mercoledì 22 Ottobre 2025

Su 135 salme di palestinesi restituite da Israele ci sono evidenti segni di tortura

Mani legate, piedi serrati da fascette, corde al collo, occhi bendati. All’ospedale Nasser di Khan Younis le sacche bianche arrivano una dopo l’altra. Dentro ci sono corpi gonfi, anneriti, rigidi per il gelo delle celle israeliane. 135 salme di palestinesi restituite da Israele, parte dello scambio con i resti degli ostaggi israeliani. Molte sono irriconoscibili. I medici cercano di identificare i corpi dai denti, da un tatuaggio, da un pezzo di stoffa rimasto addosso. Su quasi tutti ci sono segni di violenza. La maggior parte proviene da Sde Teiman, la base militare nel deserto del Negev trasformata in campo di prigionia. È lì che, secondo i funzionari di Gaza, molti detenuti sarebbero stati torturati e uccisi prima di essere consegnati come corpi senza nome.

Le immagini diffuse da Gaza mostrano ciò che resta dei prigionieri palestinesi: volti sfigurati, arti fratturati, corpi legati. I medici legali dell’ospedale Nasser parlano di “segni compatibili con torture e soffocamento”. Le sigle “S.T.” sui cartellini di molte salme indicano la provenienza da Sde Teiman, la base israeliana riconvertita nel 2023 in un centro di detenzione per “combattenti illegali”. L’“Abu Ghraib israeliana”, come l’hanno ribattezzata gli attivisti dei diritti umani. In quella struttura, gestita sotto legge marziale, non servono accuse né processo per essere rinchiusi. Le inchieste descrivono Sde Teiman come un luogo dove i detenuti vengono bendati, incatenati e picchiati regolarmente, persino trattenuti in gabbie. Alcuni raccontano di scosse elettriche e privazioni di cibo e sonno. La struttura è circondata dal silenzio dell’esercito israeliano, che la gestisce come una zona militare interdetta.

A Khan Younis le famiglie arrivano con le foto dei loro cari scomparsi. Camminano fra i sacchi bianchi, cercano un segno, un anello, un dente riconoscibile. I camion frigoriferi che trasportano le salme sono gli stessi usati per il ghiaccio. Israele parla di scambi umanitari, ma le immagini raccontano altro: corpi torturati, informazioni cancellate, famiglie condannate a non conoscere il destino dei propri cari, senza un corpo da piangere. Tel Aviv ha consegnato 153 spoglie, ma solo 135 appartengono a detenuti palestinesi. Di questi, appena sei avevano un nome. Due risultavano sbagliati. Gli altri restano anonimi. Alcuni corpi sono stati trovati in stato di decomposizione, coperti di sabbia, come se fossero stati riesumati da poco. Altri sembrano conservati a lungo nei frigoriferi militari. Tel Aviv li definisce “terroristi gazawi”, ma molte famiglie palestinesi dicono di aver riconosciuto civili arrestati mesi prima, spesso senza accuse. Nei giorni scorsi era circolata la notizia dell’esistenza di salme con del cotone al posto degli organi. L’indiscrezione non è stata confermata, ma la voce, nei reparti del Nasser, continua a circolare. Sde Teiman non è un’eccezione: è il volto più estremo di un sistema costruito sull’impunità. A dimostrazione che, oltre all’immane massacro a Gaza, il teatro delle violenze, soprattutto quelle non visibili, abbia ampiezza e portata ancora più tragica.

Le denunce di abusi nelle carceri israeliane non sono nuove. Le condizioni di detenzione dei palestinesi nelle prigioni israeliane sono note: pestaggi, torture, isolamento, umiliazioni quotidiane, privazione di cure mediche e visite. Il rapporto 2024 di Physicians for Human Rights Israel denunciava un aumento massiccio delle detenzioni palestinesi dopo il 7 ottobre e la trasformazione delle carceri israeliane in luoghi di abuso sistematico. Il reportage del Public Committee Against Torture in Israel segnalato dal New Yorker mostra che migliaia di palestinesi arrestati dopo il 7 ottobre sono detenuti in carceri israeliane con sovraffollamento estremo, isolamento, restrizioni legali e “abusi sistematici” da parte del personale penitenziario. Un rapporto dell’ONG israeliana B’Tselem ha confermato le violenze: prigionieri senza processo, aggressioni sessuali, torture fisiche e psicologiche. Il report ha preso forma dando voce alle testimonianze di 55 persone palestinesi che hanno vissuto un’esperienza detentiva all’interno delle carceri dello Stato Ebraico – la stragrande maggioranza senza accuse a carico e senza aver subito alcun processo – per poi essere rilasciati. La maggior parte dei palestinesi incarcerati, infatti, non ha accesso a un avvocato né a cure mediche adeguate. E mentre da Gaza arrivano nuove prove di violazioni dei diritti umani, le cancellerie occidentali tacciono. La morte, in questa guerra, non è solo sui fronti o sotto le macerie. È anche nei sotterranei del Negev, nelle celle dove i detenuti spariscono senza nome. Le salme restituite sono il referto di una violenza che il mondo continua a non voler vedere. Gaza, ancora una volta, paga con i corpi dei suoi figli il prezzo dell’impunità.

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Enrica Perucchietti

Laureata con lode in Filosofia, vive e lavora a Torino come giornalista, scrittrice ed editor. Collabora con diverse testate e canali di informazione indipendente. È autrice di numerosi saggi di successo. Per L’Indipendente cura la rubrica Anti fakenews.

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1 commento

  1. Semplicemente gli Ebrei Ashkenazi erano gli Ebrei mandati da Roma nel Nord Est a fare da barriera contro le invasioni Barbariche insieme a noi e tendenzialmente le donne finirono stuprate dando origine a questi super Ibridi, belli ( le non bellissime etc. finirono ammazzate ) intelligenti e forti, che si portano come legacy sia la bestialità dei più forti guerrieri Germanici, che la resistenza delle migliori famiglie Ebraiche.
    Nello super stress della situazione attuale in alcuni Ashkenazi si palesa l’origine Ebraica delle vittime e diventano Ebrei Ortodossi che rifiutano guerra e violenza e sono seguiti da parte della società di Israele, negli altri sotto stress si palesa la parte più barbarica e crudele degli antenati Germanici e ancora la società ad Israele li segue.
    I nostri antenati che le hanno passate sostanzialmente uguali in fondo non sono meno bipolari di loro, basti guardare il Governo Meloni.

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