Negli ultimi mesi, Tony Blair è tornato, quasi in sordina, al centro del potere mondiale. Dopo anni trascorsi ai margini della scena politica internazionale – in seguito al rapporto Chilcot che lo accusò di aver trascinato il Regno Unito nella guerra in Iraq senza prove solide sull’esistenza di armi di distruzione di massa e senza aver valutato tutte le opzioni diplomatiche – l’ex premier si ripresenta ora come stratega globale, deciso a riscrivere il proprio ruolo. Tramite la sua fondazione, il Tony Blair Institute for Global Change, ha saputo reinventarsi come regista di una nuova architettura del potere, dove diplomazia e tecnologia si fondono in un unico linguaggio: quello degli algoritmi. Grazie ad essa, l’ex premier si muove tra i tavoli della ricostruzione di Gaza e i progetti di digitalizzazione del Regno Unito, ricomparendo come mediatore tra governi, aziende tecnologiche e istituzioni globali.
Blair stratega
È il ritorno di un Blair diverso, meno politico e più stratega, che non parla più di ideali per legittimare guerre e volgerle al capitalismo dei disastri, ma di efficienza, dati e intelligenza artificiale. Il cambio pelle è non solo formale, ma segna il tentativo di stare al passo con l’evoluzione tecnologica, nel campo del controllo e della sorveglianza. In un’epoca segnata da guerre e rivoluzioni digitali, la sua visione punta a un nuovo tipo di potere, pragmatico, centralizzato, tecnocratico, che mette in discussione la stessa idea di democrazia. Il ritorno sulle scene di Blair inaugura un disegno più ampio: quello di un ordine globale gestito non più dai Parlamenti, ma da reti di dati, sistemi di sorveglianza e infrastrutture algoritmiche capaci di decidere, silenziosamente, il futuro delle nazioni. Il Tony Blair Institute for Global Change è diventato, nel giro di pochi anni, un centro di potere globale capace di incidere sulle politiche pubbliche e sui processi di digitalizzazione di numerosi Paesi. L’organizzazione non profit da lui fondata nel 2016, che conta oggi oltre 900 persone e opera in più di 40 Paesi, fornisce consulenza ai governi su governance, strategie di sviluppo e modernizzazione, con progetti che si focalizzano in particolare in Africa e Medio Oriente. L’istituto è stato criticato per la collaborazione con regimi autoritari, avendo ricevuto finanziamenti controversi, tra cui 9 milioni di sterline dall’Arabia Saudita nel 2018. Grazie alla sua fondazione, Blair ha stabilito relazioni personali con diversi leader arabi, tra cui il principe ereditario saudita Mohammed bin Salman.
IA e controllo dei dati
L’ex premier britannico, lontano dalle urne ma sempre più presente nei circoli che contano, ha trasformato il suo istituto in una struttura strategica per promuovere una nuova forma di governo fondata sui dati e sull’intelligenza artificiale. Nel rapporto Governing in the Age of AI: Building Britain’s National Data Library, il TBI propone la creazione di una “Biblioteca nazionale dei dati” che integri tutte le informazioni pubbliche del Regno Unito. L’obiettivo dichiarato è rendere più efficiente la macchina amministrativa, ma il risultato è un modello di Stato in cui la gestione centralizzata dei dati diventa la chiave del potere. A sostenere questo progetto troviamo Larry Ellison, fondatore di Oracle e tra gli uomini più ricchi del pianeta. Come rivelato da WikiLeaks, dal 2021 ha destinato al TBI almeno 257 milioni di sterline tra donazioni e investimenti, consentendo all’istituto di espandersi. Dai dati pubblicati da WikiLeaks, emergeva il sospetto che, nel contesto dell’impegno dell’ente di Blair per la riforma del servizio sanitario britannico (National Health Service), ci potessero essere possibilità di favori futuri per Oracle, già attiva nel programma Stargate. Blair non riceve compensi diretti, ma il suo gruppo è formato da ex consulenti di McKinsey e manager provenienti dalle grandi aziende tecnologiche, con retribuzioni che superano il milione di dollari. Il TBI, presentato come un think tank, opera di fatto come una società di consulenza internazionale in grado di indirizzare strategie digitali, consigliare governi e promuovere l’integrazione fra pubblico e privato nel campo dell’intelligenza artificiale. L’alleanza con Ellison va oltre il sostegno economico. Entrambi condividono la visione di una governance unificata dei dati. Al World Governments Summit di Dubai, lo scorso febbraio, Ellison ha invitato i governi a “unificare tutti i dati nazionali per alimentare l’intelligenza artificiale”, una formula che riecheggia le proposte elaborate dal TBI. La linea è chiara: creare Stati capaci di prendere decisioni sulla base di modelli predittivi e sistemi automatizzati, riducendo il margine d’errore umano e aumentando l’efficienza delle politiche pubbliche. In questa visione, l’amministrazione diventa un meccanismo di calcolo permanente, e la tecnologia si sostituisce alla mediazione politica. Blair ed Ellison promuovono un’idea di governo che non si fonda più sul confronto o sulla rappresentanza, ma sulla gestione scientifica delle informazioni. È una trasformazione profonda, che ridisegna il rapporto tra cittadini e potere, e annuncia l’ingresso in un’epoca in cui la legittimità politica si misura in capacità di elaborazione dati.
