La Metropolitan Police di Londra ha recentemente avviato la fase pilota del progetto “Drone as First Responder”, un’iniziativa volta a potenziare l’efficacia, la rapidità e l’accuratezza degli interventi di emergenza grazie all’impiego di droni. Questi velivoli, lanciati da remoto, sono progettati per raggiungere in pochi minuti le aree interessate, trasmettendo in tempo reale immagini video agli agenti in arrivo e raccogliendo registrazioni utili all’identificazione di eventuali sospetti. L’obiettivo è anticipare le tempistiche della risposta operativa, fornendo agli agenti dispiegati sul campo una visione immediata e dettagliata della situazione e, al contempo, creare un archivio visivo che possa supportare le loro indagini.
Il comunicato diffuso ieri dalla MET rivela che la sperimentazione è partita nel quartiere londinese di Islington, dove i droni sono alloggiati in apposite postazioni di ricarica sui tetti degli uffici di polizia, pronti a essere lanciati in risposta alle chiamate al numero di emergenza. Una volta in volo, i velivoli trasmettono immagini in tempo reale al centro operativo e agli agenti diretti sulla scena, con l’obiettivo di fornire una presenza sul campo entro due minuti. Il flusso video ricevuto viene dunque utilizzato per orientare le decisioni operative, indirizzare l’allocazione delle risorse e acquisire prove in condizioni in cui il contesto può evolvere rapidamente.
Il vantaggio dichiarato rispetto all’uso tradizionale degli elicotteri consiste in costi inferiori, funzionamento più discreto, maggiore flessibilità operativa e impatto complessivo ridotto pur garantendo capacità analoghe di sorveglianza e raccolta di informazioni. Il progetto, condotto nell’ambito dell’iniziativa nazionale del National Police Chiefs’ Council (NPCC), punta a estendersi entro la fine dell’anno anche al West End e a Hyde Park. La MET precisa inoltre che in passato i droni venivano impiegati solo su richiesta e in operazioni programmate, mentre con il modello Drone as First Responder (DFR) diventano invece risorse “a chiamata”, attivabili in pochi secondi e normalizzate nel dispiegamento operativo.
Da un lato l’esperimento promette di ridurre sensibilmente i tempi di intervento, dall’altro solleva questioni complesse relative alla normativa sull’uso dello spazio aereo urbano, alla tutela della privacy dei cittadini e ai meccanismi di controllo sull’impiego e la conservazione di dati visivi sensibili. Le autorità locali e i partner del pilota dovranno dunque definire con cura limiti operativi, criteri di attivazione e sistemi di supervisione per evitare che l’innovazione tecnologica comprometta diritti fondamentali Un’attenzione che, recentemente, non sembra rientrare nelle priorità del governo britannico.
Sotto la guida di Keir Starmer, il Regno Unito ha annunciato lo scorso 29 settembre l’introduzione di un’identità digitale gratuita e obbligatoria che tutti i lavoratori dovranno adottare entro la fine della legislatura. La misura è stata presentata come strumento per contrastare l’immigrazione irregolare e rafforzare la sicurezza dei confini. Accessibile tramite l’app “gov.uk Wallet”, il sistema consentirà di verificare rapidamente l’identità e lo status legale delle persone e di semplificare l’accesso ai servizi pubblici. La proposta ha però suscitato aspre critiche da parte di gruppi per i diritti civili, dell’opposizione e di segmenti dell’opinione pubblica, i quali denunciano rischi di deriva autoritaria, violazioni della privacy e possibili discriminazioni nei confronti delle fasce più vulnerabili della popolazione.






Prossimamente bisognerà attrezzarsi con delle fionde digitali. (Vanno bene anche quelle analogiche…).