Almasri si trova ora sotto custodia cautelare. Dal comunicato della Procura sembra che il motivo per cui Almasri è stato arrestato non sia il mandato della CPI, ma una indagine interna. A tal proposito, va rimarcato che la Libia non fa parte della Corte; nonostante ciò, nel 2011, il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha rilasciato la Risoluzione 1970, con la quale riconosce alla CPI la giurisdizione sui crimini commessi in territorio libico o da cittadini libici a partire dal 15 febbraio 2011. Lo scorso maggio, la Libia accettato la giurisdizione della CPI dal 2011 fino alla fine del 2027.

Almasri, soprannominato «il torturatore di Tripoli» dalle organizzazioni che investigano la situazione delle persone migranti in Libia, si trovava a Torino quando, lo scorso 19 gennaio, è stato arrestato dalle forze dell’ordine italiane su segnalazione dell’Interpol. Su di lui pendeva un ordine di arresto segreto della Corte Penale Internazionale (CPI) con l’accusa di crimini di guerra e contro l’umanità, principalmente per quanto accade all’interno delle carceri libiche. La Corte d’Appello di Roma ha però giudicato «irrituale» l’operazione, sostenendo che la polizia italiana non avesse l’autorità per agire, come prevedono le norme sulla cooperazione con la Corte dell’Aia, senza una preventiva autorizzazione del ministro della Giustizia. Il ministro della giustizia Nordio, a quel punto, avrebbe potuto sanare la situazione dando l’autorizzazione per convalidare l’arresto, ma non è intervenuto.

In una informativa al Parlamento, Nordio si è difeso dicendo che il mandato è «arrivato in lingua inglese senza essere tradotto con una serie di criticità che avrebbero reso impossibile l’immediata adesione del ministero alla richiesta arrivata dalla Corte d’appello». Tra questa sorta di barriera linguistica, cui Nordio ha fatto più volte riferimento, e il «pasticcio» formale della CPI, il guardasigilli – almeno secondo la sua versione – avrebbe tardato nella lettura degli atti, che in ogni caso avrebbe giudicato «nulli». Così, Almasri è stato scarcerato, con il ministro dell’Interno Piantedosi che ha firmato un decreto di espulsione, dichiarandolo «soggetto pericoloso» e vietandogli l’ingresso in Italia per 15 anni. Almasri è stato quindi riportato in Libia su un aereo dei servizi segreti italiani.

Investito della questione in seguito alla denuncia presentata sul caso dall’avvocato Luigi Li Gotti, lo scorso agosto il Tribunale dei Ministri aveva archiviato la posizione della premier Giorgia Meloni, chiedendo invece l’autorizzazione a procedere per i ministri Nordio e Piantedosi e per il sottosegretario Alfredo Mantovano, indagati per favoreggiamento, con ulteriori accuse di peculato e rifiuto di atti d’ufficio. Il 9 ottobre, la Camera dei deputati ha però respinto definitivamente la richiesta di processare i tre membri del governo: come previsto, la maggioranza di centrodestra ha votato compatta contro l’autorizzazione a procedere: 251 voti contrari per Nordio, 252 per Mantovano e 256 per Piantedosi, con circa venti voti provenienti anche da parte dell’opposizione. L’esito ha comportato l’archiviazione delle indagini.

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Dario Lucisano

Laureato con lode in Scienze Filosofiche presso l’Università di Milano, collabora come redattore per L’Indipendente dal 2024.

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1 commento

  1. Posto che se mettono in galera Meloni, Nordio, Piantedosi e Mantovano, sarebbe da ricordare come festa della Repubblica, rimane che l’Italia con la sua visione distorta del diritto Internazionale è meglio non se ne impicci mai che fa tutto al contrario, serva coi forti e prepotente con chi ha bisogno, è il peggiore schifo del Mondo, fino al punto di mettersi contro la Abanese, robe da vergognarsi in eterno di questa Italia, venga regalata al Vaticano.

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