Alle 04:34 del mattino, a circa 120 miglia nautiche, circa 220 chilometri, dalla costa di Gaza, l’esercito israeliano ha attaccato e intercettato le imbarcazioni della Freedom Flotilla Coalition (FFC) e della Thousand Madleens to Gaza (TMTG), che avevano lasciato i porti del sud Italia sabato 27 settembre. Nove navi, di cui otto a vela battenti bandiere italiana e francese e una motonave registrata a Timor Est, sono state circondate, abbordate e prese sotto controllo dalle forze navali israeliane. A bordo c’erano circa 150 persone, di cui dieci italiani, provenienti da 30 Paesi diversi, tra cui medici, giornalisti, volontari e alcuni funzionari eletti, tutti disarmati. Secondo quanto dichiarato dai coordinamenti delle due missioni, l’attacco è avvenuto in acque internazionali, al di fuori di ogni giurisdizione israeliana, e si è concluso con il sequestro dei membri dell’equipaggio e degli aiuti umanitari destinati agli ospedali di Gaza, per un valore stimato di oltre 110.000 dollari in medicinali, attrezzature respiratorie e forniture alimentari. La nota diffusa dalla Freedom Flotilla Coalition accusa Israele di aver commesso un atto di pirateria e di aver violato apertamente il diritto internazionale del mare. «I nostri volontari non sono soggetti alla giurisdizione israeliana – si legge – e non possono essere criminalizzati per aver partecipato a una missione umanitaria in acque internazionali». La sorte degli equipaggi rimane incerta: secondo le fonti della Coalizione, i contatti radio sono stati interrotti subito dopo l’abbordaggio e le comunicazioni oscurate. L’intervento, descritto come «un sequestro in piena regola», avrebbe avuto luogo senza alcuna avvertenza o negoziazione preliminare. Tel Aviv ha confermato l’operazione, parlando di un’azione «necessaria per impedire la violazione del blocco navale imposto su Gaza». Fonti militari israeliane affermano che le imbarcazioni sono state scortate in un porto israeliano e che i passeggeri «sono in buone condizioni e saranno rimpatriati appena possibile».
La Freedom Flotilla Coalition e la Thousand Madleens to Gaza denunciano una «deliberata escalation militare» da parte di Israele, ricordando che si tratta del quarto episodio di questo tipo in meno di un anno. I coordinatori delle missioni sottolineano come questo attacco segua il sequestro della Global Sumud Flotilla, della Handala e della Madleen, e l’attacco con droni israeliani alla nave Conscience nelle acque europee nei mesi scorsi. In tutte le circostanze, civili disarmati sono stati intercettati o detenuti mentre tentavano di consegnare aiuti umanitari a Gaza. «Israele continua ad agire nella totale impunità», scrive il Coordinamento Thousand Madleens Italia, sfidando «gli ordini vincolanti della Corte Internazionale di Giustizia che impongono l’apertura di corridoi umanitari e l’accesso senza ostacoli alla Striscia». La dichiarazione accusa inoltre i governi occidentali di un «fallimento totale» nell’applicare e nel far rispettare il diritto internazionale oltre che a tutelare i civili impegnati in missioni umanitarie. A livello diplomatico, la reazione europea appare cauta. Alcuni parlamentari italiani e francesi chiedono l’intervento urgente dell’Unione Europea per ottenere la liberazione dei volontari. A Roma, il Ministero degli Esteri ha dichiarato di «monitorare la situazione» e di essere «in contatto con le autorità israeliane». «L’Ambasciata ed il Consolato d’Italia a Tel Aviv stanno seguendo fin dall’alba il blocco della nuova Flotilla da parte della marina israeliana. Sono una decina gli italiani fermati. A loro verrà prestata tutta l’assistenza consolare necessaria con la richiesta al governo israeliano di garantire il rispetto dei diritti individuali fino al momento dell’espulsione. Al lavoro anche l’Unità di crisi della Farnesina», ha scritto su X il vicepremier e ministro degli Esteri Antonio Tajani. In Francia, un gruppo di deputati ha presentato un’interrogazione parlamentare per chiarire le circostanze dell’attacco, tuttavia, nessuna condanna ufficiale è stata ancora formulata. Nel frattempo, organizzazioni per i diritti umani come Amnesty International e Human Rights Watch hanno chiesto l’apertura di un’indagine indipendente, sottolineando che l’abbordaggio in acque internazionali costituisce una violazione della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare. L’episodio, osservano diversi analisti, rischia di aprire un nuovo fronte di tensione tra Israele e la comunità internazionale, già divisa sull’intervento militare nella Striscia e sulle accuse di genocidio.
La vicenda della Freedom Flotilla ripropone un copione già noto. Ogni volta che civili tentano di rompere simbolicamente l’assedio di Gaza, la risposta israeliana è immediata e sproporzionata. A oltre un decennio dal raid del 31 maggio 2010 contro la nave turca della Freedom Flotilla Mavi Marmara, costato la vita a dieci attivisti, Israele continua a rivendicare il diritto di bloccare qualsiasi accesso via mare, nonostante le condanne internazionali e le risoluzioni ONU. L’uso della forza in acque internazionali resta un punto di frattura giuridico e morale, ma la comunità internazionale evita di intervenire. L’indifferenza delle istituzioni internazionali alimenta un senso di impunità e svuota di valore le risoluzioni della Corte Internazionale di Giustizia, che da mesi impone a Israele l’apertura di corridoi umanitari verso Gaza. Intanto, mentre il mare si trasforma in un confine militarizzato, la protesta torna nelle strade. Già alla vigilia dell’attacco era partita la mobilitazione. «L’8 ottobre tutti in piazza» è stato l’appello diffuso sui canali social di Freedom Flotilla Coalition, Giovani Palestinesi Italia, Movimento Studenti Palestinesi in Italia e Unione Democratica Arabo-Palestinese. Gli attivisti avevano lanciato l’allarme: «Nelle prossime ore la seconda spedizione entrerà nelle acque internazionali vicino a Gaza, dove esiste il concreto rischio che venga intercettata e sequestrata dalle forze israeliane come accaduto in passato», un chiaro riferimento all’intercettazione della Sumud avvenuta pochi giorni prima. Da Nord a Sud, in Italia si moltiplicano i presidi e le manifestazioni di solidarietà. Mentre i governi occidentali restano fermi su una linea di “equilibrio diplomatico”, migliaia di persone tornano a manifestare per chiedere la fine del blocco e la libertà dei civili trattenuti. L’eco delle piazze italiane accompagna un silenzio istituzionale sempre più assordante. Nel Mediterraneo, la solidarietà civile continua a essere criminalizzata; sulla terraferma, si alza una voce che tenta di rompere l’assedio mediatico. In questo spazio sospeso tra mare e piazza, si misura la distanza tra la legalità proclamata e quella negata, tra la retorica umanitaria e la realtà di un’umanità lasciata sola a resistere.
Un’Europa decente lo tratterebbe come un atto di guerra.
È pirateria!