venerdì 17 Ottobre 2025

Armi a Israele: come alimentare, dal basso, l’embargo necessario

L’embargo militare consiste nel divieto di acquisto, vendita e transito di armi e sistemi dual use da e verso Israele e nella rottura di tutti i legami militari con lo stesso Paese. La società civile palestinese ha chiesto l’embargo militare contro l’occupazione e l’apartheid di Israele sin dalla fondazione del movimento BDS nel 2005, avendo constatato che altri sistemi di lotta e resistenza erano risultati inefficaci. I trattati internazionali, di cui tutti gli Stati europei sono firmatari, proibiscono la vendita, l’acquisto e il transito di armi verso uno Stato che commette crimini di guerra e contro l’umanità. Ma i nostri governi non hanno mai smesso di vendere/comprare, anche se affermano il contrario. Una dinamica che, anche se può apparire contro-intuitivo, può essere contrastata anche dal basso, attraverso forme specifiche di boicottaggio.

Sono molte le ragioni che ci devono spingere a praticare l’embargo militare contro Israele. Attraverso i suoi sistemi d’arma (direttamente testati sui palestinesi, come dice la sua stessa propaganda), la cyberwar, la cybersecurity (in cui è leader mondiale) e la supremazia tecnologica da cui molti Stati ormai dipendono, Israele ha creato una rete internazionale commerciale che garantisce la sua impunità. È inoltre fortemente legata al complesso militare-industriale statunitense, di cui fanno parte colossi come Boeing, General Dynamics, Lockheed Martin e RTX (Raytheon Technologies), tra i principali fornitori di mezzi e tecnologie militari. Alle loro spalle vi sono i grandi fondi d’investimento come Vanguard, BlackRock, State Street, che svolgono un ruolo di primo piano all’interno della rete economico-finanziaria alimentata dalle tensioni e dalle guerre in cui sono coinvolti tutti i Paesi occidentali, compreso il nostro, che garantisce profitti miliardari. 

Oltre che dalle imprese militari, l’economia di guerra israeliana è sostenuta da imprese private che contribuiscono alla uccisione dei palestinesi e alla devastazione delle loro terre. Si tratta di aziende tecnologiche, imprese edili, industrie estrattive ed energetiche, università, che permettono e potenziano l’azione militare. Tra queste vi è, per esempio, Caterpillar Inc, che, in concorso con altre aziende israeliane (tra cui RADA Electronic Industries, di proprietà di Leonardo), ha trasformato il bulldozer D9 in un armamento automatizzato che l’esercito israeliano comanda a distanza per effettuare demolizioni, spianare terre e schiacciare i palestinesi. Mentre le industrie energetiche, tra cui ENI, forniscono il combustibile senza il quale la guerra cesserebbe. Nel settore informatico molte Big Tech (IBM, Hewlett Packard, Microsoft, Google, Palantir, Amazon…) lavorano per Israele, così come moltissime università, e sono profondamente integrate col settore militare cui garantiscono livelli altissimi nell’IA, nell’elaborazione di dati, processi decisionali e di sorveglianza, tanto che Cloud e IA sono considerate “un’arma in tutti i sensi” e sono state determinanti nella distruzione di Gaza. Infine, finanziamenti fondamentali sono affluiti attraverso le più grandi banche mondiali, le assicurazioni e i fondi d’investimento con la vendita e sottoscrizione di bond israeliani. Nell’ambito della ricerca scientifica bisogna citare il programma europeo Horizon attraverso il quale l’Europa ha fornito (dal 2014) 2,4 miliardi di dollari a istituzioni scientifiche israeliane complici. 

L’Italia è il terzo Paese esportatore di armi verso Israele, dopo gli Stati Uniti e la Germania. Mette inoltre a disposizione la propria logistica costituita da porti (anche civili), aeroporti, linee ferroviarie cui affluiscono armamenti provenienti da imprese italiane ed estere, e, tra le basi militari, riveste un ruolo centrale la stazione aeronavale di Sigonella. L’Italia occupa quindi un posto importante negli scambi militari con Israele e ciò richiede un grosso lavoro per intervenire ai diversi livelli che consentono tali scambi. 

Cosa possiamo fare per costruire l’embargo militare?