Il rischio è un accentramento di potere senza precedenti: uno Stato che conosce, traccia e decide attraverso algoritmi. In nome dell’efficienza, la privacy potrebbe gradualmente diventare un lusso e la libertà un algoritmo da ottimizzare. Molti osservatori parlano già di una “modernizzazione della sorveglianza”, un processo che normalizza il controllo diffuso. L’idea di uno Stato automatizzato, capace di anticipare bisogni e comportamenti, rovescia la logica democratica: non è più il cittadino a controllare il potere, ma il potere a controllare il cittadino. E a rendere tutto più opaco c’è la rete di rapporti del Tony Blair Institute, che collabora indistintamente con governi democratici e regimi autoritari, sostenuto da finanziamenti provenienti dalle grandi multinazionali tecnologiche. Blair, un tempo simbolo della “terza via” laburista, oggi incarna una nuova ideologia: la “terza via digitale”: una politica che abbandona il confronto pubblico per affidarsi all’intelligenza artificiale, dove la decisione non passa più per il dibattito ma per il calcolo. La promessa di efficienza rischia così di diventare la copertura di un controllo pervasivo, un potere che, dietro l’immagine rassicurante della tecnologia, si prepara a governare ogni aspetto della vita collettiva.
La vicinanza con Trump
In parallelo al suo attivismo tecnologico, nell’ultimo decennio Blair si è progressivamente avvicinato all’amministrazione Trump, collaborando in particolare con Jared Kushner, genero del presidente, che nel primo mandato ricoprì il ruolo di consigliere per il Medio Oriente. Secondo fonti internazionali, l’ex premier britannico potrebbe avere un ruolo di primo piano nei piani per la ricostruzione della Striscia di Gaza, nonostante il veto posto da Hamas. Il presidente americano Donald Trump ha annunciato la creazione di un board of peace internazionale per governare ad interim il territorio palestinese, e tra i nomi in campo figura proprio Blair, unico membro finora indicato pubblicamente insieme all’ex presidente statunitense. La scelta non sorprende: da oltre un anno Blair lavora, attraverso il suo istituto, a proposte di gestione e ricostruzione per Gaza in coordinamento proprio con Kushner. Blair conosce bene la regione. Per otto anni è stato inviato speciale del Quartetto per il Medio Oriente – formato da ONU, Stati Uniti, Unione Europea e Russia – senza, però, riuscire a sbloccare il processo di pace. La sua mediazione, giudicata troppo vicina alle posizioni israeliane, gli è valsa critiche da parte della leadership palestinese. Eppure, la sua rete di contatti e la lunga esperienza diplomatica restano un capitale politico di peso per l’amministrazione Trump. Oggi, la ricostruzione di Gaza rappresenta per lui una nuova occasione per rientrare nella partita globale, ma con un approccio diverso: quello della governance tecnologica. Non è ancora chiaro se il suo ruolo sarà formale o di consulenza, ma l’impronta del TBI è evidente. L’idea è applicare in un contesto di post-conflitto i princìpi della gestione digitale che l’istituto promuove da anni: infrastrutture connesse, tracciamento degli aiuti, monitoraggio della sicurezza e identificazione digitale dei cittadini. Gaza rischia così di diventare un laboratorio geopolitico dove tecnologia, sorveglianza e ricostruzione si fondono. Blair non propone solo piani economici: esporta una visione del potere basata sui dati e sull’automazione, in cui la rinascita di un territorio devastato si intreccia con la sperimentazione di un nuovo modello amministrativo globale. In questa prospettiva, Gaza non è solo una questione umanitaria o politica, ma il banco di prova di una strategia che vede nella tecnologia la nuova chiave del potere geopolitico. Un nuovo Leviatano, silenzioso e invisibile, onnipervasivo ed efficiente, costruito non con la forza ma con i dati.
Questo mostra l’urgenza di disarcionare il potere dell’Occidente prima che arrivino le catene digitali.