«Da mesi gli Stati Uniti aiutano l’Ucraina a lanciare attacchi a lungo raggio contro le strutture energetiche russe». Secondo un’inchiesta pubblicata dal Financial Times, gli Stati Uniti starebbero fornendo all’Ucraina supporto diretto d’intelligence per colpire obiettivi strategici in territorio russo, in particolare infrastrutture energetiche e raffinerie. Il quotidiano economico-finanziario britannico cita fonti anonime dell’amministrazione americana, secondo cui Washington avrebbe recentemente ampliato la condivisione di informazioni sensibili, consentendo ai missili e ai droni ucraini di eludere le difese aeree russe e di colpire in profondità, fino a 1.400 chilometri oltre la linea del fronte. L’obiettivo di questa strategia sarebbe quello di aumentare la pressione su Mosca, «per indebolire l’economia di Vladimir Putin e costringerlo al tavolo delle trattative», dopo mesi di stallo diplomatico. Le stesse fonti spiegano che gli attacchi avrebbero già ridotto le esportazioni di diesel russo fino al 20% e contribuito a un aumento dei prezzi interni del carburante.
L’interpretazione ufficiale dell’articolo di FT, presentata come reportage, lascia aperte molte domande. La notizia arriva con la consueta confezione tecnica e si può leggere come una nota di servizio: fonti anonime, dati cifrati, verbali di «funzionari a conoscenza della vicenda». Dietro il linguaggio tecnico e l’apparente neutralità della ricostruzione, l’articolo del Financial Times assume un tono che va oltre il semplice resoconto e risulta difficile separarne l’informazione verificata dalla funzione propagandistica. La notizia della collaborazione diretta tra l’intelligence americana e le forze ucraine viene presentata come un passo tattico necessario, quasi fisiologico, in un contesto in cui l’Occidente deve mantenere l’iniziativa per difendere Kiev e indirizzare l’esito del conflitto. Il messaggio implicito è rassicurante per il lettore europeo e atlantista: l’Ucraina sta vincendo grazie al supporto e alla superiorità tecnologica occidentale. La sostanza non è nuova. Fin dall’inizio del conflitto, Washington ha fornito a Kiev coordinate e immagini satellitari, informazioni utili a indirizzare gli attacchi contro postazioni e depositi militari russi. Ora, questa prassi viene semplicemente riconosciuta, ma con una cornice narrativa che mira a legittimare un coinvolgimento sempre più profondo che rischia di aumentare l’escalation e a espandere il conflitto su scala globale.
La parte più politica dell’articolo riguarda la Casa Bianca. Mentre gli occhi della comunità internazionale in queste ore sono puntati sul Medio Oriente, Volodymyr Zelensky prova a tenere alta l’attenzione degli alleati anche su Kiev: il leader ucraino ha sentito per la seconda volta in due giorni Donald Trump e ha parlato con Emmanuel Macron. Per far fronte all’esigenza di nuove armi, Kiev sta lavorando con Parigi per espandere l’iniziativa Purl, con i Paesi della NATO che acquistano armi americane da girare all’Ucraina. La richiesta, pressante, è sempre quella: più sistemi di difesa antiaerea e più missili, con un’attenzione particolare ai vettori di lungo raggio, per contrastare l’offensiva russa. Il Financial Times riferisce che l’attuale amministrazione americana, pur negando un coinvolgimento operativo diretto e non avendo ancora preso una decisione sull’invio dei Tomahawk a Kiev, intende «rendere pubblica» la portata del proprio sostegno per mostrare forza e determinazione, anche nei confronti di Mosca. La mossa avverrebbe in un momento in cui, secondo le stesse fonti, Trump sarebbe “irritato” con Vladimir Putin per la mancanza di progressi diplomatici dopo l’incontro bilaterale avvenuto in Alaska. Il possibile arrivo negli arsenali ucraini dei Tomahawk è motivo di «grave preoccupazione» per il Cremlino, che tuttavia ha puntualizzato: «È un’arma importante, che può essere in configurazione convenzionale o nucleare, ma allo stesso tempo non può cambiare la situazione sui fronti», ha fatto sapere il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov.
La scelta di rendere note queste informazioni non è casuale: serve a consolidare l’immagine di un’America decisa, pronta a guidare la guerra per procura e, allo stesso tempo, a gestirne la narrazione. In sostanza, la rivelazione del Financial Times funziona come una velina diplomatica: Washington fa sapere al mondo ciò che desidera far sapere, nei tempi e nei modi che ritiene opportuni. Come spesso accade negli articoli che accompagnano le svolte di politica estera americana, il Financial Times cita «funzionari a conoscenza della questione», senza fornire prove documentali o riscontri indipendenti. È il modo più efficace per trasmettere l’impressione di una notizia esclusiva, senza doversi assumere la responsabilità della sua verificabilità. In questo senso, la tradizione del giornalismo anglosassone si intreccia con quella della diplomazia: si pubblica ciò che conviene pubblicare, e si tace ciò che non serve a orientare l’opinione pubblica. Dietro questa strategia di comunicazione, però, si intravedono obiettivi più concreti. Se Zelensky e i partner europei non mostrano disponibilità a una trattativa che non preveda la resa totale di Mosca, la linea americana sembra quella di prolungare il conflitto, logorare la Russia e trarne vantaggi economici e geopolitici, scaricando le sorti di Kiev sugli alleati europei. Le aziende statunitensi continuano a fornire armamenti e tecnologia a Kiev, mentre l’Europa si è già impegnata a sostenere i costi finanziari dell’operazione. Il risultato è un equilibrio asimmetrico: Washington rafforza la propria industria militare e l’influenza internazionale, l’Ucraina resta il terreno di scontro, mentre l’Europa paga il conto.
Il FT scrive oggi quello che un tempo raccontava Radio Londra…
Le mosse americane sono dettate dalla disperazione. Vedremo se i Brics smettono di far circolare dollari, cosa succede
Siamo furbissimi, non c’è che dire. Specie queli che ancora danno ascolto ai farabutti di Bruxelles.