Enrico stava montando il capannone per la festa del suo 35esimo compleanno in provincia di Belluno, e come regalo si è visto arrivare 12 agenti della polizia antidroga che l’hanno arrestato, trattandolo come un narcotrafficante. L’accusa? Quella di detenzione con fini di spaccio di stupefacenti, ma la realtà è ben diversa. Con la sua azienda, La Mota, da 8 anni Enrico coltiva canapa industriale con THC sotto i limiti di legge, italiani ed europei, con un’azienda registrata, pagando tasse e facendo fatture quando vende la propria merce. Gli agenti non hanno voluto nemmeno effettuare il campionamento per verificare tramite analisi scientifiche i livelli di THC delle piante, hanno sequestrato il campo e volevano procedere con l’incenerimento. Il tutto è stato bloccato dal tempestivo intervento del suo avvocato, Lorenzo Simonetti, di Tutela Legale stupefacenti, che ha portato la procura a scarceralo immediatamente, scrivendo nero su bianco che: «Trattandosi esclusivamente di infiorescenze di cannabis, fino a quando non saranno disponibili le analisi di laboratorio sulle sostanze sottoposte a sequestro, non è possibile neanche stabilire la gravità in concreto della condotta, non potendosi considerare determinante il mero dato ponderale».
Da agricoltori a criminali
Lo stesso giorno, il 10 ottobre, questa volta a Palermo, un altro agricoltore, che coltiva canapa industriale dal 2019, è stato arrestato ed è rimasto in carcere per due giorni. Qui il giudice ha convalidato l’arresto, ma non ha accolto la richiesta di misure cautelari come carcere o domiciliari. Nell’ordinanza di scarcerazione si può leggere che: «Allo stato, unitamente alla circostanza che non basta che si tratti di cannabis (più tecnicamente, non è sufficiente la conformità del prodotto al tipo botanico vietato dal T.U. Stupefacenti), bensì occorre sempre valutare l’effettiva capacità drogante del prodotto ceduto o detenuto (cfr. Cass. Pen., SSUU 12348/2019), impedisce di configurare, i gravi indizi del reato contestato».
Pochi giorni prima era toccato a un altro imprenditore agricolo, questa volta in Puglia. Dopo 3 giorni di carcere il Gip, giudice per le indagini preliminari, ha rigettato la richiesta di custodia cautelare in carcere del PM, ordinando invece l’immediata scarcerazione, senza nessuna misura cautelare. Nelle motivazioni, il giudice sottolinea che: «Allo stato non è affatto scontato che il materiale abbia efficacia drogante o psicotropa» e che, senza analisi scientifiche valide e tracciate, non sussistono gravi indizi di colpevolezza.
Un cortocircuito legislativo e giudiziario
Cosa sta accadendo? Dopo il decreto sicurezza, che vorrebbe considerare il fiore di canapa come uno stupefacente indipendentemente dai livelli di THC – un’impostazione cha fa a pugni con la scienza, con decine e decine di sentenze, e con lo stato di diritto, come è stato sottolineato da una relazione della Corte di Cassazione a inizio anno – procure un po’ troppo zelanti hanno fatto il passo che nessuno si aspettava: non più sequestri e processi, gli agricoltori di canapa vanno direttamente in carcere, senza nemmeno effettuare le analisi. Un’aberrazione del diritto, che porta in galera lavoratori onesti poi dipinti dalla stampa locale come dei novelli Pablo Escobar. Che però vengono puntualmente rimessi in libertà avvalorando il principio che le associazioni di settore portano avanti da anni: se non c’è efficacia drogante e per la prassi giurisprudenziale italiana deve essere sopra lo 0,5% di THC, non c’è reato.
Ecco perché gli avvocati insistono su un punto: prima di incidere sulla libertà personale o sull’operatività delle imprese, occorrono campionamenti in contraddittorio, catena di custodia, laboratori accreditati e misure conformi ai protocolli europei (campionamento rappresentativo, doppio campione per controanalisi, essiccazione entro 48 ore, determinazione cromatografica su campione a peso costante). E i giudici stanno dando ragione a loro, non al governo che ha voluto questa legge.
Torino, sequestro archiviato: “il fatto non sussiste”
Il problema è che, nonostante le continue e nette vittorie giudiziarie, le procure non si fermano. L’ultimo sequestro è avvenuto nei giorni scorsi a Forlì, dove sono stati confiscati oltre 250 chili di infiorescenze di cannabis light, per un valore commerciale di circa due milioni di euro.
Nei giorni precedenti la vittima designata era stata la città di Torino, dove però è già arrivata la prima archiviazione, in un processo iniziato a settembre. Il gip ha accolto la richiesta della procura perché “il fatto non sussiste”. E nello spiegare le motivazioni scrive: «Ciò che è emerso è la presenza di THC ma senza indicare una percentuale, per cui, essendo lecita la vendita di cannabis sativa purché con un contenuto di THC inferiore allo 0.6 %, potrebbe operare una causa di esclusione dell’antigiuridicità». Tradotto: la cannabis light, come sostengono associazioni, imprenditori, commercianti, e anche giudici, è legale se il THC è sotto i limiti di legge; è chiaro e logico per tutti, meno che per chi ci governa.
Europa e Italia
Intanto, in Europa, il Parlamento europeo ha approvato l’emendamento proposto dall’eurodeputata Cristina Guarda di AVS che considera la canapa come un prodotto agricolo, legale in ogni sua parte, fiore compreso, con THC fino allo 0,5%. Il prossimo passo sarà la discussione al Consiglio europeo con i vari Stati membri. «L’Europa manda un segnale chiaro: la canapa non è un tabù, ma una risorsa strategica per la transizione ecologica e per la competitività delle nostre campagne», ha sottolineato, chiedendo al governo di «abbandonare l’oscurantismo del decreto sicurezza e riconoscere finalmente dignità e prospettive a un settore che chiede solo regole certe per crescere». Da noi, invece, è arrivato l’ennesimo appello di Confagricoltura che, come le altri grandi associazioni agricole, in questa battaglia si è da subito schierata in favore della pianta a sette punte. L’associazione chiede al ministero dell’Interno «l’adozione urgente di un Atto di Interpretazione Autentica, che confermi in modo inequivocabile la piena liceità delle attività legate alla canapa industriale». Lo scopo? «Garantire agli operatori del settore la sicurezza giuridica necessaria per continuare a lavorare, evitando blocchi produttivi o sanzioni ingiustificate».
https://www.baritoday.it/dossier/imprenditore-barese-canapa-industriale-arrestato-decreto-sicurezza.html caso analogo in Puglia.
“Cosa sta accadendo? …”
Sta accadendo che abbiamo dei cojoni al governo.
Nessuna sorpresa: in Italia si è colpevoli fini a prova contraria. Schema già utilizzato decenni fa quando dovevi provare di aver pagato il bollo auto. Certo non finivi in carcere ma la struttura accusatoria era la medesima:io ti accuso senza prove , tu devi difenderti a tue spese