Attivisti per la Palestina bloccano una sede di Leonardo SPA a Varese

Intervenire sulle aziende produttrici di armi/ tecnologie militari 

Sono circa sessanta, ma il loro numero è in aumento anche a seguito della propaganda esercitata dal Piano di riarmo europeo e delle false aspettative secondo cui la riconversione da civile a militare porterebbe a un aumento dell’occupazione. La più importante, Leonardo, a controllo pubblico, è anche la più grande in Europa e la tredicesima al mondo. Attraverso la controllata RADA è presente in Israele e collabora con le tre più grosse imprese militari israeliane: Rafael, Elbit e IAI. Seguono Fincantieri, Rheinmetall Italia e MBDA Italia che con Leonardo coprono l’89% del mercato italiano. Secondo la relazione ex L. 185/90, nel 2024 sarebbero state compiute 212 operazioni di esportazione verso Israele (per 4,2 milioni di euro) e 42 di importazione. I numeri, tuttavia, sono probabilmente maggiori perché molti accordi non sono sottoscritti in Italia e non sempre sono richieste le autorizzazioni. Tutte vanno sanzionate tramite campagne di pressione, denunce e blocchi dei carichi militari o dual use in partenza e in transito. 

Bloccare carichi in partenza/ transito verso Israele

L’intercettazione dei carichi richiede una buona mappatura dei porti con verifica degli enti di gestione e delle aziende che vi operano, dei transiti annuali e delle imprese per la sicurezza. Fondamentale per questo lavoro è il rapporto con lavoratori portuali e sindacati e con gruppi come The Weapon Watch attivi nel tracciamento delle rotte e nell’individuazione delle compagnie di trasporto implicate nel traffico d’armi. Finora si è riusciti a intervenire solo su segnalazioni anonime, ma bisogna programmare e costruire una rete diffusa.

Attivare azioni legali contro governi/imprese/istituti 

Nel mese di maggio, 10 legali hanno presentato una diffida al governo per l’annullamento del Memorandum d’Intesa Italia-Israele in materia di cooperazione militare e della difesa stipulato in data 16 giugno 2003 e ratificato con la Legge 94/2005. Da tale memorandum sono discesi tutti gli altri accordi. Lo stesso è rinnovato tacitamente ogni cinque anni, salvo che uno dei due governi ne richieda l’annullamento. Queste azioni devono aumentare, affinché i governi siano resi responsabili della collaborazione nel genocidio.

Fare campagne contro banche complici e fondi di investimento

Senza le banche e i grandi fondi di investimento internazionali l’economia israeliana sarebbe già crollata. Fondi e banche sostengono l’industria militare tramite finanziamenti, emissione di obbligazioni, mediazioni finanziarie. I maggiori fondi del mondo, profondamente coinvolti nel genocidio palestinese, sono azionisti rilevanti all’interno delle principali banche italiane. Si tratta quindi di un settore importante su cui intervenire, mediante la creazione di consapevolezza tra i cittadini, ma anche con azioni di boicottaggio. Nel primo caso s’informa l’investitore/risparmiatore che i suoi risparmi potrebbero finanziare l’industria bellica. Nel secondo si lavora sul danno d’immagine, tramite campagne di pubblicità negativa, mirata sia agli attori finanziari cui le banche affidano il denaro sia alle stesse banche. Questa strategia funziona. Dopo campagne durate anni il fondo sovrano norvegese, il più grande del mondo (2000 miliardi di dollari e investimenti in oltre 8600 aziende), ha disinvestito da Caterpillar, il produttore statunitense di bulldozer D9, e da 5 gruppi bancari israeliani. Queste sono solo alcune delle azioni che possiamo intraprendere per inceppare la macchina di morte israeliana. Il complesso intreccio tra finanza, settori industriali e militari, industrie estrattive e università, che collaborano con Israele per distruggere un popolo, nello stesso tempo realizzando enormi profitti, copre tutto il pianeta sostenuto da un’impressionante illegalità di Stato. Guerra e genocidio sono un mostruoso affare che non si vuole fermare, come dimostrato da Francesca Albanese nel suo ultimo rapporto Dall’economia dell’occupazione all’economia del genocidio. Sulla base di queste evidenze, il boicottaggio e l’embargo militare praticati su vasta scala sono la vera arma nelle nostre mani.

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BDS Italia

BDS Italia è un movimento per il boicottaggio, disinvestimento e sanzioni contro l’occupazione israeliana, costituito da associazioni e gruppi che aderiscono all’appello della società civile palestinese. Il BDS sostiene il semplice principio che i palestinesi hanno gli stessi diritti del resto dell’umanità ed esorta ad agire per fare pressione su Israele affinché rispetti il diritto internazionale.

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