sabato 25 Ottobre 2025

Ultra fast fashion: mentre in Francia sbarca Shein, l’Italia cerca di mettere un freno

L’ultra fast fashion non ha intenzione di rallentare, né tantomeno di fermare la sua corsa. Il colosso cinese Shein, ignorando qualsiasi tipo di opposizione, si appresta a sbarcare in Francia con negozi fisici. Non in un posto qualunque. Il primo esperimento di vendita al pubblico avverrà a partire da novembre all’interno del BVH, storico grande magazzino nel cuore del Marais, in un edificio fondato nel 1856. Un ingresso fatto non a caso, ma per “onorare” il ruolo centrale della Francia, e Parigi nello specifico, come storica città della moda. Le parole del presidente esecutivo di Shein, Donald Tang, in merito alla questione, stridono un po’: «Scegliendo la Francia come luogo per sperimentare il retail fisico, onoriamo la sua posizione di capitale chiave della moda e abbracciamo il suo spirito di creatività ed eccellenza». E hanno fatto storcere la bocca a numerosissimi marchi, alcuni dei quali hanno deciso di abbandonare il grande magazzino. Anche i sindacati locali non hanno gradito la novità, mettendo in guardia su probabili ripercussioni sulla sopravvivenza del negozio stesso.

L’avvento di Shein e simili è stato un duro colpo per il mondo della moda, che sta mettendo in seria crisi tutto il comparto. Incrementare la sua presenza sul territorio francese (si prevedono altre aperture, ovviamente, presso i grandi magazzini Galeries Lafayette nelle città di Digione, Reims, Grenoble, Angers e Limoges), aggiunge ulteriori minacce ravvicinate a decine di negozi e marchi che si vedono spiazzati dalla concorrenza. Oltre al fatto che potrebbe contribuire ad inondare il mercato europeo più velocemente di capi usa & getta, con le conseguenze del caso nella gestione dei rifiuti tessili europei.

Questa apertura, che sembra quasi un affronto, anche alla luce delle politiche intraprese dalla Francia per ostacolare il fast fashion introducendo nuove tasse, si inserisce perfettamente nel piano di Tang per per diventare un marchio “rispettabile”, saltare gli ostacoli imposti dall’Europa ed agevolare la sua quotazione in borsa. La Francia è quindi il posto giusto: primo perché è il suo secondo mercato più grande in Europa, dopo solo la Germania; secondo perché aprire negli Stati Uniti, principale mercato globale di Shein, con le ostilità manifestate da Trump, sarebbe decisamente più complicato. 

Più fattibile sbarcare in Europa, nonostante la Commissione Europea stia indagando attualmente su Shein per rischi legati a prodotti illegali, ed il mese scorso sia stata approvata  una legislazione per tentare di arginare l’impatto ambientale del fast fashion

Un’onda sulla quale si sta muovendo anche il governo italiano che, dopo un incontro con le associazioni del settore (Camera della Moda, Federmoda Cna e Federazione Moda Confartigianato Imprese), ha manifestato urgenza di prendere misure contro il fast fashion e fronteggiare l’arrivo massiccio di prodotti a basso costo e di scarsa qualità. Negli ultimi anni il numero degli acquisti su piattaforme di e-commerce estere e dirette verso i paesi europei è aumentata esponenzialmente (spesso si tratta di prodotti di piccole dimensioni per articoli che non superano mai i 150€).  Solo nel 2024 sono stati importati 4,6 miliardi di articoli di basso valore, quasi il doppio rispetto ai 2,3 miliardi del 2023 e agli 1,4 miliardi del 2022. Stiamo parlando di quasi 12 milioni di pacchi al giorno, con Temu e Shein a dominare la classifica. I prodotti di queste aziende fanno gola anche da questa parte del globo: si può trovare di tutto di più, perfettamente in linea con le tendenze del momento (ma non solo), orientate a fasce di consumatori di tutte le età (giovani, giovanissimi, adulti,…) con prezzi concorrenziali al limite dell’incredibile. Girare su questi siti è come entrare in un moderno Paese dei Balocchi, dove ogni desiderio può trovare il suo corrispondente in un oggetto fisico che può raggiungere ogni luogo a distanza di pochi click. Difficile resistere. Difficile pensare agli aspetti etici (i prodotti sono realizzati da manodopera sfruttata), a quelli ambientali (molto spesso non rispettano le norme UE in materia di sicurezza, soprattutto per quanto riguarda l’uso delle sostanze chimiche), e ai possibili rischi per la salute umana, mentre si surfa tra milioni di oggetti dal design non certo “eco” ma indubbiamente attuale ed accattivante. 

Una concorrenza spietata e sleale che sta facendo drizzare le orecchie tutte le associazioni di categoria, per cui si stanno cercando di prendere provvedimenti, sia in termine di tassazione, sia sull’introduzione di requisiti da rispettare per la gestione dei rifiuti derivanti dagli articoli messi in vendita (seguendo la scia della responsabilità estesa del produttore, EPR). 

Avatar photo

Marina Savarese

Stilista, docente di moda e comunicazione, scrittrice e co-fondatrice del portale Sfashion-net, dedicato alla moda slow. Per L’Indipendente si occupa di consumo e moda critica.

L'Indipendente non riceve alcun contributo pubblico né ospita alcuna pubblicità, quindi si sostiene esclusivamente grazie agli abbonati e alle donazioni dei lettori. Non abbiamo né vogliamo avere alcun legame con grandi aziende, multinazionali e partiti politici. E sarà sempre così perché questa è l’unica possibilità, secondo noi, per fare giornalismo libero e imparziale. Un’informazione – finalmente – senza padroni.

Ti è piaciuto questo articolo? Pensi sia importante che notizie e informazioni come queste vengano pubblicate e lette da sempre più persone? Sostieni il nostro lavoro con una donazione. Grazie.

Articoli correlati

Iscriviti a The Week
la nostra newsletter settimanale gratuita

Guarda una versione di "The Week" prima di iscriverti e valuta se può interessarti ricevere settimanalmente la nostra newsletter

Ultimi

Articoli nella stessa categoria