giovedì 30 Ottobre 2025

Elezioni in Olanda: risultati sul filo tra nazionalisti e centro-sinistra liberale

Tra ieri sera e oggi, in Olanda, è successo di tutto: le elezioni più al cardiopalma della storia di un paese, dove per decenni il processo elettorale è stato una corsa tra i soliti due o tre partiti, si sono concluse senza che si definisse nulla. Per tutta la notte, i Paesi Bassi sono tornati a essere un partner rispettato dall’establishment europeo, grazie alla vittoria del D66, il partito pro-UE per eccellenza. Non solo ha compiuto una rimonta clamorosa, passando da 9 a 26 seggi, ma ha anche imposto l’agenda al mondo progressista, fermando la sinistra rosso-verde ad appena 20 seggi.

A mezzanotte, quando lo spoglio era appena iniziato, il leader Rob Jetten, 38 anni, volto pulito e incaricato di cancellare due anni di governo di estrema destra, parlava già da premier, mentre gli opinionisti ipotizzavano le possibili coalizioni: liberali più sinistra e liberal-conservatori? Oppure centristi che guardano a destra, con il redivivo partito cristiano democratico CDA che ha quadruplicato i voti, con l’aggiunta dell’estrema destra “presentabile” di JA21, che ha fatto un vero boom passando da 1 a 9 seggi?

Poi, all’alba, con le prime proiezioni, tutto è cambiato: rilevare con precisione il PVV è da sempre un’impresa. Per ora i due partiti finiscono quasi pari: D66 e PVV potrebbero ricevere 26 seggi ciascuno, separati da pochi voti di differenza. Al momento, Wilders ha 1.984 voti in più. Chi ha vinto, insomma?

Il partito con più voti potrà recarsi dal sovrano per ottenere l’incarico di formare il governo, ma probabilmente il risultato definitivo non sarà noto prima di lunedì. Devono ancora essere scrutinate alcune sezioni del voto estero, mancano centinaia di voti da Amsterdam e Almere, e problemi tecnici – compreso un incendio in un seggio – rendono impossibile fornire una risposta immediata.

Inoltre, è necessario distinguere tra piano tecnico e piano politico. Seguendo la legge, se il PVV rimanesse il primo partito, Wilders potrà recarsi dal re per reclamare il diritto di formare la prossima coalizione. Sul piano politico, però, la situazione è diversa: contro il PVV è stato sollevato un vero “cordone sanitario” dopo che il partito aveva fatto cadere il governo. Non si tratta di un accordo formale come in Belgio, dove l’estrema destra è esclusa dagli esecutivi, ma di fatto nessun partito è disposto a entrare in coalizione con Wilders.

Con l’eccezione di alcune formazioni estreme, che complessivamente contano 45-50 seggi su 150, a Wilders manca il cosiddetto “partner junior”: un partito di medie dimensioni che affianchi il vincitore. Il parlamento disegnato dal risultato delle urne, infatti, è composto da cinque partiti di medie dimensioni, ciascuno con meno di 25 seggi, troppo pochi per evitare la necessità di una grande coalizione e senza alcun reale alleato per Wilders. A quel punto, la scelta ricadrebbe sul secondo e la formazione di Jetten non solo può già contare su diverse combinazioni possibili ma il partito liberal-progressista ha una lunga esperienza di governo. Rob Jetten si è mostrato molto più freddo e politico di Sigrid Kaag, la sua predecessora, con una vita all’ONU e un forte idealismo per la causa palestinese e i migranti. Jetten non ha posto paletti, dichiarandosi favorevole a qualche forma di limitazione dell’immigrazione, e ha scelto i temi più gettonati: a destra (stop ai migranti) e a sinistra (case popolari e affitti per la fascia media), unendo a tutto ciò una posizione europeista senza compromessi e un atteggiamento militarista convinto.

Le tensioni sociali del momento, a quanto pare, hanno aperto ampi spazi per i partiti centristi e per proposte pragmatiche e non ideologiche: in un sistema rigidamente proporzionale come quello olandese, quello di ieri si è delineato come un referendum di fatto su Wilders. E il ruolo di antagonista, vista la scarsa incisività di Pvda-GL, lista unica laburisti-verdi con appena 20 seggi e un leader ormai consumato come Timmermans – e della destra liberale VVD, con la successora di Mark Rutte, Dilan Yeşilgöz-Zegerius, poco convincente,   è toccato  a un politico giovane, moderno e pragmatico. Rob Jetten si propone come un nuovo Mark Rutte: liberale, ragionevole e cinico al punto giusto da abbracciare una sorta di nazionalismo – prima vero tabù per il D66 – e da ammorbidire anche quei pochi principi su cui il partito, membro di Renew Europe al Parlamento Europeo, non aveva mai fatto passi indietro, come le porte aperte a migranti e richiedenti asilo.

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Massimiliano Sfregola

Giornalista freelance, editore e blogger. Scrive in Italia e all'estero. Vive tra i Paesi Bassi e Cipro si occupa di diritti umani, Medio Oriente, post-colonialismo e subculture.

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