Ventidue miliardi di euro sottratti al fisco in sei anni. È la cifra che l’Italia ha perso a causa dell’elusione fiscale delle multinazionali, secondo il nuovo rapporto State of Tax Justice 2025 del Tax Justice Network. Dietro i numeri si nasconde un sistema globale che premia i colossi economici e depaupera gli Stati, al punto che il dossier paragona l’evasione fiscale a un vero e proprio saccheggio da parte di «corporation statunitensi che svuotano silenziosamente i nostri tesori pubbliciTra il 2016 e il 2021 le aziende con sede nei grandi centri finanziari hanno spostato artificiosamente i profitti nei paradisi fiscali, sfruttando lacune normative e la complicità delle istituzioni internazionali. In Europa, l’Italia è tra i Paesi più colpiti, con un danno medio di quasi quattro miliardi l’anno: denaro che avrebbe potuto finanziare scuole, ospedali, infrastrutture o ridurre il debito pubblico.
Il dossier di 65 pagine stima che tra il 2016 e il 2021 il mondo abbia perso 1.700 miliardi di dollari di gettito fiscale, di cui 495 miliardi imputabili alle multinazionali statunitensi. Dopo la riforma del 2017 voluta da Donald Trump – il Tax Cuts and Jobs Act – gli Stati Uniti hanno ridotto l’aliquota sulle imprese dal 35% al 21%, trasformandosi di fatto in un paradiso fiscale “interno”: le corporation americane trasferiscono oggi il doppio dei profitti verso la madrepatria, ma pagano meno tasse di prima. Colossi come Google, Apple, Meta e Microsoft registrano aliquote effettive tra l’8 e il 15%, contro il 35% di otto anni fa». Ogni anno, leggiamo nel rapporto, «le multinazionali statunitensi sottraggono al mondo una quantità di tasse pari al doppio di tutto l’oro e l’argento che i colonizzatori spagnoli saccheggiarono dalle Americhe in un arco di centocinquant’anni». Paradossalmente, Washington è al tempo stesso il maggiore responsabile e la principale vittima dell’elusione globale. Il rifiuto di aderire al Common Reporting Standard dell’OCSE – lo scambio automatico di informazioni bancarie tra Paesi – ha reso gli USA la prima giurisdizione per segretezza finanziaria, superando Cayman e Regno Unito. L’Europa, intanto, continua a denunciare l’elusione ma tollera regimi fiscali agevolati in Irlanda, Olanda e Lussemburgo.
Lo State of Tax Justice 2025 stima che le perdite fiscali italiane derivino in gran parte dallo spostamento artificiale dei profitti da parte di multinazionali estere che operano nel Paese, ma dichiarano utili altrove. L’Italia è tra le economie europee più colpite, insieme a Francia (14 miliardi di dollari) e Germania (16,5 miliardi), con una perdita complessiva di 22 miliardi di euro tra il 2016 e il 2021. I settori più coinvolti sono digitale, farmaceutico, automobilistico ed energetico. Roma subisce una doppia perdita: i profitti vengono drenati verso paradisi fiscali interni all’UE – come Lussemburgo, Olanda e Irlanda, dove le aliquote effettive scendono sotto il 5% – senza strumenti legali per contrastare la pratica. Secondo i dati OCSE, circa il 25% dei profitti generati in Italia viene trasferito fiscalmente all’estero. Oltre la metà delle perdite è imputabile a gruppi statunitensi, il resto a società europee con sede nei Paesi Bassi e nel Regno Unito. I 22 miliardi sottratti equivalgono al 2,5% del gettito fiscale annuo o a un anno di spesa sanitaria di Lazio e Campania. Le PMI, invece, pagano in media il 27% di tasse, quasi tre volte più dei colossi globali, subendo una concorrenza sleale che erode il tessuto produttivo e favorisce la delocalizzazione.
Il dossier denuncia il fallimento dell’OCSE nel garantire trasparenza e cooperazione. L’unico passo in avanti, sottolinea il documento, è l’approvazione della Convenzione ONU sulla cooperazione fiscale internazionale, oggi in discussione a New York, che «rappresenta un’occasione per recuperare la sovranità fiscale perduta a causa dello spostamento dei profitti e delle transazioni infragruppo opache». Essa propone due misure chiave: la tassazione unitaria delle multinazionali – trattate come un’unica entità globale i cui profitti siano ripartiti secondo il luogo in cui si realizza l’attività economica reale – e la pubblicazione obbligatoria dei bilanci Paese per Paese. Il Tax Justice Network stima che, se tale misura fosse stata in vigore nel periodo analizzato, l’Italia avrebbe potuto recuperare fino a sei miliardi di euro l’anno. Il sistema di rendicontazione pubblica permetterebbe di verificare in tempo reale dove vengono prodotti e tassati i profitti, riducendo la possibilità di manipolare i prezzi di trasferimento o creare società di comodo. Nonostante i propositi, Roma continua a muoversi con lentezza. L’Italia partecipa al gruppo europeo che sostiene la trasparenza, ma non ha ancora reso effettiva la pubblicazione integrale dei dati di Rendicontazione dati nazionali Paese per Paese (CbCR country by country reporting). Nel frattempo, il divario tra tassazione reale e dovuta si allarga: ciò, come recita il rapporto, «alimenta le disuguaglianze, favorisce la corruzione e mina la democrazia».





