lunedì 3 Novembre 2025

Il governo rilancia le trivelle in tutta Italia: approvate 34 licenze

A due anni dal blocco delle nuove esplorazioni, il governo ha approvato 34 licenze per la ricerca di petrolio e gas in Italia. Il via libera del Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica (MASE) applica la sentenza del TAR Lazio che aveva annullato il Piano per la Transizione Energetica Sostenibile delle Aree Idonee (Pitesai), riaprendo di fatto la strada alle attività esplorative. Le nuove concessioni riguardano sia la terraferma – Basilicata, Lombardia, Emilia-Romagna, Puglia e Campania – sia le aree marine dell’Adriatico, Ionio e Canale di Sicilia. I principali gruppi energetici, tra cui Eni, Shell ed Energean, avevano intensificato la pressione sul governo per sbloccare i titoli minerari, evidenziando il potenziale estrattivo del territorio italiano.

La svolta arriva dopo che la moratoria del 2019 e il successivo Pitesai del 2022 avevano di fatto congelato nuovi progetti esplorativi. Con l’annullamento del Piano da parte del Tar la scorsa primavera, numerose aziende hanno presentato nuovamente richieste di autorizzazione, e il MASE ha proceduto ad assegnare le oltre trenta licenze dopo l’estate. Tra i principali beneficiari spiccano sia colossi nazionali come Eni che gruppi internazionali già radicati nel territorio.

La britannica Shell, presente dal 2002 in Basilicata nei due principali giacimenti onshore d’Europa, guarda con ottimismo al rilancio. João Santos Rosa, ceo di Shell Italia E&P, ha spiegato: «L’Italia ha un grande potenziale di risorse naturali, un sistema energetico maturo, un tessuto industriale competitivo e capitale umano qualificato. Oggi investiamo circa 500 milioni all’anno, ma saremo pronti a fare di più. Ma servono un’azione di governo ambiziosa e un quadro regolatorio chiaro e stabile». Shell detiene il 39% di Val d’Agri (operatore Eni al 61%) e il 25% di Tempa Rossa (operatore Total al 50% con Mitsui al 25%).

Anche la greca Energean punta a espandere le proprie attività. L’azienda, quotata a Londra e socia di Eni nel gas Argo e Cassiopea al largo di Gela, prevede di aprire «tre nuovi pozzi petroliferi per Vega di fronte a Pozzallo», come ha dichiarato il ceo Mathios Rigas, aggiungendo che «per Rospo stiamo ultimando le analisi per avviare 1 o 2 nuovi pozzi, già individuati ma da scavare. Potrebbero triplicare la produzione con le infrastrutture già esistenti». La società ha inoltre richiesto licenze esplorative nel Mar Ionio, al confine con le acque greche dove detiene già un permesso considerato promettente.

Sul fronte politico, il governo afferma di essere impegnato a valutare strumenti per trasformare la maggiore produzione nazionale in vantaggio competitivo per l’industria. Si ragiona su una «gas release» che concederebbe permessi più rapidi in cambio di un contingente di metano venduto a prezzi calmierati alle imprese energivore. Il bacino disponibile stimato è di circa 0,5 miliardi di metri cubi, a fronte di una produzione nazionale che si aggira sui 3 miliardi di m³ annui. La decisione è già al centro di un acceso dibattito. Da un lato il governo la giustifica come scelta strategica per aumentare l’autosufficienza energetica, dall’altro associazioni ambientaliste e scienziati mettono in guardia dai rischi legati all’ampliamento dell’estrazione di combustibili fossili, in contrasto con gli obiettivi di transizione ecologica. La comunità scientifica ricorda che la lotta al cambiamento climatico richiede una rapida transizione verso le rinnovabili e il blocco di nuovi progetti fossili, mentre l’esecutivo sostiene che lo sfruttamento di risorse nazionali – con regole chiare e tempi brevi – possa essere compatibile con la sicurezza energetica del paese.

Risulta pacifico che l’obiettivo di rilanciare le trivellazioni sia da sempre un tema molto caro alla maggioranza che regge il governo Meloni. Uno dei principali segnali è stato, nel dicembre dello scorso anno, il via libera della Camera dei Deputati alla fiducia al decreto Ambiente 2024, convertito definitivamente in legge, con 141 voti favorevoli e 81 contrari. Il provvedimento, che introduce alcune modifiche al Testo Unico sull’Ambiente del 2006, prevede, tra le varie novità, la controversa riduzione delle distanze di protezione dalle coste per le trivellazioni marine, da 12 a 9 miglia, sbloccando la corsia preferenziale per le valutazioni ambientali relative a progetti di «preminente interesse strategico nazionale».

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Stefano Baudino

Laureato in Mass Media e Politica, autore di dieci saggi su criminalità mafiosa e terrorismo. Interviene come esperto esterno in scuole e università con un modulo didattico sulla storia di Cosa nostra. Per L’Indipendente scrive di attualità, politica e mafia.

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